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Italiani a Strasburgo: assenze record. Tra i 20 peggiori metà sono «nostri»

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La ricerca (privata) di un assistente parlamentare. Basse anche le presenze in commissione

GIAN ANTONIO STELLA

(corriere.it) L’onore dell’Italia in Europa lo salva un tedesco. Si chiama Sepp Kusstatscher, è sudtirolese, fa parte del gruppo dei Verdi e su 270 sedute plenarie ne ha bucate 2. Evviva. Su gran parte degli altri è meglio stendere un velo. Basti dire che tra i primi cento eurodeputati più presenti a Strasburgo i nostri sono 3. Meno di un terzo dei tedeschi e degli inglesi, un quinto dei polacchi. In compenso, sono nostri 10 dei 20 più assenteisti. Da arrossi­re. I dati sono stati raccolti da Fla­vien Deltort, un giovane assisten­te che, dopo avere lavorato in pas­sato con Marco Pannella, si è mes­so cocciutamente a raccogliere uno dopo l’altro tutti i documen­ti ufficiali a disposizione. Con l’in­tento di metterli on-line.

Un lavo­ro certosino. Interminabile. Deci­so per supplire alla riluttanza di­mostrata dall’Europarlamento nel fornire i dati che potrebbero consentire ai cittadini dell’Unio­ne di vedere come lavorano i loro rappresentanti a Bruxelles e a Strasburgo. Riluttanza confermata nell’otto­bre scorso quando il radicale Mar­co Cappato chiese ufficialmente, per avere infine un panorama chiaro, le tabelle delle presenze di tutti gli europarlamentari. Richie­sta respinta dal segretario genera­le Harald Rømer, che gli spiegò: lei, come deputato, può chiedere solo i dati suoi. E basta: «Non esi­ste alcun documento consolidato che riporti il numero totale di pre­senze per Deputato alle diverse riunioni ufficiali» e il regolamen­to «non obbliga in alcun modo le Istituzioni a creare documenti per rispondere ad una richiesta». Una scelta da più parti contesta­ta. E corretta tre mesi fa, nelle in­tenzioni, dal voto di una risoluzio­ne presentata dallo stesso Cappa­to e approvata dall’assemblea a larga maggioranza: 355 a favore, 18 astenuti e 195 contrari, tra i quali quasi tutti i membri del Po­polo delle libertà. Si trattava solo di una dichiarazione d’intenti. Ma esplicita: impegnava infatti l’assi­se continentale a «varare, prima delle elezioni europee del 2009, un piano d’azione speciale per as­sicurare sul proprio sito web, ad esempio nel quadro dell’iniziati­va e-Parlamento, una maggiore e più agevole disponibilità di infor­mazioni ».

Ci si arriverà davvero? Difficile. Anzi: ormai, agli sgoccio­li della legislatura, sembra pratica­mente impossibile. Peccato. Perché solo quei dati ufficiali potrebbero spazzare via polemiche, contestazioni e accu­se di assenteismo e «fannulloni­smo » che si trascinano da anni un po’ in tutti i paesi. Ma soprat­tutto in Italia. Basti ricordare, tra i tanti, lo studio dell’Università tedesca di Duisburg che nel 2004 accertò co­me nella legislatura che si chiude­va, la presenza italiana alle sessio­ni di voto fosse stata del 56,2%, contro l’80,9 dei greci o l’ 82,5% dei tedeschi. Capiamoci: non c’è stata occa­sione in cui i dati siano stati ac­cettati senza rivolte corali. «Non contano le presenze alle assem­blee plenarie, conta il lavoro in commissione!». «Non conta il nu­mero degli interventi in aula, conta il loro peso politico!». «Non contano le interrogazioni in aula, contano i risultati che si ottengono magari con un solo dossier!». Per carità, osservazio­ni legittime. Come è legittima la prudenza nel maneggiare lo stu­dio dal quale attingiamo i dati di oggi. La sostanza delle cose, pe­rò, è inequivocabile. Prendiamo il lavoro nelle com­missioni. I deputati che ne fanno parte possono provare la loro pre­senza mettendo la firma su due diversi registri: quello della com­missione o quello generale. Ma tra i due c’è una differenza sostan­ziale. Il primo è pubblico e con­sultabile (con un po’ di pratica) da tutti, il secondo no: segreto.

Ri­sultato: ogni parlamentare becca­to con un numero di presenze basso può sempre cavarsela giu­rando di avere partecipato molto più di quanto risulti. Anche a prendere i numeri con le pinze, però, ci sono domande che non trovano risposta. Come è possibile che pur avendo l’Italia un decimo dei seggi europei (78, come la Francia e la Gran Breta­gna: solo la Germania coi suoi 82 milioni di abitanti ne ha di più: 99) ci ritroviamo con soli 6 rap­presentanti nella classifica dei 250 più presenti nelle varie com­missioni? Come mai possiamo schierare solo Vittorio Prodi (345 presenze), Umberto Guidoni (270), Patrizia Toia (255), il solito Kusstatscher (195), Pia Elda Loca­telli (192) e Pasqualina Napoleta­no (155) per un totale appunto di sei parlamentari contro 13 del­l’Olanda (che ha poco più d’un terzo dei nostri seggi), 22 della Spagna, 26 della Gran Bretagna e addirittura 49 della Germania? Gli italiani che in questa legislatu­ra fino al 31 dicembre scorso si so­no avvicendati sulle 78 euro-pol­trone (una girandola pazzesca, frutto del disinteresse che la no­stra classe politica prova nei con­fronti dell’Europa, vista troppo spesso soltanto come fonte di sti­pendi e prebende e benefit spetta­colari) sono stati 109: è un disgui­do se solamente 25 risultano fra i 500 (cinquecento!) deputati più presenti nelle commissioni?

È un disguido se su 921 euro-deputati transitati per Strasburgo in que­sta legislatura (anche negli altri paesi capita che alcuni scelgano di abbandonare, sia pure molto meno che da noi) quelli che risul­tano oltre la 800esima posizione sono addirittura 37 e oltre la 900esima ben 9? Quanto alle pre­senze alle sedute plenarie, come dicevamo all’inizio, la situazione è forse ancora più pesante. Non solo abbiamo solo tre parlamenta­ri (Kusstatscher, Francesco Ferra­ri e Pasqualina Napoletano) tra i primi cento più assidui ma ne ab­biamo soltanto 10 tra i primi tre­cento. Contro 17 spagnoli (che hanno ventidue seggi in meno), 25 britannici, 39 tedeschi. In com­penso dominiamo le posizioni di coda, quelle oltre il 900esimo po­sto, con Fabio Ciani, Gianni De Michelis, Gian Paolo Gobbo, Ar­mando Veneto, Alessandra Mus­solini, Rapisardo Antinucci, Pao­lo Cirino Pomicino, Raffaele Lom­bardo, Adriana Poli Bortone e Um­berto Bossi. Qualcuno, come ad esempio Pomicino e Bossi, può invocare problemi di salute. Altri no. «Pesati» i valori massimi e i va­lori minimi, i più presenti e i più assenti, i più loquaci e i più muti, i più attivi nel presentare interro­gazioni e i più pigri, le tabelle of­frono anche una specie di classifi­ca finale. Da cui viene fuori che, tra i primi cento deputati euro­pei, ne abbiamo otto. Con in te­sta, unica tra i primi dieci, Luisa Morgantini. Può bastare, insieme con la presenza di un po’ di «me­diani » che fanno dignitosamente il loro lavoro, per consolarci?

22 aprile 2009

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