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Biomasse in salsa italiota

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Carlo Bertani

Premessa

Ogni tanto, capita di guardare la Tv anche a quelli che non la guardano mai: "Report" del 31 Ottobre 2010 – dedicato, nell’insieme, all’energia ed all’inquinamento – ha regalato agli italiani la sensazione che, anche quando nel Belpaese si cerca d’incamminarsi sulla buona via, si finisce in un viottolo colmo di spazzatura.

Le inchieste sull’eolico – prima la Sicilia, con gli aerogeneratori "con la coppola", poi la Sardegna e la vicenda della P3, che coinvolge addirittura i vertici del PdL, nella persona del suo coordinatore nazionale Verdini – poi gli impianti a biomasse che vengono scoperti a bruciare immondizia, gli inceneritori che dovrebbero bruciare CDR e, invece, "caricano" rifiuti speciali…meno male che il nucleare italiano è lontano come la Luna, altrimenti ci racconterebbero che la spazzatura è il miglior materiale per coibentare le "camicie" dei reattori.

La burocrazia e la corruzione dilagano, al punto che nessuno controlla le documentazioni presentate per le trivellazioni…sedi di compagnie straniere di ricerca petrolifera (quelle che, poi, indicano dove potranno essere perforati i pozzi!) in case private…insomma, le tre scimmiette: non vedo, non sento e non parlo.

Il substrato che sottende tutta la materia, poi, si nutre di un’ignoranza di quelle "grasse", fatte d’affermazioni categoriche senza nessun riscontro, di decisioni prese senza nessuna riflessione: su tutto, la convenienza, l’arricchirsi e basta.

Ci siamo occupati poco di biomasse, perciò è giunto il momento d’approfondire la materia.

Esperienze personali

Fino al 12 Febbraio 2010, riscaldavo la mia casa con una caldaia a legna/carbone in ghisa, un modello semplice, a tiraggio naturale: il diametro e l’altezza della canna fumaria (20 cm x 12 metri) garantivano un buon tiraggio. La caldaia, che avevo acquistato usata per pochi soldi, aveva una potenza di circa 35.000 Kcal (circa 41 Kwh) e saltò subito fuori una curiosità tutta italiana.

Mentre sulle targhette erano correttamente indicati i dati che ho riportato, sui relativi documenti era stata classificata con potenza massima di 29.000 Kcal. Perché? Poiché le caldaie di potenza superiore alle 30.000 Kcal richiedono maggiori precauzioni, sancite per legge: locale caldaia separato, dotazioni di sicurezza, ecc. Capito come s’aggira le legge? In ogni modo, provvidi ad isolare la caldaia con materiali adatti, a norma di legge, e mi dotai di un estintore.

Ma, proprio lo scorso Febbraio, mentre nevicava e stavamo accatastando un carico di legna (l’Inverno era stato più duro del previsto), nella parete della caldaia, in ghisa, comparve un piccolo foro, che il giorno dopo era diventato una voragine. Tentativi di saldatura falliti, caldaia gettata (dopo aver recuperato tutto il possibile) dal ferrivecchi e…freddo! Con 30 quintali di legna appena acquistata: quando la sfiga ci vede bene, l’unico rimedio è riderci sopra.

Stufa e camino, camino e stufa…che si fa?

Quando avevo installato la caldaia, avevo calcolato personalmente la quantità di calore necessaria per riscaldare una superficie di circa 140 metri quadri, con un’altezza media di 2,80 metri: erano necessarie circa 18.000 Kcal per ora. Questo, per un’abitazione del ‘400 con muri molto spessi ma serramenti…ancora d’epoca!

Le mogli sono sempre previdenti: Carlo, invecchiamo…non sarebbe meglio una caldaia a pellet? Giusto.

Fatta la ricerca, calcolato tutto il calcolabile, moltiplicato il gruzzoletto in banca per 3,14 e sottratte le temperature medie degli ultimi tre secoli, la scelta cadde su un modello di caldaia a pellet con potenza di 27.000 Kcal. Un po’ eccessiva, ma c’è sempre la vecchia idea di ristrutturare parte del piano superiore, dunque…

Per riscaldare la mia abitazione, a legna, dovevamo acquistare circa 140 quintali di legna l’anno, con una spesa approssimativa di 1500-1700 euro.

La nuova caldaia entrò in funzione il 12 Marzo successivo ma, dopo pochi giorni, le temperature salirono e, quindi, non ho dati attendibili per ciò che riguarda l’uso invernale, in una località priva di vento ma dove le temperature invernali s’attestano fra i -5 ed i +5 gradi centigradi, con qualche punta di gelo che è arrivata fino a -14. E, questo, soltanto perché vivo nell’abitato: nelle campagne, quei -14 erano invece -20.

