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Elezioni regionali: “Ciò che noi emiliani abbiamo già perso. E che non possiamo più perdere”

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Luca Bottura: “Sono emiliano, di sinistra, ho una paura terribile di svegliarmi domattina coi molestatori di ragazzini incensurati al governo, a casa mia…” Una riflessione col senno di prima, dice. E aggiunge: “Fellini oggi scriverebbe Amarscord, me lo scordo. Se non fosse per le Sardine saremmo una regione sazia e disperata”

In fondo, cos’abbiamo da perdere? Abbiamo già perso quasi tutto. L’innocenza, ad esempio. Il dire le cose come stanno. L’opporre parole dritte e opportune all’allarmismo interessato altrui: “Invasione? Dove? Nelle vostre fabbriche, ché senza migranti chiuderebbero tutte domani?”. Abbiamo perso gli anticorpi al male forse non assoluto, ma molto più che relativo. Come la ‘ndrangheta, quella che il Caporale ha combattuto sempre e solo a parole. Si è mangiata il Reggiano in un sol boccone. E anche se è una grana, non era formaggio.

Abbiamo perso i sensori alla denuncia, ché mentre quelli, le cosche, infettavano Brescello, né Peppone né Don Camillo hanno levato la voce. E nemmeno la gente del Grande Fiume. Che li ha votati, i malavitosi. Abbiamo perso parte della Romagna, che adesso guarda compiaciuta la collina da cui scese l’ex direttore de l’Avanti!. Non c’era scritto, prima, “Cantine di Forlì-Predappio”, lungo l’autostrada. Non con quei caratteri nostalgici, occhieggianti, così simili ai souvenir neofascisti che intanto sono arrivati al mare. Il manganello della Decima Mas lo trovi anche in viale Ceccarini, Riccione. A quel punto lo spritz dovresti almeno fartelo all’olio di ricino.

Abbiamo perso Ferrara, che è Oslo ma si mangia meglio. Per quattro migranti neri alla stazione. E il Pilastro, il quartiere con troppi citofoni, in confronto a Corviale è Versailles. Ma mica lo sanno, a Bologna. O lo sanno e vogliono lo stesso vendetta: la ratio del modello salvinista e sovranista. Attribuire ad altro da sé la colpa di ogni fallimento. Il rancore per chi ce l’ha fatta, anche se lo merita. E quanto è patetico, Berlusconi, che accusa gli avversari di propagandare l’invidia sociale, e si mette in scia a colui che ne produce tanta da esportarne all’estero. Patetico e nocivo. Come sempre. Ma adesso persino più grottesco.

Abbiamo perso cinque anni a non interrogarci, ché la volta scorsa Bonaccini vinse col 37 per cento dei votanti. Roba da convocare un comitato d’emergenza permanente. Invece niente, o pochissimo. Abbiamo perso lo stupore, non dico la riconoscenza, per quello che ancora funziona. Per quello che abbiamo contribuito a far funzionare. Con le tasse, col lavoro. Come i capannoni del post-terremoto ritirati su in un attimo. Come le case belle e decorose che dopo il sisma costeggiano la nostra Pianura. Così bella, anche se Zavattini diceva che fa impazzire. Cazzo.

Abbiamo perso quella diversità per cui la politica mica era nemica. Che poi, certo, ovvio, alla fine l’appalto lo vinceva sempre una coop. Però mica erano mafiosi. Mica erano ladri. Quasi mai. Avevamo inventato il clientelismo buono. Ottimo, talvolta. Abbiamo perso il grandangolo. Il vederci attorno, l’uscire dall’ombelico, il rapportarsi. L’essere provincia di tutto e di niente. La vita tra la via Emilia e il west. Più americani degli americani, coi loro sport a farci festa: baseball, basket, football. Più socialisti dei socialisti: non gulag, ma centri anziani e ballo liscio. Con lo sguardo dritto e aperto nel futuro, come cantava Bertoli. Coi migliori asili d’Europa. Che sono ancora i migliori, ma lo diamo per scontato. E allora vai col Capitano.

