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Alberto Bevilacqua il suo percorso di scrittore e regista di successo

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Deceduto in una casa di cura di Roma a 79 anni. Era ricoverato da gennaio per uno scompenso cardiaco. L’autore nei suoi romanzi ha lasciato in eredità una vivida immagine della Parma degli anni ’60, emblema dell’Italia di quegli anni


È morto a Roma, nella Casa di Cura Villa Mafalda, lo scrittore, giornalista e regista parmigiano Alberto Bevilacqua. Aveva 79 anni e a gennaio era stato ricoverato per uno scompenso cardiaco che lo aveva colpito ad ottobre 2012.

La notizia della scomparsa dell’autore è stata confermata da fonti della Mondadori, casa editrice con cui erano uscite le sue ultime opere.

“Non ho chiesto alcuna autopsia – ha detto la sorella Anna – per una forma di rispetto del corpo di mio fratello. Anzi, ringrazio la clinica per le cure che ha dato a mio fratello. Per lui quel posato era diventato una famiglia. Vorrei celebrare i funerali in clinica e poi portare il corpo nella tomba di famiglia a Parma”. 

Sui suoi ultimi mesi di vita la pensava diversamente la sua compagna 

Michela Macaluso, secondo cui lo scrittore era “prigioniero in clinica”: la donna aveva per questo denunciato la struttura in cui era ricoverato, in contrasto con la famiglia Bevilacqua. 

LA CARRIERA – Bevilacqua aveva vinto il premio Strega (nel 1968 con “L’occhio del gatto”), il Campiello (con “Questa specie d’amore” nel 1966, romanzo da cui fu tratto l’omonimo film che vinse il David di Donatello) e per due volte il Bancarella (nel 1972 con “Un viaggio misterioso” e nel 1991 con “I sensi incantati”). Tra i suoi romanzi più fortunati si ricordano anche “La Califfa”, “L’amore stregone” e “Le rose di Danzica”. Scrittore prolifico, dopo l’esordio pubblicò più di trenta romanzi, oltre a numerose raccolte di poesia. 

A scoprire il talento del giovane Bevilacqua fu nel 1955 l’allora responsabile del supplemento letterario della Gazzetta di Parma, Mario Colombi Guidotti, che gli commissionò i primi racconti, da cui nacque il romanzo “La polvere sull’erba”, che rimase fino al 2000 in un cassetto per i suoi temi scandalosi (Sciascia, confessandosi timoroso, nel 1955 ne aveva pubblicati solo dei brani preparatori) ovvero le uccisioni nell’immediato dopoguerra tra le file di ex partigiani e fascisti, in quello che veniva definito il triangolo rosso, tra Parma e quella “amazzonia del delta del Po”. 

I luoghi, ma soprattutto la sua Parma (a cominciare dal glorioso e antifascista Oltretorrente), di cui poi diverrà contraltare Roma, sono proprio il tema che percorre tutta la sua opera, che indaga e svela la città, emblematica dell’Italia di quegli anni, dal boom economico in poi, dalla vita gaudente alle storie noir di “Gialloparma” a fine anni ’90, in genere attraverso il racconto di complesse, vitali, sensuali psicologie femminili. Come “La Califfa” Irene Corsini.

All’inizio della sua carriera ebbe rapporti conflittuali con l’establishment intellettuale e letterario, avendo cominciato a scrivere romanzi di critico e colorito realismo di costume negli anni della nascita della neoavanguardia del Gruppo ’63 (di Cassola e Bassani) e avendo avuto subito successo anche nel cinema, come regista, per poi essere arrivato a concorrere e vincere tra aspre polemiche lo Strega in un anno particolare come il 1968, due anni dopo aver già vinto il Campiello.

Nel 2010 era stato nominato Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana.
 

Fonte Link: http://parma.repubblica.it/cronaca/2013/09/09/news/e_morto_lo_scrittore_alberto_bevilacqua-66174863/

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