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CONVEGNO FISBI: INTERVENTO DI DAMIANO GUSTAVO MITA

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Relazione al Convegno FISBI del Prof. Damiano Gustavo Mita
Presidente Federazione Italiana Società Biologiche (FISBi) e Presidente Consorzio Interuniversitario INBB

La data di questo appuntamento era stata scelta alcuni mesi or sono in previsione del concomitante dibattito parlamentare sulla legge finanziaria con la speranza di riuscire a far recepire alla controparte parlamentare alcune delle necessità del mondo della ricerca. Siamo stati facili profeti e da ieri è iniziato in aula il dibattito sulla finanziaria. Il titolo del Convegno mi è sembrato abbastanza provocatorio, anche in considerazione che nessuno vorrà immaginare che veramente la ricerca sia un lusso per il nostro paese. Le passate finanziarie, tuttavia, giustificano il nostro interrogativo.
L’agenda di Lisbona 2000, memorandum ai governi europei per promuovere forti politiche di Ricerca ed Innovazione, sembra per l’Italia un lontano ricordo o meglio un sogno proibito. L’obiettivo di destinare il 3% del PIL nazionale alle attività di ricerca e sviluppo si è scontrato con il feed-back negativo fra bassa crescita e scarse risorse disponibili a ricerca ed innovazione. Uno rapido sguardo alle ultime Finanziarie evidenzia che siamo di fronte ad una netta diminuzione degli investimenti e della spesa ordinaria in ricerca. Eppure gli uffici dell’United States General Accounting hanno evidenziato che numerosi studi di singoli settori, condotti su basi fortemente empiriche, convergono nello stimare un rendimento medio degli investimenti in R&S tra il 20 ed il 30% annuo.

Nessun investimento, al giorno d’oggi, ha una resa così elevata. Per quanto concerne, più specificatamente, i benefici economici delle attività di ricerca di base, una recentissima rassegna effettuata dalla Science Policy Research Unit dell’Università del Sussex (UK) ha identificato una molteplicità di specifiche ricadute, quali:
• aumento delle conoscenze liberamente accessibili;
• aumento di personale di alta qualificazione;
• aumento del numero di prodotti e processi di interesse industriale;
• incremento nel numero di brevetti;
• creazione di nuove imprese high-tech.
Basterebbero queste poche indicazioni per poter concludere che la ricerca non è un lusso, ma una necessità per lo sviluppo economico di un paese ed invece ogni anno ci troviamo a discutere su questo tema ed a fare pressioni affinché il sistema politico si renda conto di questa necessità ed agisca di conseguenza. La beffa è che tutte le parti politiche, sia quando sono maggioranza che quando diventano opposizione, riconoscono l’importanza della ricerca, la indicano tra le priorità delle proprie azioni politiche ….ma poi se ne dimenticano. Negli ultimi venticinque anni si è fatto tanto poco in riferimento alle promesse fatte che rimane ancora di grande attualità la famosa "relazione DADDA", redatta all’epoca della Presidenza Craxi. Se dovessi fare oggi una relazione sullo stato del sistema ricerca ed università in Italia farei mia quella relazione, premettendo che le raccomandazioni che andrei a proporre sono raccomandazioni di minima, giusto per tamponare le necessità di un sistema che di anno in anno sta crollando sotto i colpi delle varie finanziarie.
