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L’ESTETICA SANGUINARIA

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Erzebet Bathory la contessa sanguinaria
Erzebet Bathory la contessa sanguinaria

Giuseppe De Filippo
Premessa. Contro l’estetica sanguinaria: Lo sterminio di animali in funzione estetica

…la compassione per gli animali è la più preziosa qualità dell’uomo e io (come uomo), sono tanto più felice quanto più la sviluppo in me. Sono contento di avere cominciato a compatire i polli, i montoni, i conigli, e né li mangio né li desidero, sono contento di compatire i topi, e li lascio scappare, invece di ammazzarli, e sarò contento quando compatirò le zanzare e le pulci.

Lev Nikolaevic Tolstoj

 Contro la caccia e il mangiar carne, a cura di G.Ditadi,
Isonomia, Este (PD), 1994, pp. 85,86,87. 

A forza di sterminare animali s’era capito che anche sopprimere l’uomo non richiedeva un grande sforzo.
 Erasmo da Rotterdam 

Premessa 

   Che l’uomo contemporaneo sia in preda ad una follia annientatrice sembra un fenomeno innegabile che rischia di edificare una Realtà cruenta, il cui inasprimento ad oltranza ci renderà, molto probabilmente, attori-spettatori insensibili alla sofferenza e indifferenti alla morte. Come se non bastassero gli eccidi etnici e religiosi; le pandemie, le catastrofi ambientali e le calamità naturali che alimentano un crescente terrore panico; come se non bastassero gli stupri di massa su donne misere e indifese, e neanche le violenze sessuali sui minori; come se non bastassero la violenza psicologica, le mutilazioni genitali e gli spregi estetici perpetuati dall’uomo sulla donna: come se tutto ciò non bastasse, si ricorre spesso alla gratuita violenza sull’Animale.  

Joel-Peter-Witkin-Glassman-foto-di-cadavere

Violenza non considerata come tale in ragione della discriminazione specista tra animale umano e animale non umano. Pertanto, ci sembra di vivere la notte più tenebrosa della ragione (estetica), timorosi che nessuna luce potrà rischiararla da tanta abissale oscurità.  Ovviamente, la realtà cruenta va riflettendosi e consolidandosi in violenza estetica, palesemente visibile nelle immagini artistiche ritraenti cadaveri veri, corpi umani mutilati, volti letteralmente smerdati;

Joel Peter-Witkin
the kiss (bacio tra veri cadaveri)
David Nebrera con il volto ricoperto di merda

ibridi uomo-animali, mutanti mostruosi, sconcertanti nella loro vitrea inespressività fortemente ricercata. Per finire con gli scaricamenti fecali direttamente sulla tela; con la pratica dei clisteri (scioccanti quelli eseguiti sul palcoscenico dal cantante, musicista e performer Genesis P-Orridge); con la “menstrual art”; con gli smembramenti dal vivo di animali, praticati nelle performances degli anni ’60 da molti artisti dell’Azionismo Viennese. Infine il più traumatico: l’autolesionismo con oggetto il proprio pene, ecc. ecc.   Il tutto supportato da intenzioni critico-estetico-espressive, salvifiche.

   Ma è soprattutto la morte, a volte esibita squallidamente dal vivo, di indifesi animali a farci chiedere se una tale gratuita e sanguinaria estetica non sia l’effetto drammatico di un mascherato degrado dell’intelligenza umana giunta, nonostante le sue superbe conquiste conoscitive, al capolinea dell’abbrutimento totale. Topi, esposti nella recente Biennale di Venezia 2013, Padiglione della Macedonia, NOTA cani, conigli, splendide e indifese farfalle, scoiattoli, zebre, squali, leopardi, diventano in vario modo vittime sacrificali sull’altare dell’arte. Perché?

   Molto probabilmente, le cause di tutto ciò rimandano all’attanagliante vuoto esistenziale, al febbrile bisogno di visibilità il più delle volte fine a sé stessa. Scontiamo una sovrabbondanza di significati estetico-critici cervellotici, sibillini, che rasentano la pretenziosità; significati riempitivi di quel vuoto ma che reiterati nel calderone dell’informazione mercificata perdono anche la loro funzione colmativa, e di fatto nemmeno suppliscono più.

   In questa condizione di smarrimento dell’uomo va inserita l’azione insensata di ricorrere all’ uccisione di animali in funzione estetica.

