Generazione Bitcoin, viaggio tra i fan della moneta virtuale
Della valuta digitale, inventata dal misterioso Satoshi Nakamoto nel 2008,, è stato celebrato più volte il funerale. Ma ora anche i guru della finanza la elogiano. Reportage sui suoi fan riuniti a New York
dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI
NEW YORK – Goldman Sachs e JP Morgan Chase, due colossi di Wall Street che qualcosa capiscono di monete, hanno creato piccole squadre di trader che scambiano Bitcoin. Il Tesoro degli Stati Uniti, garante del dollaro, riconosce l’esistenza di Bitcoin come “moneta virtuale decentrata”, una definizione meno inquietante rispetto a “cripto-moneta”, termine che altri prediligono. Il Congresso di Washington se n’è occupato in diverse audizioni e ha deciso di non vietare Bitcoin. In Argentina c’è stato un momento in cui faceva seriamente concorrenza al peso, e il governo di Buenos Aires ha fatto di tutto per contrastarla. In diversi paesi del sudest asiatico viene usata per le rimesse degli emigrati. Entrata ormai nel sesto anno della sua esistenza (fu concepita dal misterioso Satoshi Nakamoto nel 2008, creata nel 2009), di questa valuta digitale è stato celebrato più volte il funerale. Prematuro. Un crac nella Borsa virtuale di Tokyo dove si scambiava; uno scandalo con arresti per traffico di droga sul sito Silk Road che operava in Bitcoin: tutto ciò non è bastato a bloccare la sua avanzata.
Per capire l’atmosfera che circonda la valuta virtuale, l’ardore che anima i suoi fan, ho seguito un raduno di esperti, aficionados e utenti. Nella capitale della finanza globale. Nel cuore di Manhattan, la conferenza su Bitcoin è stata ospitata in un luogo illustre e prestigioso, la New York Public Library che si affaccia su Bryant Park. Niente spirito da carbonari, nessun clima da cospirazione. Tutto alla luce del sole. E un pubblico molto speciale: soprattutto giovani, ad alto livello di istruzione. La stessa fauna umana che incontro quando vado al Google Lab e alla sede di YouTube al Chelsea Market; o nelle facoltà scientifiche della California; o nei campus di Apple e Facebook nella Silicon Valley. Un universo di talenti giovanili, accorso ad ascoltare alcuni guru. Tra questi Nathaniel Popper, autore dello studio più aggiornato su Bitcoin (“Digital Gold”); il venture capitalist Fred Wilson, uno dei maggiori investitori nelle piattaforme tecnologiche che usano Bitcoin; il reporter finanziario della Cnbc Andrew Ross Sorkin che segue questa valuta dalle origini; infine l’ingegnere capo della Fondazione Bitcoin, Gavin Andresen.
Nonostante la platea giovanile, erudita, tecno-sofisticata, il linguaggio non è per iniziati. Si parte dalle domande più semplici, essenziali. Dov’è un Bitcoin, posso vederlo? No, non esiste in forma cartacea, solo digitale. Bitcoin è un’azienda privata? Ha un padrone, un chief executive? “No – spiega Popper – è una realtà decentrata, proprio come Internet. Neanche la Rete è un’azienda privata, non ha un padrone”. Sorkin fa un esercizio umile e utile: “Come si può spiegare Bitcoin a un bambino di tre anni?”. O forse, meglio ancora, a un adulto di sessanta? Una prima risposta: “È come l’oro digitale, un bene scarso e quindi prezioso, ma sprovvisto di un’esistenza fisica”. Un’altra definizione più interessante: “È come la posta elettronica, l’email, ma per trasferire denaro anziché parole; e senza bisogno di passare da una banca”. Fuochino fuochino. La platea si scalda quando si arriva al nodo cruciale: “Bitcoin è convalidato dai partecipanti, dal basso, non da un governo o da una banca centrale”, sottolinea Sorkin.
