Home Architettura Urbanistica Design Il fallimento nella ri-generazione del creato. Tra archistar, restyling e mercato

Il fallimento nella ri-generazione del creato. Tra archistar, restyling e mercato

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Giuseppe De Filippo

Estratto:

Condivido appieno il senso profondo e amaro delle parole di Luigi Boschi:

“Il cuore della città messo a morte dai predoni, non si rianima con queste cure palliative alla Pistoletto”1. Condivido altrettanto quelle a firma di  Haig: “…Tutta questa “creatività” sbandierata a 360 gradi mi sembra l’esatta rappresentazione del livello culturale di Parma. Pistoletto è un bluff!”2

Per il momento non mi preme esprimere pareri sull’opera di questo artista, ma rimarcare il malumore che cova nella coscienza di numerosi cittadini per l’esorbitante costo economico delle committenze artistiche pubbliche; per lo scempio del paesaggio e per lo spreco di denaro dovuto a restauri mal fatti, ad arredi urbani superflui e a lavori di utilità pubblica mai portati a compimento.

Molto spesso i buoni propositi di migliorare la qualità della vita nelle metropoli vanno a scontrarsi con gli atteggiamenti profetici di artisti e archistar visionari.

In merito al lavoro di Pistoletto al parco di Piazzale della Pace in Parma si parla di “rigenerazione urbana”. Non so se sia anche architetto o urbanista, gli unici professionisti preposti a tale rigenerazione. L’investitura di rigeneratore e trasformatore ce l’ha comunque3.

Purtroppo, tra intenti estetici elitari e palingenetici è difficile, se non impossibile, trovare la giusta terapia per il “cuore della città”, asfissiato da gas tossici, intrappolato in una rete di traffico paralizzante e  afflitto dalla emergenza abitativa. L’illusione più amara è credere che l’intervento estetico, in mano per lo più ad artisti fantasticanti e ad archistar pluripagati, possa da solo risolvere  i vari ed innumerevoli degradi causati da un’antropizzazione irresponsabile, selvaggia.

Eppure, l’Architettura, la più razionale e politica tra le arti, possiede, a differenza delle sue sorelle   (visivo-bidimensionali), tutti gli strumenti tecnici, scientifici e creativi per intervenirvi concretamente e positivamente.

 Ed è la sola che può farlo.

Altri generi di interventi risultano giustamente, per usare le parole di Luigi Boschi, “cure palliative”. Che siano state prescritte da Pistoletto o da amministratori incompetenti, colpiti inconsapevolmente dal cosiddetto Effetto Bilbao, a noi poco importa. Fondamentale è che non si prescrivano.

A volte, quando crediamo di imbatterci in un vero e proprio rinnovo urbano sperando che abbia tenuto conto dei bisogni collettivi; dell’equilibrio tra razionalità, creatività, funzionalità e “bellezza”,  ci troviamo, invece, davanti  spazi architettonici bizzarri e estranianti; partoriti, sembra, da menti avulse dalla realtà e intente, sembra, a dare sfogo al proprio narcisismo creativo.

 

Altre volte è capitato di imbatterci in restauri trasfiguranti che hanno offuscato irrimediabilmente l’originale annullandone per sempre la memoria. Laddove la facciata dell’abitazione presentava una meravigliosa trama di  mattoni e pietre si è scelto di annullarla con il cemento e di sostituire l’arco in pietra con l’architrave. Incredibile, ma vero: “Il cosiddetto restauro è la peggiore delle distruzioni” (Ruskin).

Dunque, un amore di sé tanto esasperato che difficilmente tiene conto dell’Altro, del preesistente storico-artistico con il quale entra in conflitto. Al Bello di un tempo si affianca muta (e irriverente?) la contaminazione linguistica nella sua più futuristica versione post.

Dove non c’è lo si crea, l’ibrido. Strano, ma succede.

