Home Rubriche Gian Carlo Marchesini E infine: Barcellona!

E infine: Barcellona!

180
0

Gian Carlo Marchesini

Il primo impatto con Barcellona mi ha fatto balenare in testa due termini opposti: bellezza e fetore. Al porto specialmente, a dominare è il secondo, che risalendo per le ramblas verso il cuore della città via via scompare per fare spazio alla crescente sensazione di bellezza. Una bellezza che non è mai clamorosa – alla Roma, o Parigi, o Londra: ma che richiama invece termini quali solidità e benessere, ordine geometrico e pulizia, civiltà e saper vivere, vitalità e allegria.

Certo, i due giorni a Barcellona sono stati i primi miei di quella città in assoluto, e hanno giusto coinciso con la festa di San Giorgio, l’apoteosi della rosa e del libro. E in quell’evento unico il centro della città si riempie di centinaia di migliaia di persone, prevalentemente giovani in comitiva, prevalentemente donne e famiglie con bambini amanti della festa, del libro, dell’arte e della cultura.  Sono convinto di avere goduto di un grande privilegio, di avere avuto di e da Barcellona il miglior battesimo. Ho utilizzato il non molto tempo  a disposizione per camminare in lungo e in largo il più possibile, fermandomi in pause deliziate dentro calli e passaggi e al centro di giardini, piazze e piazzette colme di verde, grazia e musica. Ho frequentato la sera con un gruppo di amici già esperti conoscitori della città alcune delle tapas migliori, assaporando quanto di meglio dei sapori scoppiettanti di cui è ricca la tradizione culinaria spagnola e catalana.

Abbiamo incontrato un gruppo di italiani che da anni vivono e lavorano a Barcellona, amici del poeta Beppe Sebaste e con lui invitati nel loro locale di specialità italiane, metà pizzeria metà rivendita di un’ottima mozzarella, per un reading amicale delle nostre cose. Da questi amici padovani e bresciani abbiamo ascoltato affascinati la loro storia. In buona sintesi, una decina di anni fa hanno avuto, come forma di pagamento di cospicui crediti accumulati nel tempo presso alcuni imprenditori casertani, un centinaio di bufale. Hanno predisposto a dimora e allevamento un loro terreno nel bresciano trasformandolo in mozzarellificio, hanno aperto il locale a Barcellona e ora sono apprezzati fornitori di mozzarelle squisite in questo appetibile mercato. Ad ascoltare, assaggiare e brindare, c’erano anche un giovane avvocato originario di Trento, un paio di docenti universitari romani inseriti come aggregati a tenere corsi di insegnamento nell’Università di Barcellona. La Spagna – ci hanno spiegato – ha saputo negli anni scorsi utilizzare al meglio i fondi previsti dall’Europa per allargare e potenziare sperimentazione e ricerca, attirando così risorse giovani e qualificate dagli altri Paesi europei. Cosa che l’Italia si è ben guardate dal fare.

La mattina successiva, all’Istituto Italiano di Cultura, ospitato in una splendida palazzina in un  passatge colmo di verde delizioso, noi della nave dei libri siamo stati ricevuti dal direttore generale che per la verità non è che ci abbia fatto una grande impressione: quella piuttosto del viveur che si concede in queste occasioni ufficiali senza lasciare traccia di vera passione e competenza nel suo lavoro così delicato e rappresentativo (la cultura italiana in una città come Barcellona: ohibò!). Qualcuno ci ha poi spiegato che oramai in questi Istituti vengono nominati come responsabili non i capaci e meritevoli, ma gli amici degli amici scelti in virtù di una formula che è un furbo escamotage clientelare: "per chiara fama". Vai poi a capire di che tipo e origine…   Migliore figura hanno fatto ai nostri occhi il bibliotecario dell’Istituto e la signora che hanno creato al suo interno un attivo circolo di lettura. Qualche giorno prima avevano ospitato, dopo avere letto e discusso  il suo La solitudine dei numeri primi, Paolo Giordano, che in tutti aveva suscitato un’ottima impressione. Intanto, nella palazzina di fronte a quella dell’Istituto, e precisamente nella Casa degli Italiani – la comunità del nostro Paese conta a Barcellona oltre 10.000 presenze -, che ospita anche un liceo frequentato dai figli dei nostri connazionali insieme a figli di spagnoli, si è proiettato Lo spazio bianco, introdotto da Valeria Parrella. A dire il vero a noi tale scelta è suonata un po’ bizzarra: cosa c’entrano ragazzi di 15/16 anni con una storia sia pure ben raccontata di una gravidanza prematura? La stessa Parrella, off of records, mi ha confidato di esserne rimasta sconcertata lei per prima.