Oggi, ad Autunno oramai avanzato, posso affermare che i dati che andrò ad esporre sono coerenti e, anzi, più ottimisti rispetto a quanto m’attendevo. Le due accensioni, mattina e sera, consumano circa un sacco di pellet da 15 Kg mentre, nel pomeriggio (la mattina non c’è nessuno) accendiamo un po’ il camino il quale, pur essendo un semplicissimo e secolare camino, ha un ottimo rendimento.

Nella ristrutturazione della casa, aggiunsi una lastra di metallo sul fondo del camino – che ha il compito d’accumulare e riflettere il calore – a sua volta isolata dal muro retrostante mediante un apposito pannello termoresistente. Il costo di gestione del camino è quasi trascurabile, giacché provvedo personalmente a rifornirmi a lato delle strade campestri, laddove abbonda il legname abbandonato.

Prevedo, quando le temperature s’abbasseranno, due accensioni: 4.30-7.30 la mattina e 15-22.30 durante il pomeriggio. In questo modo, il consumo sarà di 2 sacchi il giorno: qualora fosse necessario un riscaldamento continuato, giungeremmo a 3 sacchi il giorno, ma questo solo nell’Inverno più duro.

Per l’acquisto del pellet m’affidai ad una "cooperativa locale" spontanea, un semplice gruppo d’acquisto collettivo. Prezzo spuntato: 3,20 euro per il sacco da 15 Kg, confezionato in bancali da 84 pezzi.

Mi consigliarono d’acquistarne 5 bancali, ma decisi d’acquistarne 6 (per sicurezza) per una massa complessiva di poco superiore ai 75 quintali ed un esborso intorno ai 1.600 euro: subito m’accorsi che, se il costo era paragonabile a quello della legna, la massa era circa la metà. Come mai?

Ciò che stupisce, è la minima quantità di cenere che si trova nel cassetto della caldaia dopo aver bruciato 15 Kg di pellet: nemmeno un bicchiere.

Avevo già notato un fenomeno paragonabile nell’uso del camino (tradizionale, del ‘600): dando retta a mia madre, non tolgo la cenere tutti i giorni ma la lascio fin quando non ce n’è una quantità troppo elevata, che ostacolerebbe la combustione. Ebbene: la cenere di 5 giorni non è cinque volte quella di un giorno. Spiegazione di mia madre (citando la sua bisnonna): "la cenere si cuoce".

Il che, in un certo senso, è vero: dovendo setacciare la cenere per utilizzarla nell’orto, si nota che rimangono carboncini incombusti, che si possono mettere nella stufa o nel camino per far loro completare la combustione. Rimanendo nel camino, alla successiva accensione, completano la combustione.

Nella caldaia a pellet, invece, è la tecnologia a produrre il medesimo effetto: sapientemente regolata dall’elettronica, l’aria viene convogliata per una combustione perfetta. E, il rendimento della caldaia, è del 92%: si, avete letto bene, il 92%. Mi sa che dovrò trovare qualcuno che mi regali della cenere per l’orto.

Riassumendo, una caldaia a pellet, paragonata con una a legna (di modello antiquato), richiede pressappoco la stessa spesa ma brucia la metà della massa.

Ha, però, il vantaggio d’accendersi automaticamente la mattina molto presto per avere la casa calda quando ci si alza e di spegnersi, sempre automaticamente, all’ora della nanna. Possibilità che esistono anche per le moderne caldaie a legna (a fuoco verticale o "rovesciato"), le quali, però, non raggiungono quei rendimenti.

Per inciso, la mia caldaia potrebbe tranquillamente bruciare il mais ma, l’installatore e manutentore, mi ha sconsigliato: il mais contiene ancora dei grassi, e dunque la corrosione delle parti interne è maggiore. D’altro canto, non avevo nessuna intenzione d’usare il mais perché ritengo immorale bruciare alimenti per scaldarsi. Meglio affidarsi alla polenta ed alla Barbera. Che scaldano anch’esse.

Storie di foreste abbandonate, poi rubate, poi riconsegnate, poi dimenticate e di comici stralunati

Durante la precedente legislatura del Piemonte (Presidente Bresso) fu presentata (non so se giunse all’approvazione, ma ha poca importanza) la legge energetica regionale, ossia come il Piemonte intendeva partecipare per incrementare la quota delle energia rinnovabile.

L’idea scaturita da quella amministrazione ebbe un pregio ed un difetto, che esamineremo parimenti.

Il pregio era che, finalmente, tentava di promuovere l’uso sociale del territorio. In sostanza, affermava che i boschi cedui (ovviamente, non parchi, aree protette, ecc) non tagliati da 50 anni potevano essere tagliati d’autorità, salvo che i proprietari si facessero vivi e negassero l’autorizzazione.