   Al contrario di quanto scientificamente teorizzato sulla importanza dell’alterità animale (il cui contributo, afferma Roberto Marchesini, è stato “tutt’altro che passivo nel complesso ontologico dell’uomoal punto che bisognerebbe “riconsiderare i debiti referenziali contratti dall’uomo con l’alterità animale”)
(Roberto Marchesini, Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, Bollati Boringhieri, Torino 2002)
,
l’arte predilige la strada dell’abbattimento animale e più in generale della dissoluzione estetica. Sovvertimenti dovuti anche al convincimento che le due sfere, etica ed estetica, abbiamo finalità e percorsi diversi, nonostante sia la carne reale ad essere massacrata e posta in croce, proprio in nome di una volontà estetica, immemore che la violenza è sempre una risposta irrazionale all’impotenza creativa o esistenziale; violenza che dal punto di vista biologico viene considerata un istinto indispensabile alla salvaguardia della specie.

        A tutt’oggi siamo lontanissimi, per cultura e sensibilità, dal poter considerare i nostri “debiti referenziali” con gli animali non umani come lo scimpanzè, con il quale condividiamo gran parte del patrimonio genetico: il Dominio, il Regno, il Phylum, la Classe e l’Ordine, la stessa Famiglia e Tribù, ma non lo stesso Genere e la stessa Specie, ovvero l’Homo e il suo epiteto H.sapiens. Appellativo, sapiens, che da solo dovrebbe bastare ad elevarci al di sopra del maltrattamento nei loro confronti.       

   Se tale nobile elevazione ci viene preclusa dall’innato impulso violento, tanto più è necessario perseverare nell’azione educativa contro la crescente e degradante ideologia della violenza, affinché essa non ci getti nel baratro di una perdizione totale. 

   La violenza origina violenza e la sua ideologia la rende terrificante; si genera e rigenera in forme sempre nuove restando immobile in sé stessa. Proprio questo vuole dirci Wolfgang Sofsky:

La violenza è il destino della nostra specie. Ciò che cambia sono le forme, i luoghi e i tempi, l’efficienza tecnica, la cornice istituzionale e lo scopo legittimante.
(W.Sofsky, Saggio sulla violenza, Einaudi, Torino 1998, p.188)  
Ma in nome di quale estetica, che non sia quella sanguinaria, dovremmo uccidere gli animali e quale ne sarebbe lo “scopo legittimante”?

   Rassegnarsi a questo destino estetico di soppressione è cosa tristissima oltre che eticamente inammissibile, tanto più perché sacrifica non-umani inermi. Purtroppo, la sfera espressiva adducendo le più svariate motivazioni extrartistiche, continua a rendersi complice di tale mattanza.

   René Girard sostiene:
La violenza viene di frequente definita ‘irrazionale’. Eppure non le mancano i motivi; sa anzi trovarne di ottimi quando ha voglia di scatenarsi…
(nota: René Girard, La violenza e il sacro, Adelphi Edizioni, Milano1992, p.15.)

Nessuna spiegazione al maltrattamento e all’uccisione di animali a fini artistici sarà mai accettabile: resterà sempre e comunque una violenza gratuita, esercitata nei confronti di esseri indifesi che mai e poi mai potrebbero dichiarare una guerra difensiva contro il loro carnefice uomo-artista che, imperterrito, riversa su di essi le proprie inquietudini, in un rapporto di forza chiaramente impari. Carnefice è il Sapiens Sapiens!

   E se questo tipo di violenza, facilitata dalla vulnerabilità degli animali, fosse soprattutto una pura e semplice reazione alle insoddisfazioni umane che si celano dietro la maschera dell’Arte? 

   Il filosofo Roberto Bertoldo, dopo un’approfondita analisi sul fenomeno della violenza, conclude che l’affidamento alla lucida ragione potrebbe quanto meno ridimensionarlo.

Non dobbiamo usare la violenza come reazione, per esempio alla nostra frustrazione, dobbiamo prevenirla la frustrazione, impedire che ci venga inflitta. Quand’è reazione, la violenza è anarchica, meramente distruttiva, ma se è preventiva e individuale (…) è costruttiva. Per fare questo dobbiamo dotare l’individuo di forza e questa forza è soprattutto mentale, la sola in grado di controllare le reazioni e adeguarle alla propria individualità (…)
Roberto Bertoldo, Profili e contraddizioni della violenza su: VVV Valore, Verità. Violenza. Volume collettaneo, Fondamenta Nuove, periodico quadrimestrale, Ivrea 2006, p.97.

Ma, se la mente umana, alla quale Bertoldo assegna una rilevanza superiore al pensiero, è l’unica forza controllatrice e regolatrice dell’innato impulso violento; l’unica preposta al governo del difficile esercizio dei rapporti interpersonali basati sul delicato equilibrio tra Io e Tu, tra attese e pretese individuali e collettive, a loro volta fondati sul reciproco rispetto, tale che nessuno prevarichi sull’altro e non ci sia, pertanto, il tiranno da una parte e l’oppresso dall’altra: perché allora è impossibilitata a debellare questo insensato gesto sanguinario rivolto verso gli animali non umani che nulla rivendicano contro gli animali umani?

