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Ecco Vladivostok , la nuova San Francisco del Far East russo

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Quando il «pericolo giallo» è un’opportunità

(corriere.it) Pechino, Tokyo, Seoul: appesi sulla parete nell’atrio dell’hotel Baia dell’Amur, invaso dalla luce lattea del Pacifico, quei tre orologi sincronizzati sulle grandi megalopoli d’Asia dicono già tutto. Un quarto punta le lancette su Mosca, ma non è che una formalità quaggiù, al capolinea della Transiberiana, nella città più lontana al mondo dalla propria capitale: 9 ore di volo, 7 fusi orari, in mezzo c’è la Siberia. Tutt’intorno, a pochi passi, è Oriente, la frontiera scorre nel dna e il futuro, qui nessuno ha dubbi, è là. Grupponi di turisti cinesi arrivati in autobus si godono il sole in terrazza, affacciati sull’immensa baia del Corno d’Oro. «Sì, come a Istanbul» annuisce in perfetto mandarino la guida bionda. «Di fronte a voi, è Mar del Giappone». In spiaggia ragazzi e ragazze, windsurf in braccio, si affrettano per afferrare l’ultima onda della sera. Più tardi un rave su uno degli isolotti della zona, un tempo off limits. È questa Vladivostok, finis terrae dell’Urss, fortezza militare segreta e chiusa fino al 1991? Per anni ne giungevano solo notizie di black out energetici, contrabbando, criminalità. Oggi nel porto stanno ormeggiate ancora le vecchie navi da guerra della Flotta del Pacifico, prima sovietica e poi russa. Ma al molo accanto attraccano navi da crociera da Tokyo e Seoul, e ferry boat quotidiani approdano a Don He in Sudcorea, la prefettura nipponica di Tottori.

I businessmen scendono al quattrostelle Hyundai, devoti a un’equazione elementare: «A noi servono materie prime, a loro braccia e spirito imprenditoriale. Matrimonio perfetto» sintetizza Javver Jiang da Lingqiao, 180 km da Shangai, che ha aperto qui una ditta di cartone pressato impiegando locali. Da Tokyo arrivano le auto usate che fanno l’80 per cento del traffico cittadino, insieme a veicoli cinesi mai visti: si guida con il volante a destra. «E mangiamo il borsh con le bacchette » scherza Oksana, 22 anni, giornalista in erba. Come le sue amiche non ha mai messo piede a Mosca ma ha visto Cina, Corea, Vietnam; va a tagliarsi i capelli a Suifenhe o Harbin, trova trendy pranzare nelle bettole del mercato Sportivnaja, dove si comunica in uno strano pidgin russo-cinese: «Fanno la cucina migliore in città». Un futuro di bimbi dagli occhi blu a mandorla non le pare fantascienza. A Mosca chiunque la guarderebbe come un’aliena, per non dire schifato. Là la diffidenza per lo straniero è regola, qui il "multietno" è tradizione da almeno un secolo. E la Cina in boom un vicino della porta accanto, che ai giovani non fa paura. «Per noi» ammette «esotico è l’Occidente».

I nativi, immigrati anche loro un tempo da Caucaso e Ucraina, amano paragonare la propria città a San Francisco: c’è l’Oceano, e bei palazzi eclettici antichi sulle vie a saliscendi solcate dai filobus. Krusciov vi volle pure una funicolare: ancora funziona, porta al tempio buddista sulla collina. E presto Vladivostok avrà il suo Golden Gate. Nel 2012, per il summit tra i paesi del Pacifico, quando qui sbarcheranno i pesi massimi dell’economia mondiale, Usa inclusi. Un’idea di Putin, che vuol farne motore di sviluppo per tutta la regione. «È la nostra assicurazione sul futuro» gongola il governatore di Prymorie di cui "Vladi" è capoluogo, Sergey Darkin: «Oggi siamo l’unica città in Russia, con Sochi olimpica, dove con la crisi i cantieri non si sono fermati». Ma primo business resta il porto commerciale, sublime porta verso gli affamati vicini dell’est, immune dal ghiaccio e dominato dai grandi cargo della Far Eastern Shipping Company (Fesco), prima compagnia locale. Tutto export: legname, carbone, acciaio, pesce, e presto energia quando il nuovo gasdotto da Sakhalin alla Manciuria sarà completato. «Con il summit avremo anche un nuovo terminal, ma si può fare di più» incalza Aleksey Dovbysh, capo ufficio stampa del porto. «Chiudere le frontiere non serve, Mosca l’ha capito anche se continua ad alzare barriere ai commerci di frontiera. Cento anni fa questo era un grande porto franco. Il nostro destino è tornare a quel passato: un grande hub di trasporto Europa-Asia con zona duty free, come Hong Kong, Singapore, Shangai» è sicuro Andrey Voronoy, editore di V-City, prima rivista dedicata interamente alla città. Voglia d’indipendenza? «No. Serve solo un po’ di autonomia economica, magari uno status speciale». Per qualcuno è un incubo, per altri l’opportunità del secolo. Ma tutti sono d’accordo: la sfida più grande per la Russia degli anni a venire, si gioca qui.

Lucia Sgueglia
17 settembre 2009

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