Le dimensioni nascoste di Giuseppe De Filippo
Agnesina Pozzi
Il mondo pittorico di Giuseppe è pervaso di antropologismo mediato dal pensiero,
dove la estrema vicinanza all’uomo prudenzialmente lo sospinge all’occhieggiante mito.
(Carlo Sliepcevic)
Immaginiamo una lucciola che percorra un filo di nylon teso nel buio; l’osservatore vedrà da lontano un puntino luminoso che si muove ma non scorgerà il filo.
Avvicinandosi, vedrà che il punto è in realtà un insetto, e ancora più vicino vedrà il filo e i movimenti della lucciola intorno ad esso.
Se potessimo "srotolare" questa nuova dimensione a spirale, vedremmo che la lucciola in realtà si muove su un piano. Questo è solo un esempio di "dimensione nascosta ", ma pare che ce ne siano ben più delle tre estese che conosciamo.
Molto può sfuggire; prendiamo ad esempio i disegni tridimensionali; questi si manifestano all’osservatore tanto in virtù di un allenamento dell’occhio, quanto in virtù di una naturale attitudine stereognostica della visione.
Ci sono soggetti che vedranno emergere immediatamente e senza sforzo i paesaggi e le figure "nascoste" in una miriade di punti colorati su una superficie piana, altri soggetti che riusciranno a "vedere " dopo aver a lungo guardato e sviluppato tecniche particolari di osservazione, e infine soggetti che non ci riusciranno mai. C’è ancora molto da imparare sugli strumenti dell’esperienza estetica e sui processi percettivi ed emotivi che l’accompagnano.
La fisica moderna ha rivoluzionato la concezione meccanicistica non solo del mondo e dello stato della materia da cui è composto, ma anche ha trasformato profondamente il concetto classico di vuoto e di buio; materia & spazio & luce & tempo, sono visti come parti inseparabili e interdipendenti di un tutto unico. Oggi la fisica ci dice che gli oggetti materiali sono legati in modo inseparabile al loro contesto e che le loro proprietà possono essere comprese solo nei termini del loro interagire con il resto della realtà.
L’intero universo si muove dunque con un’attività senza fine, con un costante flusso di energia che genera una quantità infinita di configurazioni-dimensioni, che si fondono l’una nell’altra.
Come dice il maestro del suono David Neel nel suo Tibetan Journey: "ciascun atomo canta perennemente la sua canzone, e il suono in ogni istante, crea forme dense e tenui".
I mistici orientali già nella remota antichità, sostenevano che nessun fenomeno può essere spiegato singolarmente, e che le cose nella loro natura fondamentale non possono venire adeguatamente espresse in nessuna forma di linguaggio.
Ma vi chiederete: cosa c’entra tutto ciò con la produzione artistica di Giuseppe De Filippo? Quanto finora espresso, va considerato proprio per spiegare la sua opera in altri termini, e non secondo gli schemi cognitivi più comuni. De Filippo spazia in questi territori, attraversa le dimensioni nascoste dell’esperienza estetica con una sconcertante leggerezza ed incoscienza.
Davanti ai miei occhi l’atmosfera del ciclo delle lune (1994-1996), in cui le vibrazioni si propagano in un sacro silenzio, lo stesso silenzio che avvolge i dipinti del ciclo degli uomini chiusi (1994); esistenze sconcertanti nel segreto sfacciato del loro bellissimo e allo stesso tempo raccapricciante bozzolo, non prigionieri, ma anime-crisalide in attesa evolutiva, creature non "impotenti", ma in potenza. Bozzoli di luce in formazione e farfalle che si libreranno in volo diffondendo profumi, colori e battito d’ali.
Dall’abisso e dal buio di "prima della creazione" con i suoi paesaggi notturni (Prima del peccato, Notte profonda) al coacervo di energia primordiale (La caduta); è un sonnambulo sveglio che passeggia nel sogno del sogno e nell’affabulazione interna (Il riposo della viandante, L’isola che non c’è); sosta nella memoria (Memorie, Ombra Persistente) e nel mito (Orfeo, Euridice, Sisifo) per regalarti tasselli preziosi. Nel guardare La grande ombra, puoi scoprire infatti che prima d’incarnarti in questo corpo sei stato anche suono, sangue di poeta, escremento; e in quel tempio, per tutta la tua vita, hai offerto sacrifici di sangue sintetico rosso cremisi, rapito dalla salamandra blu fluttuante a mezz’aria sul tuo capo.
Percorrere la narrazione pittorico-poetica-metafisica-filosofica di De Filippo è un’avventura sconvolgente che perfino può risultare panica. È come se sapesse restituire alla coscienza certe arcaiche tracce mnesiche, vagamente allucinogene, indovate in qualche crepa della nostra ontologia. Dalle ombre, emergono larve, simulacri di uomini e poi uomini chiusi, sognanti, dispersi. Timidamente si affaccia in un abisso luminescente (Evanescenza, Fiaccola, Viandanti) e resta attonito di fronte ad una realtà che più volte ha analizzato servendosi anche della scrittura, come nel testo "Il Metartista".