Al taglio dei boschi sarebbe seguito il pagamento delle spettanze ai proprietari a prezzi di mercato, ed apposite liste degli appezzamenti destinati al taglio sarebbero state affisse precedentemente nei Comuni interessati.

A prima vista sembrerebbe un’ingerenza, una violenza, ma così non è, e per una serie di ragioni:

1- Il bosco ceduo ricresce spontaneamente e l’intervallo fra un taglio e l’altro è, generalmente, di 25 anni. Quindi, il lasso di tempo proposto era il doppio rispetto al normale intervallo di taglio.

2- Esistono numerosissimi appezzamenti di bosco dei quali i proprietari, oramai, conoscono l’esistenza per sommi capi. Sanno che il nonno aveva un bosco lassù, ma vivono e lavorano a mille chilometri e non sanno che farsene. Di più: in alcuni casi, a causa dell’emigrazione, non si sa nemmeno più a chi appartengano quegli appezzamenti. Dunque, si trattava d’utilizzare ricchezze che giacevano inutilizzate, senza privare nessuno della proprietà degli appezzamenti e pagando (anche se il costo d’acquisto del "taglio" è molto basso) il dovuto.

3- In ogni modo, se la persona interessata consultava le liste e s’opponeva, il taglio non veniva eseguito.

Insomma, la filosofia della legge era quella di portare almeno all’attenzione un patrimonio boschivo abbandonato, sul quale ogni nevicata che s’abbatte trascina tronchi sulle strade e nei fiumi, senza vantaggi per nessuno e costi per la riparazione dei manufatti (strade, canali di scolo, ecc) che l’incuria rovina.

Per capire come la situazione sia oramai fuori controllo – a causa proprio dell’abbandono delle professioni agresti – cito un caso personale: avvisarono mia moglie che un suo appezzamento boschivo era oramai maturo per il taglio. Parallelamente, però, nessuno era interessato a tagliarlo. Mah…pensammo…tanto nessuno lo taglia da chissà quanto…

Invece, venimmo a sapere che un lontano parente l’aveva tagliato anni prima ma, nel frattempo, era già invecchiato e morto! E non avevamo saputo nulla.

Il problema esiste: si può discutere sulla forma che la Bresso scelse per affrontare il problema, ma – almeno nel medio periodo – trovare altre soluzioni non è facile. Altra cosa sarebbe finanziare la riqualificazione di quei boschi per destinarli ad altro uso (legname per costruzioni, mobili, ecc) ma, in una nazione dove si parte con un agricoltore giovane contro 12,5 vecchi, la vediamo dura.

Dove, invece, quella legge prendeva una cantonata madornale era nella destinazione di quel legname: fornaci, per alimentare caldaie e, infine, ricavare energia elettrica. Come bruciare francobolli per scaldarsi.

Stabilito che i costi per trasportare a valle quel legname, per qualsiasi destinazione d’uso, siano i medesimi, conviene bruciarla con un’efficienza energetica del 35% per generare elettricità?

Diverso il caso se, oltre alla produzione elettrica, sia previsto il teleriscaldamento delle abitazioni: in quel caso, però, bisogna aggiungere i costi d’allacciamento e di gestione di un sistema complesso. Infine, oltre qualche chilometro non s’arriva.

In quel caso, ottimale, si giunge ad un’efficienza energetica massima dell’80%. Vorrei ricordare che, la mia piccola caldaia, senza tutto questo ambaradan, raggiunge da sola il 92% d’efficienza energetica!

Se, da un lato, dobbiamo considerare l’energia necessaria per la fabbricazione del pellet (o del cippato), dall’altro dobbiamo valutare quanto incide sui costi la complessità di un sistema centrale termoelettrica/centrale di distribuzione/condutture per l’acqua calda/singole abitazioni.

Insomma, senza ricordare Ockam, la soluzione più semplice è probabilmente anche la più vantaggiosa, anche perché esistono altri mezzi – fotovoltaico, eolico, idroelettrico, solare termodinamico – per ricavare direttamente energia elettrica e, il Piemonte, ha enormi possibilità d’incremento proprio nel campo dell’idroelettrico di bassa taglia. Basterebbe recuperare ai fini idroelettrici le migliaia di cadute d’acqua che un tempo alimentavano i mulini, oppure quelli ad acqua fluente dei fiumi.

Alcune fonti (Tondi, ENEA) stimarono in circa 850 MW – la potenza di una centrale nucleare – l’energia che si poteva recuperare in Italia dalle cadute d’acqua abbandonate, ma solo da quelle prossime ai centri abitati, più facilmente accessibili: altre fonti giungono a 4.000 MW.

