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Gli animali e le persone in comunità

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Egregio Don Mazzi, seguo da decenni il Suo lavoro ed impegno. All’inizio con molto entusiasmo ed ammirazione (ho conosciuto moltissime persone che avrebbero avuto bisogno di un sostegno presso un’istituzione come la Sua, e, non ricevendo alcun aiuto, hanno intrapreso una strada decisamente in discesa, con le ovvie conseguenze drammatiche). In seguito sono sorti alcuni dubbi, conseguenti ad interviste da Lei rilasciate presso emittenti televisive (i settimanali come Chi non li leggo, ho trovato la copia sul periodico dell’ENPA).

Personalmente ho avuto un’infanzia estremamente sofferta, ero una bambina gravemente ammalata, e la mia consolazione erano la musica, la lettura e gli animali, ad iniziare dagli uccellini che sentivo cantare ed allietavano le mie giornate, alle lucertole, i ragni, le api, mosche, formiche che entravano in casa, ad un grillo che ho “adottato” – il mio primo animaletto – ai vari animali che mia nonna adottava e puntualmente mi portava (e quando stavo meglio andavo a trovare, perché erano tutti “miei”: criceti, canarini, parrocchetti, gatti siamesi e gatti trovatelli, cani, una cagnolina bolognese e molti altri). Il mio più grande desiderio, quando giacevo a letto divorata dalla febbre e dai dolori, era di avere accanto a me un gattino, che stesse disteso contro il mio corpo, a fare le fusa (come il celeberrimo gatto Oscar, che, in un noto istituto per anziani e malati di Alzheimer in America, assiste i pazienti nel loro ultimo viaggio : libro da leggere “le fusa di Oscar”, di D Dosa, uno scienziato, che , come Lei, non credeva assolutamente nell’utilità terapeutica animale, ed ha dovuto ricredersi). Adoravo anche la cagnolina bolognese, con la quale mi divertivo a giocare e a fare qualche passeggiata nel bosco, oltre a tutti gli altri animali, compresi una tartaruga, pesci rossi, topolini, piccioni e tutti gli altri.) Mia madre  ha insegnato a bambini e ragazzi autistici gravi presso l’Istituto Ryttmeyer di Trieste, ed io l’ho aiutata, portando qualche animaletto, soprattutto gattini, ma anche un criceto particolarmente docile, che hanno aiutato tantissimo queste persone speciali, chiuse nel loro mondo, ad aprirsi e ad accettare l’amore di un anima-le. Mia sorella, laureata in giurisprudenza, ha visitato il Carcere di San Vittore: i gatti randagi si sono installati a far compagnia ai detenuti, che, assieme a loro, hanno recuperato moltissimo, diventando addirittura bravi professionisti e migliorando tantissimo i rapporti tra di loro e con gli altri. Una detenuta, che ha adottato dieci gatti, ha detto a mia sorella che suo figlio verrà a prenderla con un furgone, per portare via i gatti, senza i quali non può continuare la sua esistenza. E quante persone anziane, che a Lei sicuramente non interessano, traggono l’unico giovamento da un cagnolino, un gattino, i piccioni sulla finestra, o magari, perché no, un capriolo o un cinghiale addomesticato? La mia vita è stata dolorosa: ho avuto dei parenti che avrebbero mandato in comunità da Lei persone più fragili di me; cattiverie, fregature, malattie; mia madre è stata trapiantata di midollo, sono sei anni di sofferenza, e visitare il centro ematologico a Udine sarebbe una bella terapia per i suoi ragazzi: lì ci sono ventenni ridotti come i filmati di Auschwitz, ventenni bravi, ragazzi che non hanno mai fatto del male a nessuno, colpiti da leucemie fulminanti. Quasi nessuno di loro ce la fa. Muoiono tra atroci sofferenze. È per questo che non giustifico i Suoi pazienti, ed ora, dopo aver letto la Sua delirante intervista, la quale non fa che confermare i miei dubbi, perché prova la Sua mancanza di empatia (l’empatia non è una qualità che si prova solo per una categoria di esseri viventi, se c’è, ovvero, se i neuroni a specchio sono sufficientemente numerosi ed attivi, la si prova sia con le persone che con animali e piante). Fa notizia portare Erica Di Nardo a cavallo, e dimenticare tutte le persone, anziane, giovani, giovanissime, che soffrono senza aver mai gettato via la propria vita in sostanze stupefacenti o facendo del male ad altri, ma venendo riempite di sostanze magari ancora più tossiche, in un calvario che li porta alla morte, nel vano tentativo di salvarsi la vita, aiutati a volte soltanto dall’amore di un animale. Lei insegna agli altri: ma avrebbe così tanto da imparare, perché i Suoi occhi sono chiusi, le Sue orecchie sorde, non come i ragazzi autistici, ma come una persona senza cuore.

FD Animal Behaviourist, M IACE

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