Dove c’è memoria di suoni, forme e colori, la si cancella, come nel caso della Cassa Armonica di Napoli, al momento espropriata,  con un restauro a dir poco barbaro, dei suoi vetri colorati di stile liberty risalenti al 1862 e che l’allora Errico Alvino, architetto milanese che sotto il regno di  Ferdinando II di Borbone diede lustro alla città, progettò non solo esteticamente belli, ma efficienti come cassa di risonanza acustica. Al grido “Cambiamo l’orrendo restauro della Cassa Armonica, ribattezzata dall’impeccabile ironia partenopea “La Scassa Armonica”, molte associazioni chiedono la rimozione dei pannelli di polimero termoplastico, non solo perché incolori e freddi ma perché di scarso valore acustico.

In merito al restauro della confinante Villa Comunale, ecco cosa riporta il Corriere del Mezzogiorno.it del 9 febbraio 2016 a firma di Vincenzo Esposito:

 

“Carlo Vanvitelli la ideò nel 1778. Dal 2001 in poi i sindaci stanno facendo a gara per ucciderla. I due miliardi di lire spesi da Valenzi e Lezzi, i trenta miliardi circa impiegati per il restyling di Mendini hanno portato solo disastri. Perché ormai la Villa serve solo da copertura a un metrò da trecento milioni a chilometro” 4.

 

No comment.

Purtroppo è diventato una Post-Moda, figlia legittima del Post-Moderno e come tale inarrestabile, ricorrere a conclamati artisti, designer e archistar che sperano di poter ri-generare, più che ri-qualificare, il creato. Proprio così, “ri-generare il creato”, dacché la natura che li anima sembrerebbe, se i fatti non mi contraddicono, di tipo omnicomprensivo e demiurgico.

A parte questa mia enfatizzazione – che non so se ritenere esagerata tanto quanto lo sono gli onorari che ricevono-, i costi delle loro performance, siano quadri, sculture, oggetti kitsch o trash,   installazioni, costruzioni architettoniche, spazi espositivi e restyling, raggiungono, sulla base dell’alto grado di sensazionalismo che riescono a procurare, cifre veramente sbalorditive.

Gli aspetti spettacolari e fascinosi prevalgono su quelli artistico-estetici e pratico-funzionali, ed è così che molte tra le opere architettoniche contemporanee ritenute dei capolavori manifestano chiari sintomi di “malessere”, nonostante la loro giovanissima età. Colpa della creatività bizzarra?

Non vorrei erigermi a giustiziere e sancire cosa nell’arte sia legittimo e cosa non lo sia, ma è sotto gli occhi di tutti la sua merdificazione, la sua deplorevole riduzione a merce, il suo plusvalore determinato dalle varie lobbies finanziarie internazionali.

 

Prendiamo atto che sulla scia del degradante restringimento delle attività artistiche a veri e propri fenomeni finanziari, persino la Cultura, l’Arte, il Restauro e la Curatela, alle dipendenze delle istituzioni pubbliche, sembrano diventati un valido ed efficace alibi per giustificare la gestione di ingenti somme di denaro.

Ricorderemo l’invettiva di Sgarbi contro il cachet offerto a Celant per “Art&Food”:

 “…denuncerò alla Corte dei conti e alla magistratura tale Celant Germano perché non si può immaginare che indebito profitto in chi, facendo una mostra sicuramente brutta spenda 6 milioni di euro e abbia 750mila euro per la sua consulenza. È un prezzo fuori da ogni mercato, che va a un critico di nessun valore, totalmente privo di conoscenza dell’arte che non sia contemporanea. Di tanti sprechi e tante condanne eventuali e possibili questo è reale. È una cosa che non va fatta, è danno per Milano e furto all’erario”5.