Ecco come si può partire da una considerazione giusta – destinare alla collettività ciò che è inutilizzato – per giungere ad una soluzione che è la negazione dell’assioma originario, poiché la complessità della vicenda inficia tutto il resto. A meno che, tutto l’ambaradan fosse soltanto una elegante maniera per acchiappare Certificati Verdi.

Infine, scende in campo Beppe Grillo con un veemente post tutto centrato sulla sacrale difesa della proprietà privata – eravamo prima delle elezioni regionali, e Grillo doveva prendersela con la Bresso, mica con Cota per far eleggere i suoi – nel quale usa ironia ed allarmismo in una polemica puramente strumentale: vi portano via tutto! S’impadroniscono dei vostri boschi!

Ovviamente, sul resto, ossia sulla destinazione d’uso di quel legname, un silenzio che assorda: auguri, per quelli che ancora credono che le soluzioni siano i comici. Ne abbiamo già uno a capo del Governo, e ci basta.

Storie di canne e di strane polverine

Stefano Montanari ha il gran pregio d’esser stato uno dei principali alfieri nella lotta contro i cancrogeneratori, e d’averne più volte stigmatizzato i rischi. Lo scrivo e lo affermo senza piaggeria perché io stesso, fino a qualche anno fa, ero convinto che fosse possibile abbattere i fumi degli inceneritori con sistemi di filtrazione nei camini.

Montanari ha sfatato questo falso mito, citando studi epidemiologici, poiché attualmente non esistono sistemi di filtraggio per le nanoparticelle cancerogene e dunque – a meno che in futuro qualcuno riesca a dimostrare il contrario – gli inceneritori sono ancor peggiori delle discariche. I primi impestano l’aria, le seconde il terreno e le falde acquifere: così, in democrazia, possiamo scegliere sul come farci avvelenare.

Peccato che – riciclo delle materie prime mediante raccolta differenziata a parte – già esistano dei metodi di fermentazione per degradare le masse di spazzatura senza produrre inquinanti ed ottenendo metano. E, addirittura, un’azienda siciliana sta per mettere sul mercato un trituratore casalingo per creare compost, che ha le dimensioni di una piccola lavatrice, perfettamente inseribile nelle moderne cucine[1]. Ricordiamo che la cosiddetta "fase umida" rappresenta più della metà dei rifiuti casalinghi.

Tornando a Montanari, fui molto sorpreso, quindi, quando lessi un suo breve intervento[2] contro le biomasse da utilizzare per il riscaldamento: addirittura, era incriminata la legna!

La cosa che, però, più mi stupì fu leggere che, se si voleva creare energia dalle biomasse, sarebbe stato necessario seminare tutta la Pianura Padana con coltivazioni di canne, che sarebbero state bruciate negli impianti per la produzione d’energia elettrica con teleriscaldamento.

Qui, mi sa che ci sia tanta sapienza scolastica e poca consapevolezza dei problemi.

Anzitutto, le centrali a biomasse per la produzione di energia elettrica + teleriscaldamento possono essere installate solo laddove vi sia abbondanza di biomassa naturale, bassi costi di trasporto e linee di distribuzione dell’acqua calda non molto lunghe. La Pianura Padana e le canne, sinceramente, abbiamo addirittura difficoltà a capire cosa c’entrino: se qualcuno progetta un simile mostro, è da rinchiudere.

Probabilmente, il solito calcolo scolastico: tot GWh da produrre, tot rendimento, tot potere calorifico delle canne, tot superficie da coltivare. Ma l’approccio non può essere questo perché, nel mondo delle rinnovabili, bisogna ragionare sulla base di ciò che si ha a disposizione: in altre parole, essere flessibili ed aperti a tutte le soluzioni, non immaginare il totale dell’energia che "si sostanzia" in canne palustri o in foreste da radere al suolo.

Insomma, Montanari ha ragione quando afferma che il progetto delle "canne" è una follia, un po’ meno quando ci racconta che anche bruciare la legna è dannoso. Nelle piccole realizzazioni – caldaie familiari o condominiali – la quantità d’inquinanti che si forma è veramente esigua, e questo avviene grazie alle quasi perfette condizioni di combustione, assistita dall’elettronica (addirittura, le sonde lambda come nelle autovetture).

Insomma, abbiamo bruciato legna per secoli: la priorità, oggi, è smetterla di bruciare petrolio, carbone e gas. Questo, per due ragioni: poiché che fra pochi decenni non ce ne sarà più e perché, rispetto alle biomasse (se ben utilizzate), inquinano dieci volte tanto.