I problemi del nostro sistema ricerca sono di due tipi: uno finanziario e l’altro di "capitale umano". Per quel che riguarda i fondi in Italia è stato fatto poco per aumentare la nostra quota di Ricerca e Innovazione. Il Quadro Europeo di valutazione dell’innovazione (European Innovation Scoreboard) ci ha visto scivolare, nel 2006, dalla fascia degli "inseguitori" a quella dei "ritardatari". Il nostro Paese non solo non riesce a recuperare, ma fatica anche a tenere il passo dei suoi concorrenti tradizionali confinanti come la Francia e la Germania che hanno incrementato di oltre 1/3 nel periodo 1996-2005 la produzione ed esportazione di prodotti hi-tech. Contemporaneamente i paesi scandinavi (Svezia, Finlandia, Danimarca) hanno intensificato gli investimenti in ricerca e capitale umano. Il risultato è che mentre l’Europa sta mettendo in campo risorse ed iniziative per evitare che il centro di gravità della Ricerca e Innovazione si sposti da Occidente ad Oriente, l’Italia sembra ferma. Nel corso del 2005, la spesa in Ricerca della Corea ha raggiunto il 3% del PIL del Paese (gli investimenti europei in ricerca non vanno oltre l’1.85% del PIL). Nello stesso tempo la spesa in Ricerca della Cina, pur non arrivando che all’1.4% del PIL è cresciuta dal 1999 al 2005 ad un tasso medio annuo superiore al 20%. Uno studio dell’Ocse indica che nel 2006 gli investimenti cinesi in ricerca hanno raggiunto i 136 miliardi di dollari. La Cina è così in seconda posizione assoluta dietro gli Stati Uniti (330 miliardi di dollari), mentre il Giappone (130 miliardi di dollari) risulta al terzo posto. Molto più indietro si collocano i paesi europei. Se l’Europa sta male, l’Italia sta peggio: per quel che riguarda gli investimenti in Ricerca e sviluppo, con il nostro circa 1% del PIL siamo quasi il fanalino di coda tra i paesi europei.
Anche per quel che riguarda il "capitale umano" siamo tremendamente in ritardo. I protagonisti della ricerca e dello sviluppo tecnologico in Italia sono molteplici, ciascuno con competenze e ruoli propri, molto spesso organizzati in scomparti non comunicanti. Alcuni svolgono attività di ricerca come fine istituzionale, ad esempio gli enti pubblici di ricerca. Altri invece dedicano alla ricerca solo una parte delle risorse, come le imprese industriali. Un ruolo importante è quello delle istituzioni (Ministeri, Regioni, ecc..) che, attraverso risorse pubbliche, incentivavano e sostengono la ricerca e lo sviluppo. In particolare il settore privato svolge mediamente il 48,7 % dell’attività nazionale di ricerca e sviluppo intra-mura, al settore pubblico (università, enti pubblici di ricerca ed altre istituzioni pubbliche) corrisponde il restante 51,3%. Nonostante questa molteplicità di interessi verso il mondo della ricerca e dell’innovazione, in Italia è presente il più basso numero di ricercatori per unità di PIL fra i Paesi europei con una percentuale sulla popolazione attiva pari allo 0,33% , contro lo 0,61% della Francia e della Germania e lo 0,55% del Regno Unito. Da queste considerazioni ci si dovrebbe aspettare una bassa produttività da parte dei nostri ricercatori. Per fortuna non è così. Secondo i dati contenuti nell’indagine condotta da David A. King (Nature, 14 luglio 2004, The Scientific Impact of Nations, pag. 315) risulta che
• L’Italia si classifica al terzo posto nel mondo, dopo USA e UK, per il numero di lavori scientifici per ricercatore;
• Il numero di proposte di finanziamento presentate dai nostri ricercatori nel VI Programma Quadro è stato di poco inferiore a quelle di Germania e UK e che le proposte accettate e ammesse alla negoziazione per il finanziamento nei progetti sono state 538 (Germania), 452 (Francia), 448 (UK) e 420 (Italia).
• Il numero di brevetti depositati presso l’ European Patent Office e l’US Patent Office è passato da 2879 nel 2000 a 4235 nel 2003, con un incremento di circa il 47% in soli 4 anni, molto più dell’incremento del numero dei ricercatori.
• L’incidenza delle pubblicazioni scientifiche italiane sul totale di quelle dei paesi dell’OCSE è passato dal 4,59 del 1998 al 4,97% del 2002, un incremento di circa il 9%. Analogo incremento si registra nel numero di citazioni e in quello dei lavori più altamente citati. Nessun paese al mondo ha avuto una crescita così alta, tranne il Giappone che ha una quota superiore di articoli più citati.
Se tutto questo è vero, e non c’è da dubitarne …. quali sono i problemi della ricerca italiana e perché c’è molta insoddisfazione, meglio dire insofferenza, fra gli addetti ai lavori? Ritorniamo al punto di partenza: scarsità di fondi e di capitale umano. Ma non è solo questo: meno quantificabile, ma altrettanto grave è la perdita di fiducia che le cose possano cambiare.