Il venture capitalist è quello che usa il linguaggio più tecnico, parla di una “peer-to-peer database”. Tentando di tradurre in un italiano per tutti, potremmo dire una banca dati gestita tra simili, su basi di parità, senza gerarchie. “Proprio come Internet – ribadisce l’investitore Wilson – la cui forza sta nella struttura decentrata, ragion per cui nessuno può pensare di bloccare la Rete con un black-out che colpisca il suo centro di comando”. Ma lui stesso arriva subito alla dimensione politica. L’analogia con Internet lo aiuta. “In altri campi – dice il venture capitalist – abbiamo visto come la Rete ha abbattuto barriere d’accesso, ha democratizzato l’informazione. Ciascuno di noi può esprimere la sua opinione su Facebook. Ebbene lo stesso approccio anti-gerarchico lo vedo in questa moneta. Io credo nella Rete, credo nel movimento open source, dove nessuno è ai comandi. Credo nell’abbattimento delle barriere d’accesso, che si tratti della carta stampata, della televisione, o della creazione di moneta”.
Tutta la storia delle monete è intrecciata con la storia politica: dare a Cesare quel che è di Cesare, significa anche riconoscere il diritto sovrano di stampare moneta. Re e imperatori hanno usato e abusato del signoraggio. La nascita delle banche centrali, piuttosto recente rispetto alla storia della moneta, è sempre e comunque segnata dalla necessità di esercitare un controllo istituzionale sulla liquidità, sul sistema di pagamento, sull’andamento dei prezzi e delle ragioni di scambio fra nazioni. Bitcoin attira, soprattutto negli Stati Uniti, quel mondo giovanile che si definisce “libertarian”: anti-Stato, di destra o di sinistra. Tra i politici, hanno captato questa corrente soprattutto i due repubblicani Ron e Rand Paul, padre e figlio, vicini al Tea Party. Che a un certo punto proponevano di abrogare la Federal Reserve, cioè la banca centrale più potente del mondo. (Da quando Rand Paul è in corsa nelle primarie per la candidatura presidenziale, ha messo la sordina a quell’idea radicale).
“È vero per tutte le monete – conferma Popper – che la loro validità dipende dalla fiducia che ispirano. Cioè, alla fine, dipende dalla gente. La cultura libertaria è una motivazione per molti adepti di Bitcoin. Non sarebbe sopravvissuta fin qui, se non ci fosse dietro così tanta passione”. Qualche numero aiuta a capire di che tipo di “sopravvivenza” stiamo parlando. L’agenzia Bloomberg – la più grande centrale d’informazione finanziaria nel mondo – ormai segue le quotazioni di Bitcoin come di qualsiasi altra moneta, o bond, o azione. La circolazione massima è stata fissata a 21 milioni di Bitcoin – il principio della “scarsità” – ma per ora ne sono stati creati solo 14 milioni. Bitcoin ha una volatilità elevata – uno dei suoi peccati mortali secondo alcune banche centrali – cioè il suo valore ha oscillazioni estreme. Rialzi e ribassi sono stati 17 volte più accentuati di quelli del dollaro rispetto ad altre valute. Ai prezzi di ieri, il totale dei Bitcoin esistenti valeva quasi tre miliardi di euro.
Come si creano i Bitcoin? Non essendoci una banca centrale, ci sono tanti “minatori”. Che estraggono Bitcoin non da miniere fisiche, bensì da giacimenti virtuali. “All’inizio – ricorda Popper – si creavano i Bitcoin risolvendo dei complessi problemi matematici. Adesso la produzione è ancora più complicata, richiede un software specializzato. Se uno cercasse di estrarre i Bitcoin usando il sistema originario, impiegherebbe in media 35 anni. Ora i minatori sono come delle persone che acquistano un biglietto della lotteria”. Paragone incauto? E’ difficile seguire l’iter della creazione di Bitcoin senza avere le vertigini, o essere assaliti dai dubbi. “Ma quando appare una nuova tecnologia è sempre così – dice Wilson – ci si addentra su terreni inesplorati. Bitcoin è il tassello mancante di Internet, quello che occorre per trasformarlo in una infrastruttura anche finanziaria”. Un monito alla platea entusiasta della New York Public Library, lo lancia Sorkin: “Fin qui ci sono molte più persone che hanno perso soldi con Bitcoin, di quanti ci abbiano guadagnato”.