Le posizioni dell’ambientalismo "estremo" finiscono, in realtà, per sorreggere le tesi di ENI ed ENEL: se non siete in grado di scaldarvi con le energie naturali (e, oggi, pensare di riscaldare le abitazioni solo con sole e vento è una chimera), siamo qui per risolvere i vostri problemi…

Cosa utilizzare per scaldarsi?

Ho preferito far precedere la trattazione più ampia da un esempio "sul campo" e da alcuni tentativi d’approccio al problema, che potranno fornire ai lettori qualche consiglio se devono programmare un intervento, ma anche e soprattutto per comprendere come le possibilità offerte oggi dalla tecnologia consentono di "spremere" dal medesimo materiale circa il doppio dell’energia.

In questo quadro, è interessante notare che già esistono le prime realizzazioni di caldaie a "cippato" (in pratica, trucioli, noccioli, legno sminuzzato, ecc) per le abitazioni. Fino a pochissimi anni or sono, la maggior complessità d’installazione e manutenzione le relegava agli impianti collettivi (condomini, scuole, ecc).

Una delle difficoltà da superare per installare una caldaia a cippato – il cippato costa molto di meno del pellet – è la voluminosità delle tramogge destinate a contenerlo: curiosamente, la struttura ricorda – nel caso di tramogge esterne – quella delle vecchie caldaie a carbone degli anni ’50, laddove il carbone veniva scaricato nei cortili e, attraverso delle bocche di lupo, scendeva fino all’alimentazione della caldaia.

Queste realizzazioni sono quindi, per ora, destinate ad abitazioni che possano avere – magari nel retro – una zona destinata all’accumulo del combustibile. Nel caso delle caldaie condominiali, invece – sempre se è possibile accumulare il cippato, che è molto voluminoso – il vantaggio economico è senz’altro maggiore rispetto al pellet.

Per avere – a grandi linee – un raffronto dei costi di riscaldamento (che, ovviamente, dipendono anche da altri fattori: efficienza della caldaia, costo d’acquisto, ecc) si può affermare che, fatto 10 il costo del riscaldamento a gasolio, si scende a 9,5 con il metano ed a 5,5 con il pellet. Forse, la legna da ardere riesce a "spuntare" qualche decimale rispetto al pellet, ma è senz’altro meno pratica da movimentare, mentre il cippato raggiunge un rapporto ancor più favorevole.

Dai dati forniti ufficialmente da diversi organismi – dal Corpo Forestale alle associazioni di produttori di macchine agricole – le biomasse di scarto (industria del legno, scarti agricoli, ecc) ammontano ogni anno a circa 30 milioni di tonnellate.

Personalmente, ho voluto verificare la coerenza di quei dati ed ho scoperto che il solo riso produce, ogni anno, circa 1,2 milioni di tonnellate di biomassa di scarto: può darsi che quei 30 milioni di tonnellate siano ancora sottostimati, ma prendiamoli come base di discussione.

Ebbene, invece di bruciarle nei megaimpianti, se fossero destinate al riscaldamento domestico come nell’esempio proposto – considerando un consumo medio di 6 tonnellate, ma in un clima continentale, che non è certo la media italiana – sarebbero sufficienti per riscaldare 5 milioni d’abitazioni, ossia 15-20 milioni d’italiani che abitano nelle aree più fredde. Mica roba da poco.

A questo, si deve aggiungere l’1% circa del fabbisogno energetico nazionale che è rappresentato dalla legna da ardere, molto diffusa nei piccoli centri e nelle campagne: 2 MTEP che, trasformate in peso di biomassa, rappresentano circa 5 milioni di tonnellate.

E’ difficile quantificare, "sul nulla" o quasi esistente, se un tale approccio sarebbe sufficiente per risolvere il problema, giacché l’energia necessaria a Bolzano non è certo quella che si deve usare per riscaldare gli ambienti a Siracusa. Ma anche Imperia o Potenza.

Qui, vi sono molti fattori climatici che entrano in gioco, che possiamo valutare soltanto per sommi capi.

Visitai (molto sommariamente) un’abitazione in Croazia situata in zona costiera laddove avevano optato per il riscaldamento invernale mediante collettori solari, una scelta che viene spesso osteggiata per l’alto numero di collettori necessari.

In quel caso, c’erano 16 pannelli da 2 metri quadrati, per una superficie complessiva di 32 metri quadri, con sistemazione in parallelo/serie, ossia metà dei pannelli (in parallelo) inviava l’acqua già riscaldata dal sole nella seconda metà, per aumentare la temperatura dell’acqua. La seconda metà dei pannelli era dotata di un vetro in più con funzione isolante, e l’acqua raggiungeva così i 60-65 gradi in condizioni di cielo terso: a quel punto, l’acqua circolava in una serpentina nel recipiente di accumulo.

