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Afghanistan, l’altra spina di Obama

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Federico Rampini

(repubblica.it) Elezioni truccate, brogli sistematici organizzati dal governo "amico" di Karzai. Talibani all’offensiva. Escalation di vittime fra i soldati americani e inglesi. Scandali fra i mercenari privati al soldo del Pentagono. E adesso l’ennesima strage di civili per un bombardamento "sbagliato" della Nato.

Dopo la sanità, l’Afghanistan oggi è il secondo punto debole di Barack Obama, che lo penalizza nei sondaggi. L’Afghanistan infatti è diventato ormai a tutti gli effetti una "sua" guerra, non più soltanto un lascito di Bush.

Da quando Obama ha deciso l’invio di altri 21.000 soldati, e ha definito l’Afghanistan una "guerra di necessità", ha fatto propria la visione dell’Amministrazione precedente, secondo cui combattere i talebani in casa loro è indispensabile per ridurre il rischio di un altro 11 settembre.

Anche in questo caso, il tasso di innovazione della presidenza Obama è andato rapidamente riducendosi, rispetto alle immense aspettative sollevate in campagna elettorale. Non a caso la delusione del movimento pacifista in America è cocente.

E anche gli alleati europei, pur confortati dal linguaggio multilateralista di Obama, devono ridimensionare le proprie speranze. Se i neocon di Bush davano per scontato il sostegno dell’Europa all’America (salvo poi essere costretti a ricredersi di fronte agli "strappi" di Berlino e Parigi sull’Iraq), oggi sono gli europei che rischiano di dare per scontata un’armonia di vedute con Obama che non sempre c’è.

Del resto il primo presidente a portare un nome d’impronta araba, e ad avere vissuto da bambino in un paese musulmano, eredita un dilemma geostrategico nei rapporti con l’Islam che non fu inventato dai neocon.

La crisi degli ostaggi Usa a Teheran avvenne sotto il democratico progressista Jimmy Carter, e i preparativi dell’attacco di Al Qaeda alle Torri gemelle maturarono sotto Bill Clinton.

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