A mio parere i fondi per la ricerca in Italia potrebbero rendere molto di più se: 1) ci fosse un serio sistema di valutazione sia ex ante che ex poste; 2) se si creasse una reale banca dati dei contributi concessi, dei destinatari di tali contributi e delle reali fonti di erogazione; 3) se le priorità e le necessità della ricerca, dico "ricerca" e non "ricerca nazionale", fossero indicate non sulla base dei ricercatori in precedenza individuati per il finanziamento ma sulla base di quello di cui il Paese ha veramente bisogno di sviluppare. Per quel che riguarda la valutazione immagino che siamo tutti d’accordo, almeno a parole, e quindi non mi dilungo oltre. Per quel che riguarda la banca dati vedremmo che piove sempre sul bagnato, i migliori sono sempre gli stessi solo perchè hanno una grande capacità di inventarsi esperti in tutti i settori: vecchi, nuovi e futuri. Per quel che riguarda le fonti di finanziamento mi torna ancora in mente una delle figure grafiche iniziali della relazione Dadda: un layout quasi impossibile da seguire. Questa è dispersione dei fondi perché le stesse attività di ricerca vengono commissionate a soggetti diversi in quantità a volte irrisorie. E vengo al terzo punto: le vere priorità per il paese. Si è avuta l’impressione che i pochi bandi di ricerca recentemente pubblicati, grossi bandi per entità di finanziamenti, siano stati preconfezionati su singole realtà scientifiche, mascherate da priorità. In qualche caso l’impressione si è dimostrata una realtà. Il vero problema, però, non è tanto questo quanto il fatto che si è passati dai finanziamenti a pioggia del passato …a finanziamenti rilevanti a poche unità, dimenticando che, probabilmente, anche per i finanziamenti, "in medio stat virtus".
E veniamo all’altro problema per la ricerca italiana, quello del capitale umano. La mancanza di nuovi concorsi a tutti i livelli sta creando difficoltà enormi e sta incrementando quel fenomeno, tipicamente italiano, della fuga dei cervelli. Tentativi di recupero, vedi l’IIT di Genova- che nessuno ha mai voluto e la cui nascita era stata vista dalla intera comunità scientifica nazionale come una imposizione – stenta a decollare e presenta dei punti di criticità su cui sarebbe opportuno riflettere. I cervelli non solo non tornano, ma quelli buoni se ne vanno anche perché, con le politiche attuali, nessuno è disposto a decenni di attesa prima di un posto stabile. Riuscire a trattenere nel nostro Paese i migliori giovani talenti è un dovere di cui la politica deve farsi carico, introducendo quei sistemi di valutazione idonei e garantendo risorse cospicue proprio nell’ambito del reclutamento dei giovani ricercatori. Se il meccanismo di carriera continuerà a basarsi sul criterio dell’anzianità, è ovvio che molti giovani rimarranno esclusi in partenza. Ci sono stati promessi nuovi posti di Ricercatore a carico del Ministero … ma la lentezza con cui si sta procedendo sta vanificando l’effetto positivo sperato per l’entità dei numeri, così come inevasa è risultato l’ incremento per i fondi di ricerca dei PRIN … programmi per i quali al momento appare difficile prevedere anche la sola fine dell’iter valutativo per il corrente anno. Tutto questo scoraggia ed allora possiamo veramente considerare degli eroi i nostri giovani che, nonostante le continue disillusioni, continuano a sacrificarsi per l’ideale. attraverso il sistema dei contratti a termine.
In questi giorni è iniziato il dibattito sulla finanziaria: ecco alcune semplici proposte per ridurre il disagio del nostro mondo:
1. rafforzare la base scientifica del paese attraverso il sostegno alla ricerca di base e alla ricerca fondamentale "mission oriented", favorendo le confluenze multidisciplinari;
2. sviluppare il capitale umano per la scienza, particolarmente all’interno di progetti di ricerca di eccellenza;
3. abolire per i giovani l’obbligo di cofinanziare le proprie richieste di finanziamento;
4. intensificare la collaborazione tra sistema pubblico di ricerca e le imprese;
5. incrementare il livello tecnologico del sistema produttivo anche promuovendo "spin off" e "start up"di nuove imprese ad alta tecnologia.
Credo di aver preso molto tempo e mi scuso, ma sono sicuro di aver dato alcuni spunti di discussione. Vorrei ora rivolgere alcune domande agli intervenuti, che ringrazio ancora una volta per aver accettato l’invito, domande alle quali mi aspetto chiare risposte.

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