Come si può notare, le "variazioni sul tema" possono essere tante: ad esempio, se in zona costiera ventilata, potrebbe essere aggiunta una resistenza elettrica nel recipiente di accumulo alimentata con un aerogeneratore con potenza inferiore a 5 KW. Trattandosi di una mera trasformazione in calore, non sarebbe probabilmente necessario dotarlo d’inverter.

Anche le pompe di calore possono fornire un contributo non trascurabile, se solo ci fossero delle realizzazioni sperimentali "spalmate" sul territorio per avere dati certi per future realizzazioni su ampia scala, così come lo sfruttamento del "letti caldi" geotermici, oppure nelle aree limitrofe alla caldere vulcaniche.

Ma, con la possibilità di riscaldare le aree più fredde con le biomasse – decine di milioni d’italiani – nella parte meno fredda del Paese sarebbe più facile sviluppare altri sistemi.

Di certo, un diverso approccio – allo stesso tempo diffuso ma mirato secondo le situazioni – condurrebbe a risolvere gran parte del problema, ossia il riscaldamento invernale delle abitazioni, destinando le biomasse solo a quello scopo e riservando la produzione elettrica ad altri settori. Che, per inciso, è proprio la scelta ipotizzata in Danimarca per raggiungere alla metà del secolo la completa autosufficienza energetica.

L’unica cosa da non fare è pensare di realizzare "tutto" con una sola fonte: si finisce così per disboscare senza discernimento, oppure arenarsi fra le canne.

Sussurri, lamenti, grida e poi nulla di fatto

Se entrerete in un qualsiasi bar dell’Appennino, delle Prealpi o delle Alpi, dalla frontiera francese a quella slovena, fin giù alla Calabria – e riuscirete a portare la discussione sulla condizione dei boschi – sarà un armonioso coro, in mille dialetti, corroborato da gesti ed esperienze personali: i boschi sono sporchi, nessuno li pulisce, i giovani non hanno voglia di far niente.

Questo è uno dei migliori esempi di quanto sia contraddittoria la cultura borghese: basta che, il giorno seguente, uno degli avventori del bar scopra qualcuno caricare della legna (sia chiaro: legna a terra, secca, vecchia, senza tagliare nulla) e scoppierà l’inferno: quella roba è mia!

Dietro la vicenda dei "boschi sporchi", si cela uno dei dissidi e dei dibattiti più sanguinosi e apportatori di disgrazie che l’umanità abbia vissuto: le terre comuni.

Le terre comuni, sin dall’antichità, erano aree nelle quali tutti potevano raccogliere legna (diritto di legnatico) ed altri frutti ed ortaggi campestri che crescono spontaneamente come il crescione, insalate, il miele, oppure le mele e le prugne selvatiche.

In senso lato, quelle terre rappresentavano una sorta di "reddito di cittadinanza" per tutti, giacché alcuni bisogni primari (riscaldarsi e, seppur con frugalità, nutrirsi) erano soddisfatti mediante la raccolta di beni che crescevano spontaneamente. La popolazione, all’epoca, era scarsa rispetto ad oggi e le terre comuni erano vaste.

La fine delle terre comuni avvenne nell’Età Moderna, soprattutto a causa del commercio delle patenti di nobiltà, ma sarebbe qui lungo ed inutile soffermarsi sugli aspetti storici della vicenda: in sintesi, la loro scomparsa fu un "giro di boa" del capitalismo, che finì per assegnare ad ogni persona (quasi sempre un nobile) una proprietà certificata ed ereditaria, la quale garantiva ricchezza e rendite fondiarie.

Alcuni film sottendono l’argomento, quali Barry Lindon oppure Il piccolo lord, mostrando l’aspetto della rendita dalla parte dei nobili: non sono a conoscenza d’opere cinematografiche che mostrino l’altra facciata. D’altronde, la storiografia è patrimonio dei vincenti: inoltre, quale miglior mezzo per "invogliare" le popolazioni ad inurbarsi, ed a "scegliere" d’entrare in quelle galere mascherate che erano le fabbriche dell’epoca?

Come si può notare, le basi del capitalismo non sono verbo divino, ma storie di rapina poi codificate in modo d’apparire una logica conseguenza del diritto. Scritto, postumo, dai vincitori.

Oggi, la situazione – che ha dell’assurdo – vede quelle stesse terre nuovamente diventare – in qualche modo – "comuni", nel senso che la gran parte degli appezzamenti collinari e montani sono abbandonati oramai da decenni.