L’Occhio sul mondo osserva infatti, incredulo, una realtà che ha ribaltato quasi tutti i suoi paradigmi, e il mondo, nella sua "noeticità" è un Mondo Capovolto dove tutto è sotto-sopra e in cui, la sua "lettura" è possibile solo se riusciamo a capovolgerne la visuale. Forse il messaggio nascosto è che se non riusciamo a cambiare la realtà, e la realtà cambia nonostante la nostra resistenza, occorre cambiare velocemente per non soccombere a tanta "rivoluzione". Inevitabilmente mi torna in mente la narrazione de "Il secondo Avvento" di Yeats che ho tradotto così:
Girando e rigirando in orbite crescenti
il falcone non riesce a sentire il falconiere;
Le cose vanno in pezzi; il centro non è stabile;
Pura anarchia dilaga sul mondo
La marea di sangue sbiadito è estesa,
ovunque sommerge il rito dell’innocenza;
I migliori difettano di ogni convinzione
i peggiori traboccano di appassionata intensità
certamente qualche rivelazione è a portata di mano
così come un Secondo Avvento.
Il Secondo Avvento!
A malapena escono queste parole
quando una vasta immagine proiettata
dallo Spiritus Mundi emerge a turbarmi la vista:
da qualche parte nella sabbia del deserto
una forma con corpo di leone e testa d’uomo,
lo sguardo fisso, vuoto e spietato come il sole
sta muovendo le sue lente cosce
mentre tutto intorno volteggiano le ombre
degli sdegnati uccelli del deserto.
L’oscurità cala di nuovo,
ma ora so che venti secoli di sonno di pietra
furono un incubo tormentati da un dondolio di culla.
E che bestia turbolenta, giunta finalmente la sua ora,
si trascina verso Bethlemme per nascere?
Dobbiamo forse tremare davvero di paura; ma lui, il Maestro, resta invulnerabile; immerge le sue radici in un sapere antico; e la linfa che ne trae è straordinaria. Dal Libro I, 84-86 delle Metamorfosi di Ovidio cita "..e mentre gli altri animali curvi guardano il suolo, all’uomo diede viso al vento e ordinò che vedesse il cielo, che fissasse, eretto, il firmamento…". La citazione è nascosta in Viso al vento, ed altre ne troveremmo se solo volessimo o riuscissimo, allenandoci, ad andare oltre la pura rappresentazione pittorica e, fidandoci, abbandonandoci alla sua guida, lo seguissimo nel suo "andare" sia da viandanti che da pellegrini, testimoni privilegiati di un altro "Avvento".
Piano piano, i paesaggi lunari dischiuderanno ad un certo punto la loro luce, dolce e interiore, sulla terra, e il Poeta sarà un bimbo sopraffatto dalla meraviglia.
La luce, sempre più intensa, punterà però anche sulla tragedia di esistenze sofferenti: basta soffermarsi sulla desolazione di Scordati, sulla rabbia impotente di Sottomissione, e sulla deferente resa di Ossequio.
Un mondo popolato da esistenze lacerate si apre ai nostri occhi; uomini chini, proni, in bilico, come in Equilibristi e Instabile; oppure in attesa di consapevolezza come in Anime evase forse da quel limbo insopportabile di silenzio e buio interiori; oppure sorpresi (Sorpresi di profilo, Inattesi) e finalmente in comunicazione tra loro (Dialoganti, Guardarsi); germi noetici in attesa della nascita, in ascolto, in meditazione, che infine esplodono al "fiat lux", della consapevolezza.
Eccoli infatti librarsi nell’aria con leggerezza, fino a volare come pesci, tornando alla nostra originaria matrice acquatica, che prima ancora era amnios primordiale, che a sua volta altro non era che spazio, etere, vuoto. Prima del Caos era Arte, e dopo è ancora Arte: Voliamo come pesci, infine.
Si espande e si contrae il tempo inverso.
Nel dormi/veglia insano forgia le ampolle.
Pregna del Dio-di-tutti e dell’oblìo
ne custodisce il riflesso
Incerta e vacillante
vibrando nel nulla
si amplifica di sé.
Forgia il suo stampo cavo
in tempeste vorticose di molecole
Bisogna essere visionari per entrare nelle sue visioni. L’esperienza estetica è qui intesa non solo come fruizione di una bellezza fenomenica corrispondente a canoni e paradigmi ma, anche e soprattutto, come qualità ontologica complessa. Un viaggio per iniziati, in sacro silenzio. Eppure la metrica è esatta e le corde oscillano forte anche nel buio, che ha la stessa valenza nella sua polarità con la luce.
Riuscite a vederle? Sono le stringhe cosmiche che vibrando non producono musica ma particelle; e lui, che è un canale privilegiato, uno strumento dell’energia invisibile, umilmente le offre al tuo sguardo, srotolando davanti ai tuoi occhi, dimensioni nascoste.
Scegli la tua frequenza e vai.
Qui si sale.