Una nota merita l’ascesa con il trenino a cremagliera fino in vetta al Tibidabo. Da là sopra si ha visione intera della felice posizione geografica goduta dalla città: bagnata com’è tutt’intorno dal mare e adagiata sul crinale che sale fino al Cristo benedicente. Peccato che proprio nel piazzale tra la chiesa e il panorama della città sia sorto un luna park che produrrà sicuramente ai proprietari e alla amministrazione cittadina denari, ma a chi apprezza silenzio e armonia produce soltanto disastrosa cacofonia.

Infine, last but not least, Gaudì e la Sagrada Familia. Lo so, lo so, dico un’eresia, ma a me la tanto celebrata chiesa è sembrata notevolissima solo in quanto materializzazione di un incubo. Si tratta sicuramente di un monstrum bizzarro e unico: ma a me nella sua eccessività nerastra e porosa ha ricordato la proliferazione di una orrenda metastasi tumorale. Bestemmio? Bestemmierò, ma almeno sono sincero. Per di più, cantieri e gru ricoprivano la Sagrada per metà, per entrare bisognava mettersi in coda lunga chilometri, sul piazzale antistante, a intrattenere chi stava in fila sotto il sole cocente, un’orchestrina suonava marcette come succedeva nei campi di lavoro nazisti ad allietare le vittime. Da far rinculare precipitosamente, e dopo avere rinculato sono capitato in una piazza con al centro un laghetto di un colore sospetto: il giallo del piscio. E’ allora che ho gettato la spugna, ho preso la metropolitana e sono tornato al Paseo de Gracia, che già dal nome è tutt’altra cosa.

Nei bar di Barcellona ancora si fuma anche in presenza di bambini, è questo mi ha assai disturbato. In compenso la vendita di alcol è vietata ai minori di 18 anni – e ho visto vecchi signori raccogliere con il sacchetto e un gesto elegante la cacca dei loro cani. Una signora del nostro gruppo, all’Hotel Numantia, mentre seduta in un salotto della hall studiava concentrata la mappa della città, si è troppo tardi resa conto che la signora seduta accanto se n’era andata portandosi la sua borsa. Da non crederci per coraggio, spregiudicatezza e perizia. Su una spiaggia non lontana dal porto, un altro amico che oziava dopo essersi abbuffato di pesce, si è visto raccogliere da un impassibile signore del luogo la borsa colma di apparecchi fotografici lasciata lì accanto. "Scusi, ma che sta facendo?" – "Mi dispiace, sa, sono sbadato." Qualche abitante della capitale catalana è realmente un po’ troppo svelto e curioso.

Io non ho avuto il tempo di visitare il Mercato tradizionale e il quartiere Barcelloneta, dove mi hanno garantito si mangia un pesce squisito. Me la riservo come buona ragione per tornare a Barcellona una seconda volta.

I catalani, mi ha spiegato Ennio Cavalli, poeta che ha guidato sulla nave il ping pong di letture tra poeti,  hanno forgiato le parole della loro lingua in modo da spremerne il più possibile fuori fino ad espellerle le vocali a vantaggio delle consonanti. Mi è sembrata osservazione interessante, ma a me è venuto da ricordare il poemetto in onore delle vocali inventato da Rimbaud, che a ognuna attribuisce innamorato un colore espressivo particolare. Posso dire che tra la scelta dei catalani e quella del grande Arturo io preferisco la seconda?

Previous articleCODICI: LE MANI DELLA CRIMINALITÀ E DELL’USURA SULLA PROVINCIA DI ROMA
Next articleConversazione con Paolo Icaro