Per la comunità rappresentano dei costi, perché l’abbandono del territorio è il prodromo d’inevitabili disastri, poiché i rami ed i tronchi presenti in gran quantità sui declivi boschivi sono proprio la "materia prima" che forma quelle "teste d’ariete" le quali, sospinte dalla corrente dei fiumi in piena, s’abbatte contro i piloni dei ponti e li abbatte. Saggezza consiglierebbe di provvedere a concedere nuovamente libertà di raccolta del legname caduto a terra spontaneamente.

Eppure – invece di concedere nuovamente dei diritti comuni – se n’aggiungono altri, come il "diritto di fungatico" che viene ammesso solo dietro il pagamento di una tessera quasi ovunque. Vi sono oramai località dov’è addirittura proibito raccogliere castagne: le quali, se ne stanno bellamente a marcire nei fossi a lato delle strade.

I beni così perduti sono tantissimi. Ricordo un Agosto d’alcuni anni or sono, dopo un violento temporale: i fossi a lato delle strade erano colmi di prugne semi-selvatiche, che raccogliemmo a "secchiate" con un secchiello da spiaggia e preparammo così una deliziosa marmellata che durò alcuni anni.

Perché, il bene deve "inevitabilmente" distruggersi e non essere utilizzabile da chi lo potrebbe utilizzare?

Poiché, concedere nuovamente il diritto di legnatico (ancora presente in alcune località, poiché derivato da antichi statuti medievali rimasti in vigore) rappresenterebbe il venir meno di quella meticolosa identificazione della proprietà privata che è alla base del capitalismo. Piuttosto, si getta, ma non si deve venir meno al principio.

Immaginiamo, allora, cosa potrà accadere se proseguiremo su questa strada. Il comune, che richiede il pagamento delle tessere per la raccolta dei funghi, crede di farla franca ma un suo abitante si reca al mare con le canne da pesca al seguito. E quando il comune marittimo impone il "diritto di pesciatico"? Quando la città impone una tassa d’ingresso per soltanto osservare i suoi monumenti, il "diritto di passaggio?" E dopo che tutti avremo sancito i nostri diritti di "mirtillatico", "fragolatico", "lamponatico", "erbatico", passaggio, presenza…come finiremo?

Orgogliosi dei nostri sacrosanti diritti. E più poveri.

Conclusioni

Queste riflessioni ci servono per fare una prima affermazione: l’ignoranza della classe politica nasce – anche quando sono motivati da ottime intenzioni (il che, è raro…) – da una conoscenza "scolastica" del problema, inferendo a questo termine tutta la valenza negativa – dogmatica, infondata, categorica, assolutista – della corrispondente filosofia medievale.

L’energia, per loro, è un problema di quantità e di "percorsi" che sono presentati e regolamentati da incomprensibili leggi, zeppe di contraddizioni ed utili soltanto per favorire i soliti noti: non a caso Emma Marcegaglia, "regina" degli inceneritori, è oggi Presidente di Confindustria.

Il loro dogmatismo, da passacarte del chilowattora, non considera mai che l’energia – in Fisica – è un concetto astratto, mentre nella realtà è un fiore con molti petali, ciascuno molto diverso dall’altro. Si  nutrono di "energia ideale" come studiarono il "gas ideale", dimenticando che nessun serio ingegnere può realizzare qualcosa con i parametri del gas ideale, bensì deve assoggettarsi alla mutevolezza del gas che sta trattando.

La vicenda della "legge Bresso" e le fantomatiche canne di cui parlava Montanari mostrano proprio questo approccio dogmatico e scolastico, che non prende in esame le peculiarità del territorio, poiché nella vulgata globalizzatrice – per loro – sarebbe meglio se fossimo tutti esattamente uguali ed abitassimo in posti standard. Come i disegni dei bambini fatti con gli stampini.

Il naturale frutto di questa visione è che soltanto loro possono occuparsi di "risolvere" i nostri problemi e, per farlo, negano qualsiasi diritto anche quando sarebbe d’aiuto alla collettività – come nel caso della pulizia dei boschi, che andrebbe sancita per norma, libera per tutti a patto di non tagliare nulla – oppure fanno approvare dai loro lacché politici le famose norme che aggiudicano ai soli "esperti" la possibilità d’intervenire, senza lasciare altra possibilità.

Certamente, nel lungo elenco[3] delle centrali a biomasse italiane, ci sono luci ed ombre ma le caligini ombrose sembrano prevalere sulle poche luci. Soprattutto perché pochi impianti prevedono la possibilità del teleriscaldamento e della cosiddetta "filiera corta" per l’approvvigionamento: addirittura, biomasse importate dall’estero! Oppure, le solite truffe: impianti che nascono per bruciare biomasse (ed acchiappare i contributi Cip6 che tutti paghiamo nella bolletta dell’elettricità) i quali sono stati dichiarati illegali[4] dalla Commissione Europea e poi bruciano di tutto, anche rifiuti speciali e qualsiasi cosa un camion scarichi nella fornace.