Abbiamo perso, mentre anche la nostra gente si piegava all’uomo solo che comanda, al grande leader, che d’incanto scolora e scappa dalla casa che ha fatto crollare, il senso di comunità. Quello per cui quando l’Asl ti chiama per la sedia a rotelle gratis, per nonna, ti rallegri che succeda a te. Sei grato, sei conseguente. Non sei Mihajlovic, insomma, che ha persino il sacrosanto diritto di dire quel che dice: mica ti curano solo se li voti, qui. E per fortuna. Abbiamo perso Fellini. Oggi dirigerebbe Amarscord, me lo scordo. Non ci fossero quelli là, i pesciolini, che vivono di memoria riflessa, e forse per questo le sono attaccati, come i migranti lontani da casa che esasperano i loro caratteri, resistono, combattono… non fosse per loro, saremmo una regione, e una Regione, tale e quale a come l’allora cardinale Biffi descriveva, interessato, la sola Bologna: sazia e disperata.

Abbiamo perso Giovanni Lindo Ferretti, quello dei Cccp. Mica solo lui, che in fondo è sempre stato punk e oggi, con tanta buona volontà, può essere considerato punk anche scegliere Ratzinger, o la Meloni. Più che altro abbiamo perso la pazienza per l’intellettuale non allineato, per chi ti pungola condividendo il tuo impianto valoriale, ma conosce il bene ultimo della discussione, della critica, della contrapposizione. Abbiamo perso la gara della comunicazione. Salvini ha potuto persino intestarsi la candidatura di una donna, che ovviamente ha fagocitato fino a farla scomparire, perché cosa pensa delle donne è ciò che pensa il maschio italiano medio cui crede di rivolgersi: una decorazione.

Abbiamo perso il Pd, scomparso dai manifesti e dalla comunicazione perché dopo la traversata tra i rottami è diventato un logo di cui vergognarsi. E invece chi ancora lo vota non ha nulla di cui vergognarsi. Abbiamo perso la capacità di trovare un linguaggio immediato per chi vota con la pancia, qualcosa tipo #liberateciquesto. Ma davvero volete farvi commissariare la sanità da Zaia? Ma davvero volete farvi insegnare a essere emiliani da uno sfaccendato di Milano? Niente. Profilo sotterraneo e sperare. Speriamo.

Abbiamo perso gli anticorpi al fascismo. Perché nelle aziende c’è gente che fa le riunioni per convincere i dipendenti a votare Salvini, “così gliela mettiamo in quel posto, ai comunisti”. Ma l’altra parola no, non si può più pronunciare. Puzzi di vecchio tu, se la usi, non loro, che avanzano un centimetro di coscienza alla volta, con una versione evoluta e furba, social, che va da “Buongiornissimo caffè” alla questione razziale contro tutti i migranti. Che cos’è, un ministro che suona alla porta di un ragazzo tunisino incensurato con un codazzo di cronisti ghignanti? Lasciamo stare i meme: è o no un atto fascista?

E se non vi va bene fascismo lo chiamiamo come volete: razzista, violento, pericoloso, estremista… Pino? Volete che lo chiamiamo Pino? Ecco, va bene: non siamo più in grado, da comunità, di far fronte all’avanzare del Pino. E se vi pare un nome ridicolo, pensate per un attimo a uno che violenta Mameli al Papeete. Abbiamo perso. Abbiamo già perso, abbiamo perso così tanto che oggi abbiamo tutto da vincere. Allora, almeno, mettiamoci la faccia. Andasse male, sapremo riconoscerci per traversare il deserto. Andasse bene… ma quanto tempo è che non facciamo festa per qualcosa? 25 GENNAIO 2020

Fonte Link: repubblica.it

 

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