Demetrio Paparoni, dal quale era partita la denuncia, chiamerà in causa la questione morale e scriverà ai vari responsabili di Expo 2015:

 “…Purtroppo la sensazione sgradevole che si ricava da questa vicenda è che ci troviamo dinanzi ai metodi della vecchia politica. Possibile che non si comprenda che, a forza di elargire cifre sproporzionate a personaggi in auge dagli anni della Prima Repubblica, si sta consegnando l’Italia a una deriva qualunquista? È una buona cosa che si sia tornato a parlare di “questione morale”, ma è auspicabile che chi ha il potere di farlo faccia seguire i fatti alle parole. Diversamente la sfiducia nelle istituzioni continuerà a crescere…” Conclude così: “Tenendo magari a mente che in Italia ci sono pensioni da ottocento euro al mese; che Pompei cade a pezzi; che la giovane arte italiana è ormai inesistente all’estero, proprio grazie ai mandarini del sistema dell’arte italiano che promuovono solo se stessi; che il direttore della galleria degli Uffizi di Firenze guadagna 1.890 euro al mese e che a Firenze le sale dello stesso museo non sono adeguatamente deumidificate. Per assenza di fondi”6.

I risentimenti si amplificano a dismisura quando “ottocento euro al mese” diventano 400 o ancora di meno; laddove è abnorme il divario tra ricchi e poveri e i primi, per lo più politici, detengono in mano la sorte di un’ intera popolazione considerata unicamente come portatrice di voti. Aumenta lo sdegno laddove tra la vita quotidiana del semplice cittadino e le Istituzioni si è issato un muro di sospetto e di disapprovazione. Mancano, nonostante le promesse politiche, le risorse necessarie da destinare al lavoro giovanile e ai servizi di base. Tuttavia si abbonda nelle spese destinate a restauri superflui; si eccede nelle avveniristiche  installazioni  minimaliste di cui sono colmi parchi e piazze. A volte si ripristina il vecchiume per poi abbandonarlo a se stesso. Strano come si riesca a reperire centinaia di milioni di euro per le manifestazioni artistico-culturali, sicuramente nutrimento dell’anima, e non si riesca a reperirle per creare lavoro da offrire ai  giovani, sicuramente speranza per il futuro. Questa è l’amara considerazione che fanno in molti.

Per concludere, cito un pensiero dell’architetto e professore di progettazione architettonica, nonché ex preside della facoltà di architettura dell’ateneo Roma Tre, Carlo Melograni. Intervistato da Francesco Erbani su La Repubblica del 10 novembre 2015 asserisce: “Siamo un paese che non aspira alla modernità, ma all’ultima moda”. Domanda l’interlocutore: “E quindi prevalgono i modernizzatori” – “Sì, risponde Melograni, quelli per i quali le regole da abolire non sono mai troppe. E che si concentrano sulle Grandi Opere”.

Nella libertà che è di tutti, ciascuno  tragga le proprie conclusioni.

Una cosa è certa: il disgustoso, il colossale, lo spettacolare, l’insolito,  il fascinoso e il trasformismo feticista che oggi investono tutto il sistema arte, sono diventati un’ossessione, un’attrazione fatale, sia per i fruitori che per gli artefici. Soprattutto per gli investitori.  Se fossimo un pochettino modesti e abbondantemente mediocri da permetterci uno sguardo in-dietro, consapevoli che “Chi arretra nel tempo avanza nella conoscenza7, probabilmente vi troveremmo Piccole Opere di grande qualità espressiva, artistica ed estetica, da contrapporre alle grandezze urlanti di oggi che altro non sono se non feticci e contenitori di feticci; scatoloni colmi di merci e  “firme”.

Grandezze!

Quello che oggi vale per esse, vale anche per la libertà (artistica): sono entrambe acquistate a buon mercato e vendute a caro prezzo. Ma non sono conquistate. Alcune grandezze soffrono della invarianza propria della massa, ragione per cui sono grandi anche dove non servirebbe che lo fossero, ma sono costrette ad esserlo; altre sono grandi e basta. Per fortuna non è così per tutte le Grandi Opere!   

 Note

1) Parma 360, festival della creatività: il sonno della ragione crea mostre. Di Luigi Boschi su:

http://luigiboschi.it/content/parma-360-festival-della-creativit%C3%A0-il-sonno-della-ragione-crea-mostre

2) Stesso link. Vedi commento di Haig:

Caro Luigi, ti rispondo brevemente. Tutta questa “creatività'” sbandierata a 360 gradi mi sembra l’ esatta rappresentazione del livello culturale di Parma.

