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ELEZIONI A PALERMO

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di Riccardo Orioles

Non credo che i brogli elettorali siano stati decisivi nella vittoria di Cammarata su Orlando, a Palermo. Personalmente, li valuto attorno al cinque per cento: un piccolo partito (ma un partito) che fa parte a pieno titolo della maggioranza. Non mi scandalizzo neanche eccessivamente dell’uso di questi metodi da parte dei notabili che qui esercitano il ruolo di classe politica: e’ un uso tradizionale (gia’ Ottaviano pagava gli elettori) e fa parte, nel terzo mondo, delle regole del gioco.

Il fatto e’ che la Sicilia non e’ piu’ terzo mondo e non lo e’ piu’ da molto tempo. La stessa signora che innocentemente, all’uscita del seggio, sorride con aria d’intesa al galoppino, stasera fara’ zapping fra i canali di Sky, la cui antenna si erge fiera dal suo balcone (per
pagare l’abbonamento, qualche mese fa, una donna prostitui’ la figlia adolescente). Secondo uno studio dell’universita’, a Palermo il novanta per cento dei bambini fra gli otto e i quattordici anni ha il telefonino. Fra qualche anno voteranno anche loro, e venderanno tranquillamente il loro voto in cambio di un telefonino nuovo. Sia il primo che il secondo telefonino sono prodotti all’estero, sono commercializzati da gigantesche (e incontrollabili) holding finanziarie italiane, e arrivano fino al bambino palermitano grazie ai finanziamenti di Roma, di Bruxelles, di Berlino, di Sidney e naturalmente di Cosa Nostra. Il bambino palermitano infatti non produce niente – ne’ telefonini ne’ altro – ne’ produce niente la sua famiglia.
Che pero’, dal punto di vista consumistico, e’ perfettamente integrata nell’Occidente.

Ecco: le elezioni di Palermo non sono state a Palermo ma a Islamabad, a Medellin, in una qualunque metropoli dell’ex Terzo Mondo: che pero’, nel sistema che vige ora (e che non ha ancora un nome: gli regaleremo provvisoriamente una maiuscola e lo chiameremo Sistema) e’ perfettamente integrato nell’Occidente. Le "elezioni", la "democrazia"
e le altre etichette storiche dell’Ottocento qui sono simboleggiate da meccanismi di vario genere (la guerra di clan, l’attentato, la compravendita del voto) modellati sulle tradizioni locali. Esistevano, certamente, anche delle tradizioni democratiche – in senso vero – anche qui: ma non appartenevano alla classe dirigente bensi’ alla sua controparte popolare. Discioltasi questa, almeno politicamente, nel vasto e massificante calderone dell’egemonia post-industriale, resta la compresenza di forme arbitrariamente "democratiche" ("vai a votare") e
sostanze coerentemente "fasciste" ("se ti opponi ti ammazzo").

Pasolini, molti anni fa, diceva alcune cose antipatiche sul fascismo. Distingueva il fascismo-fascista, quello storico, che pero’ non riusciva a distruggere (in quanto elitario, in fondo) la cultura profonda delle classi popolari; e il fascismo-postfascista, quello contemporaneo a lui, che invece riusciva a penetrarvi grazie alla massificazione, al conformismo, al consumo e insomma a un’egemonia totalizzante dei valori che prima erano considerati (in
vetero-linguaggio) "borghesi".

Mi sembra che il discorso di Pasolini sia perfettamente valido, qui in Sicilia, per la mafia. Quella di prima (la mafia-mafiosa, quella che ammazzava Falcone) non era affatto egemonica, non era assolutamente "popolare" e suscitava opposizioni. Quella di ora, che non ammazza i
Falcone ma impedisce "politicamente" che ne sorga uno, invece e’ perfettamente integrata nel sistema, si basa sugli stessi valori, esercita (almeno in alcuni momenti) un’egemonia. E merita dunque le sue maiuscole: il Sistema Mafioso.

Il commerciante palermitano – per esempio – non e’ "mafioso". E perche’ mai dovrebbe esserlo? Anche nel vecchio fascismo il commerciante romano mica era "fascista": alle adunate del sabato ci andava, quando ci
andava, malvolentieri. Pero’ gli conveniva che il negozietto ebreo, che gli faceva concorrenza, fosse tolto di mezzo. Oggi al commerciante di Palermo (Palermo centro, non periferia) conviene che ci sia la pena di morte, a pagamento, contro la microcriminalita’. I ragazzi di Addio
Pizzo hanno tentato per due anni di seguito di convincere i
commercianti palermitani a dire semplicemente "io sono contro il pizzo". Ne hanno convinto circa duecento, su diecimila. Questo spiega, fra le altre cose, il voto palermitano: sia la sconfitta "politica" di Orlando (che poi, tecnicamente, e’ stata un’avanzata notevole in termini di voti) che la vittoria politica, stavolta senza virgolette,
del partito del vendo-il-voto. Non se ne esce coi vecchi riti, con le manifestazioni generiche e con le celebrazioni. A Falcone non basta essere ricordato.

Se ne esce – per esempio – sviluppando le lotte dei senzacasa e chiedendo che siano dati a loro i palazzi sequestrati ai mafiosi. Ma chi lo fa? Pochi benemeriti, come Abbagnato o Umberto Santino, sempre piu’ ignorati dai media e sempre meno presenti nei convegni ufficiali.
Sono le lotte dei poveri (i senzacasa, le cooperative contadine di Libera siciliane e calabresi, ecc.) quelle che fanno piu’ paura al Sistema. Su esse bisogna puntare al massimo, generalizzarle, sostenerle, avere una politica di alleanze (dai "moderati" agli "estremisti", senza puzze al naso) basata su di esse; e sviluppare una battaglia di comunicazione (giornali, tv, internet: nel nostro piccolo
Casablanca, Sanlibero, TeleJato) senza la quale nessuna battaglia puo’ essere generalizzata. Licausi, Radio Aut e Pio La Torre non sono dei nomi storici, sono semplicemente le cose da fare ora.

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