A margine, notiamo che – quando l’UE s’esprime – si hanno diverse "sensibilità": quando si tratta di portare a 65 anni l’età di pensionamento per le dipendenti pubbliche, s’agisce in un lampo. Quando, invece, dichiara illegale bruciare rifiuti ed "assimilarli" alle energie rinnovabili, oppure sentenziare che Rete4 deve cedere le sue frequenze ad Europa7, si fanno orecchie da mercante. I soliti "misteri" del Belpaese.

L’essenza della questione riposa in un quesito: servono questi grandi impianti?

La risposta non può che essere articolata.

Stabilito che i grandi impianti – dovendo spostare enormi quantitativi di biomasse, soprattutto in un Paese che trasporta tutto sui camion – non sono certo economici (salvo per la truffa di bruciare rifiuti), sarebbe meglio destinare le biomasse per il riscaldamento domestico in impianti singoli e condominiali.

Laddove vi siano abbondanti biomasse a poca distanza (penso agli scarti del riso, ad esempio) può essere economico utilizzarli per generare energia elettrica, ma solo se è previsto il teleriscaldamento, altrimenti l’efficienza crolla al 35%.

Sarebbe inoltre opportuno testare, almeno su piccola scala, impianti ibridi – solare termico/biomasse, oppure piccolo eolico/biomasse od altri ancora – ma servirebbe una fase di sperimentazione, e la prima cosa che tagliano nelle Finanziarie sono i fondi per la ricerca. Scaroni ringrazia e il governo, ogni anno, tenta il "colpo" di cancellare gli sgravi fiscali del 55% per il miglioramento dell’efficienza energetica.

Sull’altro versante, non fa nulla per tassare le rendite finanziarie ed immobiliari, aggiungendo record su record per chi è ricco, vuole esserlo ancor più e non pagare mai nulla[5], mentre aumentano come un’iperbole le ore di cassa integrazione[6] e nessuno fa nulla: aumenteremo l’età pensionabile, taglieremo le liquidazioni e faremo tornare in pareggio il sistema. L’importante è che non si tocchino i nostri privilegi e quelli dei ceti che proteggiamo.

Conforta il fatto che gli impianti a biomasse come il mio siano più convenienti del metano, e tanti italiani se ne stanno accorgendo, ma rimane un dubbio sulle "filiere".

Questo perché un impianto medio per produrre pellet costa circa un milione di euro e non sono tante le persone in grado di sborsare una simile cifra per un investimento: qui, dovrebbero entrare in gioco le banche.

Ma le banche, dopo le varie "riforme" precedenti e successive all’adesione all’euro (ossia sotto la dittatura della BCE), sono state trasformate in S.p.A. mentre prima erano "enti senza fine di lucro", come il circuito delle Casse di Risparmio e quelle del Credito Cooperativo. E, i loro consigli d’amministrazione, sono spesso in combutta con il gran circo dei fossili, in una commistione fra controllori e controllati senza fine.

Come si può notare, anche le biomasse presentano delle interdipendenze con gli assetti economici scelti da questa classe politica: l’economia serve per accumulare denaro e non per soddisfare bisogni.

E, se non c’è modo di promuovere mediante appositi impianti le produzioni locali, l’unica scelta è una "marchionnata", ossia andare dove il lavoro costa di meno, i controlli sono solo sulla carta…eccetera.

Così, la sorpresa finale: dopo avermi assicurato più volte che il pellet che acquistavo era di provenienza locale "fatto con conifere e latifoglie delle valli di Cuneo", all’arrivo dei sacchetti lessi la scritta, piccola, in fondo, seminascosta: Made in Romania. Alla faccia delle "filiere corte".

Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte.

Carlo Bertani   www.carlobertani.it    http://carlobertani.blogspot.com/



[1] Vedi: http://www.scienzaegoverno.org/n/089/089_04.htm

[2] Vedi: http://www.stefanomontanari.net/sito/blog/archivio/155–a-caccia-di-biomasse.html

[3] Vedi: http://www.noinceneritori.org/index.php?option=com_content&task=view&id=987&Itemid=2

[4] Vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/CIP6

[5] Vedi: http://www.repubblica.it/economia/2010/11/14/news/inchiesta_finanziaria-9089676/?ref=HREC1-6

[6] Vedi: http://www.repubblica.it/economia/2010/11/13/news/cgil_cassa_integrazione_primi_10_mesi_sfondato_il_tetto_di_un_milione_di_ore-9061295/

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