L’EREDITA’ DI CUCCIA? 150.000 EURO
Il lascito del fondatore di Mediobanca ai figli Aurea, Silvia e Pietro Beniamino. E non ritirava il compenso da presidente onorario
Stefano Agnoli
(Corriere.it) MILANO — Il «banchiere dei banchieri», «il silenzioso burattinaio del capitalismo italiano», «lo spietato sacerdote del grande capitale». Quando Enrico Cuccia morì, poco meno di sette anni fa, furono solo alcuni dei titoli riservati dai quotidiani al fondatore di Mediobanca, protagonista di mezzo secolo di economia e finanza italiana. Un uomo minuto, magro e incurvato, che si poteva incontrare la mattina, in centro a Milano, intento ad attraversare a piedi Piazza della Scala nel tragitto verso via Filodrammatici. Ma se la riservatezza, l’enorme potere, e lo stile di vita quasi monacale sono attributi che fanno ormai parte integrante del ritratto un po’ stereotipato di Cuccia, non è meno sorprendente scoprire come alla sua morte, il 23 giugno 2000, i beni personali del banchiere novantaduenne — del “signore della finanza” — si esaurissero in un conto corrente bancario. Quello aperto proprio alla sede centrale dell’allora Comit, la Banca Commerciale Italiana del suo vecchio maestro Raffaele Mattioli e dei primi passi della sua lunga carriera. IL CONTO IN PIAZZA SCALA – Un conto corrente con un deposito di poco più di 150 mila euro. Anzi, per la precisione, con denaro liquido pari a 303 milioni e 305 mila vecchie lire. Nient’altro, secondo il documento rintracciato dal «Corriere» all’Agenzia delle entrate, lo stesso consegnato dagli eredi qualche settimana dopo all’Ufficio registro successioni di via Ugo Bassi a Milano, corredato di imposta di bollo per trentamila lire. «Il miglior banchiere d’Europa» – come disse Andrè Meyer, suo amico e patron della Lazard, a Cesare Merzagora – non ha lasciato neanche un testamento. Non ce ne sarebbe stato bisogno, visto che ufficialmente, al di là del conto corrente alla Comit, non esisteva un’eredità da dividere, composta magari di immobili, azioni, titoli e beni vari. I dettagli della situazione patrimoniale di Cuccia, per la verità, non sono del tutto accessibili e come si evince dai documenti all’Agenzia delle entrate risultano gelosamente custoditi nello studio dei commercialisti di fiducia della famiglia, quello milanese dei Dattilo. Creato da Giuseppe, siciliano di Siracusa, e gestito dal figlio Maurizio, lo studio è uno storico consulente fiscale di Mediobanca. E di recente ha avuto un ruolo anche nella vicenda che ha portato alla costituzione della Telco, la nuova holding di Telecom Italia. Ma al di là del muro che ha sempre circondato le vicende dei creatori e degli epigoni della banca milanese, a parlare sono le carte disponibili. Per il 1999, l’anno prima della morte, Cuccia dichiarava al fisco di percepire circa 350 milioni netti di vecchie lire. Entrate derivanti per più della metà soprattutto dal fondo di previdenza privato, e per il resto dalla pensione Inps e da quanto riconosciuto da Mediobanca in virtù della carica di presidente onorario: ovvero 163 milioni di lire, al lordo delle ritenute. A proposito di questa compenso, i funzionari della Mediobanca di allora ricordano che l’anziano banchiere non volle mai incassarlo. Tanto che dalla sua segreteria, non potendo disporre diversamente, un bel giorno si decise, con qualche imbarazzo, di accreditarglielo automaticamente, quasi di nascosto. LA VILLA SUL LAGO – L’ennesimo aneddoto destinato ad alimentare la panegiristica sull’indiscutibile rigore di un banchiere unico e irripetibile? E tuttavia, malgrado fosse un navigato conoscitore degli strumenti della finanza italiana e internazionale, Enrico Cuccia non ha lasciato ai suoi eredi nulla che vada al di là delle possibilità di una agiata famiglia borghese. Dalle stesse carte risulta che anche la famosa villa «da venti stanze e cinquemila metri di giardino» di Meina, sul lago Maggiore, la località dove il banchiere è sepolto (e dove la salma fu trafugata nel 2001 per poi esservi di nuovo sepolta) non rientrava nella sua disponibilità. L’abitazione è proprietà dei tre figli da più di dieci anni, per un terzo ciascuno, ed è in realtà l’eredità lasciata dalla moglie, la signora Idea Nuova Socialista, una delle figlie del fondatore dell’Iri Alberto Beneduce (le altre due si chiamavano Vittoria Proletaria e Italia Libera). Scomparsa nell’ottobre del 1996, anche lei riservatissima, per un puro caso fu ritratta poco tempo prima della morte in un servizio fotografico a passeggio per Roma e in compagnia del marito. I tre figli di Enrico Cuccia – Aurea (la più anziana), Silvia e Pietro Beniamino (il più giovane) – viaggiano inoltre sopra la sessantina e vivono tutti e tre a Milano, dove risultano proprietari di appartamenti in zone residenziali, nei pressi della Fiera e di Brera. La figlia Silvia ha lavorato come professoressa di matematica, mentre Beniamino da gennaio dello scorso anno ha fatto il suo ingresso nel consiglio di amministrazione di una piccola società farmaceutica in provincia di Como. Insomma, come ha scritto nel 2003 Antonio Maccanico (al vertice di Mediobanca al momento della privatizzazione dell’87-88 e nipote di un altro presidente, come Adolfo Tino) è forse proprio vero che «il danaro per Cuccia era solo un mezzo», e che «la società dello scandalo Enron non lo avrebbe capito, lo avrebbe forse emarginato». Non solo la società dello scandalo Enron, ma forse anche quella delle laute stock-option, dei superbonus e delle buonuscite plurimilionarie. (27 maggio 2007)