   Che l’uomo, nonostante il suo alto grado di civiltà, di conoscenze e di competenze, continui a praticare tale gratuita violenza significa che la parabola dell’odio e del male non è ancora giunta al suo culmine paradossale, perché egli se ne ravveda razionalmente!

   Nel mentre all’interno della legge del bruto destino della violenza cerchiamo, speranzosi, una valida ragione che la delegittimi nelle sue svariate manifestazioni, prolificano sia lo sterminio di animali, in funzione estetica e non, sia le efferate performances artistiche, in funzione iper scandalistica.

   Mattanza animale e performances violente si moltiplicano all’infinito, dentro e fuori dal recinto estetico, come se fossero un inevitabile ed appagante divertimento d’autore. Questa che sembra essere l’impossibilità dell’uomo e dell’artista di reagire fermamente a tali fenomeni ricorda l’effettiva incapacità di opporsi alle correnti e alle onde marine da parte degli organismi nectonici

       C’è il sospetto che l’artista si comporti parimenti a tali organismi, che sia, quindi, inidoneo a reagire alle correnti uniche che lo trascinano di qua e di là coattamente.  

   Che non sia piuttosto diventata un accurato e macabro divertissement fine a sé stesso? “L’unico sollievo delle nostre miserie è il divertimento”, affermava Pascal. Pensieri. Antologia, a cura di Adriano Bausula SEI, Torino 1983, pag. 70, traduzione di Adriano Bausula e Remo Tabella, Rusconi, Milano 1978.

   Un divertimento, la cui miseria non sta in quell’astenersi dell’uomo dal pensare la morte, che secondo Pascal lo rendeva illusoriamente felice, ma sta viceversa nell’ostinarsi a rappresentarla esteticamente, tramite la reiterazione di immagini sempre più cruenti. La persistenza del sanguinario riconfermerebbe, anche nel caso meno eclatante, uno stato di immutabile malessere che va ulteriormente declinando l’arte come nevrosi e l’estetica come patoestetica.

   Purtroppo l’unico conforto, a questa che sembra essere la tirannia del memento mori, è liberarsene fastosamente, infliggendola agli animali non umani e all’uopo mascherarla di intenti artistici e di fede religiosa, sempre in ragione di una deliberata abreazione.

 

   Un gesto, questo della violenza sulla vita e sull’animale, reso miserevole dalla sua spettacolarizzazione e dal fatto che la mano omicida non incontri tabù, né ostacoli di alcun genere. Cosicché, l’artista d’oggi, che non è l’Abramo di ieri chiamato da Dio a testimoniare la propria fede con il sacrificio, immola deliberatamente arieti sopra arieti, in nome di una crudeltà specista che non si pensava potesse entrare nel regno dell’Arte da indiscussa sovrana. Tale mano quale principio adempirebbe?  

   Risponderebbe al convincimento che l’impulso violento è un innato meccanismo di difesa, come tale ineludibile. Difesa da cosa, e contro chi, se la mente umana è consapevole di agire contro indifesi ed inoffensivi animali? Tali perché mai si sognerebbero un atteggiamento reazionario e dispotico verso i loro carnefici sapiens. La mente umana sa che le reali minacce di morte non provengono dal mondo animale, ma dall’uomo. Allora perché tanta mattanza?

   Pertanto, l’artista che si affida ad essa a quale automatismo difensivo risponderebbe e a quale prova di fede, se neanche Dio gli si manifesta?

   L’uomo e l’artista obbedirebbero alla loro anima avvilita, rassegnata a perpetuare una violenza compensativa, come effetto dei loro conflitti interiori irrisolti, che niente hanno da spartire con l’Arte. La coazione a ripetere tale carneficina non è uno stile artistico, né di vita, ma un aggravante che rasenta la depravazione etica.  

   L’arte, in ragione del suo essersi imprigionata, da oltre mezzo secolo, in un sentire sanguinario va sempre più consolidandosi come immobile palcoscenico dell’orrido.

 

 

NOTA

“Abbiamo inviato una segnalazione alle autorità”, annuncia Cristina Romieri, “per verificare la regolarità dei vari permessi di tale installazione “artistica” che ha provocato in molti, anche con l’intenso odore, disgusto e pena per gli animaletti prigionieri. Ricordando le proteste e gli esposti contro le varie installazioni irrispettose e lesive nei confronti degli animali delle precedenti esposizioni ed eventi collaterali: creatività e arte hanno pieno diritto ad esprimersi, ma nella necessaria considerazione di ogni essere vivente, colombi-chiocciole-carpe-galline-pulcini e anche ratti compresi. Tali esibizioni sono poi altamente diseducative, perpetuando quel rapporto di arrogante e violento dominio del genere umano sulle altre specie animali.

La Nuova Venezia – 6 giugno 2013

https://www.sivempveneto.it/biennale-venezia-la-macedonia-mette-in-mostra-topi-esposto-animalista/

 

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