Pistoletto è un bluff! Avevamo una Piazza probabilmente con troppo verde (d’altra parte frutto di tanti compromessi) ma non siamo riusciti a tenerla se non per pochi mesi… Su questo che resta un campo incolto ci si è fatto di tutto, quindi vanno bene anche i pallet dove Manifatturaurbana che mi sembra essere diventata il braccio esecutivo artistico culturale dei 5 stelle può esercitare la propria creatività da sobborgo parigino!

Con Botta…più’ volte abbiamo parlato del degrado del suo lavoro. Sinceramente non capisco perché abbia voglia di venire a Parma. Ma è fatto così. Io probabilmente non ci sarò. Ho un concetto di città’ ben diverso dove gli spazi hanno precisi significati e non possono essere utilizzati a seconda dello sponsor del momento.

Ciao. Haig

3) Vedi: http://www.intersezioni.org/schede2b2f.html?ID=16 “…l’articolato progetto dedicato a Pistoletto s’impone come riflessione che investe direttamente il destino dell’uomo e l’urgente necessità di un cambiamento radicale. Pistoletto considera l’arte non come estetica fine a se stessa, ma come occasione per una trasformazione sociale responsabile. E questo appare evidente sia nelle opere storiche dell’Arte Povera, sia negli interventi realizzati per il Parco di Scolacium. Non si tratta più di segni demiurgici proposti dall’Artista Vate, ma di creazioni che si pongono in stretta relazione con la collettività.” (Alberto Fiz: Il DNA del Terzo Millennio- Intersezioni 5- 2010. Parco Archeologico di Scolacium)

4) Vedi:La Cassa armonica ridotta a chiosco, scempio dopo restauri miliardari. Di Vincenzo Esposito su:

http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/cronaca/16_febbraio_09/cassa-armonica-che-divenne-chiosco-7316f2b8-cf73-11e5-88f1-516feb7879b3.shtml

5) Vedi: Sgarbi attacca il critico Celant su Expo: suo ingaggio uno spreco, su:

http://stream24.ilsole24ore.com/video/notizie/sgarbi-attacca-il-critico-celant-su-expo-suo-ingaggio-uno-        spreco/20140728_video_18193321?refresh_ce=1

6) Vedi: Expo 2015: Demetrio Paparoni sul caso Celant.

http://www.artribune.com/2014/05/expo-2015-demetrio-paparoni-sul-caso-celant/

7) Régis Debray. Vita e morte dell’immagine. Il Castoro, Milano, 2010, p.19.

8) John Ruskin. Le sette lampade dell’architettura, Jaca Book, Milano,1982

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6 COMMENTS

  1. Fallimenti e turbamenti anche nel Design

    Leggo con piacere il testo e mi complimento con te per i valori che mi ha trasmesso.

    Mi trovi in accordo con ciò che scrivi in quanto anche il design è turbato da mode che rendono superflua la funzione, con lo scopo  di  esasperare valori estetici di dubbio gusto o giustificare costi esorbitanti.

    Povero Munari, che rendeva bella la funzione e funzionale l’inutilità! Si starà rivoltando dal disgusto.

    Prendendo come esempio la Triennale Design Museum di Milano, posso affermare che comprendo sempre meno le opere esposte. Lo stesso allestimento, pagato fior di quattrini, non trasmette altro che una becera ricerca fine a se stessa. 

    L’errore alla base di tutto ciò credo sia il  Concetto che, se ritenuto di valore assoluto e superiore all’estetica e alla funzione (non dimentichiamo che il design nasce come arte applicata), crea chimere e non “ibridi”. La distinzione sta nel fatto che l’ibrido ha un equilibrio anche se spesso non può avere prole, quindi nell’arte è qualcosa che nasce e muore così com’è.  La chimera è disordine, squilibrio e nasce già morta,  geneticamente Povera,  come l’arte di Pistoletto.

    Michele