L’area postsovietica si allontana dalla Russia dopo lo scoppio della guerra in Ucraina

Corrado Zunino
Manifestazioni pro-Europa in Moldavia e in Georgia. Il primo giugno summit a Chisinau. “Se vedremo Putin nel nostro Paese lo arresteremo”. E dopo la Finlandia e la Svezia anche i Balcani occidentali si avvicinano all’Unione europea e alla Nato
ROMA – A Chisinau, capitale della Moldavia, piccola nazione costretta ad essere ancora cuscinetto in questa trentennale transizione che ha toccato l’Est Europa dopo la dissoluzione dell’Urss nel 1991, sono scesi in piazza – domenica scorsa – decine di migliaia di persone. Volevano sostenere il governo in carica, guidato dall’economista Maia Sandu ed impegnato in un viaggio di ingresso nell’Unione europea che dall’anno scorso vede il Paese ufficialmente candidato.
Ancora ieri la presidente Sandu, parlando da lontano a un convegno dell’Università Bocconi di Milano, ha detto: “Contiamo di entrare nell’Ue entro il 2030”. E ha spiegato: “La spietata invasione dell’Ucraina ha cambiato il modo in cui vediamo il presente e il futuro come individui, come Paesi e come una comunità democratica che ha pensato fino a poco tempo fa che le regole basate sull’ordine internazionale fossero incrollabili. Siamo in un frangente critico dove abbiamo bisogno di ridefinire la nostra sicurezza, la sicurezza energetica nei continenti e nel mondo. La Moldavia sta facendo la sua parte mantenendo la stabilità. Contribuiamo agli sforzi europei per aiutare i profughi, alle corsie solidali, alle missioni di pace, alla lotta contro il riciclaggio di denaro. Se Putin entrasse nel nostro territorio?”, le hanno chiesto. “Lo arresteremmo”.
Questo Stato poco più grande della Lombardia e compresso tra l’Ucraina e la Romania, solo due milioni di abitanti, dopo aver visto l’amputazione nel ’92 della Transnistria, diventata filorussa dopo la guerra dei due anni, teme per la tenuta di un altro pezzo della nazione, la Gagauzia, regione a sud della capitale dove vive una comunità di origine turca e le istanze autonomiste, già garantite dal Parlamento moldavo, sono molto forti. Lo scorso 31 aprile in Gagauzia si sono tenute elezioni politiche tra candidati esclusivamente rivolti veso Mosca e al ballottaggio del 14 maggio ha vinto Evghenia Gutul, candidata del Partito Shor dell’oligarca Ilan Shor, accusato di aver preso soldi dal Cremlino per organizzare un colpo di Stato a Chisinau e condannato a 15 anni di carcere per il furto di un miliardo di dollari dalle banche del Paese. Anche su quest’ultime elezioni locali vive il sospetto di brogli.
Traversata, quindi, da tensioni interne, la Moldavia si appresta a ospitare a Chisinau – sarà tra una settimana, giovedì 1 giugno – un summit della Comunità politica europea con 47 Stati partecipanti. Il vertice sarà focalizzato su tre argomenti: sicurezza, questione energetica e mobilità. Il messaggio che Ursula von der Leyen vuole inviare a Vladimir Putin, tuttavia, è quello di “creare una narrativa geopolitica occidentale che includa i Paesi partecipanti”, ha spiegato un funzionario europeo. Tra i Paesi presenti, ci saranno l’Ucraina (ancora non si sa se rappresentata da Volodymyr Zelensky), l’Armenia, l’Azerbaigian, la Georgia, la Turchia e i Paesi dei Balcani Occidentali.
Ecco, la Georgia: un’altra potenziale preda della Russia, che l’ha sconfitta e disarmata nel 2008 in una guerra in grado di filiare gli staterelli filo-Mosca dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia. Il Paese che ha dato i natali a Josif Stalin si sente perennemente minacciato e nutre, da tempo, la volontà interna di entrare nell’Unione europea: nel marzo 2022 è stato il premier Irakli Garibashvili a firmare la candidatura ottenendo tre mesi dopo, però, uno stop dall’Europa: Bruxelles non può accogliere un Paese che tiene in prigione uomini dell’opposizione politica. La Georgia, va ricordato, con i suoi poco più di tre milioni di abitanti, è sulla linea di confine tra l’Europa e l’Asia. Tiblisi è sullo stesso meridiano di Teheran, portarla in Europa significherebbe estendere la Comunità molto a Est. Tra l’altro, anche il Piano d’azione Nato prevede di inglobare la Georgia.
Dopo le adunate pro-Europa allestite sul Viale Rustaveli di Tiblisi con l’inizio della guerra in Ucraina e la ribellione popolare dello scorso marzo per la legge contro le Ong straniere, in questi giorni i cittadini georgiani sono tornati in strada per protestare contro la ripresa dei voli diretti tra Mosca e Tiblisi, una settimana dopo che il Cremlino aveva inaspettatamente revocato un divieto che durava da quattro anni. Ecco, c’è una piazza che chiede l’Europa e leader di governo che devono invece tenere conto di un’economia zoppicante e una relazione necessaria con l’ingombrante vicino russo.
La situazione in una delle aree più instabili del mondo resta complessa, ma, certo, di fronte a un presidente della Russia che voleva riattrarre a sé una ex Repubblica (l’Ucraina) e minacciarne altre due (Moldavia e Georgia), è accaduto che tutte e tre le nazioni abbiano chiesto, dopo l’invasione, l’ingresso in Unione europea. Ucraina e Moldavia sono candidate a tutti gli effetti, la Georgia è candidata potenziale.
Con l’invasione del 24 febbraio 2022 è successo, ancora, che, mentre Putin voleva allentare la pressione della Nato a Ovest (iniziata nel 1997 con l’adesione all’Alleanza atlantica della Polonia), altri due storici Paesi occidentali, questi di ispirazione neutralista, abbiano chiesto l’ingresso nell’organizzazione militare nordatlantica: sono Finlandia e Svezia. La prima l’ha ottenuta lo scorso 4 aprile. Hanno chiesto di far parte della Nato l’Ucraina, nel 2008, la Bosnia Erzegovina e Il Kosovo nel 2022. Oggi la Nato ha 31 membri al suo interno e metà (14) sono Paesi che ruotavano attorno all’ex Unione sovietica.
A questo doppio ingrandimento – politico e militare – dell’Occidente, si aggiunge la velocizzazione sia del “processo europeo” che dell’”adesione alla Nato” nei Balcani ex comunisti. Erano tre i candidati all’Unione europea prima della Guerra in Ucraina: la Serbia, storico alleato della Russia, quindi Bosnia-Erzegovina e Montenegro. Il Kosovo lo è diventato nel dicembre 2022 e la Macedonia del Nord è osservatrice alle riunioni dell’Unione. A questo blocco dell’ex Jugoslavia va aggiunta l’Albania, nazione ruotante nella sfera post-sovietica. La paura nei confronti dell’aggressività di Putin ha spinto i singoli Paesi ad accelerare le diverse pratiche di adesione. Slovenia e Croazia, tra l’altro, sono già in Ue da tempo e quotidianamente distanti dalla Russia.
Per un leader, Vladimir Putin, sempre più distante dall’Europa e che aspira a un ruolo primario nel continente asiatico per la Russia, nei quindici mesi di guerra ha conosciuto prese di distanza da parte di diverse, e ricche, ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale. Al processo di de-sovietizzazione del mondo iniziato nel 1991, nel 2022-2023 si sta affiancando quello di de-russificazione. 25 MAGGIO 2023
Fonte Link: repubblica.it