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“La Cuba padana” Parma di Bevilacqua

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L’articolo dello scrittore parmigiano comparso sul Corriere nel Natale 1976

Il 24 dicembre 1976 lo scrittore parmigiano Alberto Bevilacqua scrisse sul Corriere della sera questo straordinario omaggio alla parmigianità, intitolato “La Cuba Padana”.

La parmigianità è allegra e feroce contraddizione. E’ Verdi radicato allegra propria terra, mentre se ne avvelena per la grettezza cittadina e quella che è stata definita l’ intrigante cappa massonica. E’ il Toscanini bifronte: parmigiano del sasso, come diciamo noi, é avvocato d’ accusa contro un provincialismo impenitente. Sono le case color malva sognate da Proust, contemporanee degli immondi tuguri dell’ Oltretorrente . Bruno Barilli e Guido Picelli. E perfettamente ne scrissero Vittoriani e Ferrata nell’ introvabile Sangue a Parma: “ Nessuna reggia conobbe tanta disinvoltura e nostalgie vaghe rassegnazioni di principi, aggiunti dall’esterno alla vita caloroso del popolo”. La parmigianità, infatti si mantiene nel Novecento scontro frontale: tra odio classista, presunzione borghese e forza ideologica, vitalistica, popolare. 

E’ il sopravvivere della tradizione degli Arditi del Popolo contro l’ efferatezza dei delitti fascisti (anche recenti: assassino Lupo). E’ Bodoni e la rozza Della prima stampa socialista ; la rassegnazione politica o viltà di certa cultura contrapposta alle Giornate del ’22. La parmigianità è , anche fatalità di presenza. Culturalmente e politicamente,sia col dramma che con la beffa,essa ha il destino di travalicare le mura e attraversare il mondo. Si pensi al solo dopoguerra, e cito a caso: lo scandalo Salamini, uno dei primi a sconvolgere la strategia industriale italiana, la esplosione e la decadenza di uno dei più congegnati nidi di fabbriche d’ Europa; l’ occupazione del Duomo, gli amori assassini dell’ altro scandalo Bormioli- Baroni, il recente scandalo dell’ amministrazione cittadina, seguito da una sorprendente autocritica delle sinistre e provocato da una messiscenadi denuncia (un fenomeno, quindici anni fa, definii califfismo). Narratori, poeti, giornalisti cineasti. Provate a contarci. Sostengono che siamo una mafia. E’ vero. Anche perché , tra mafiosi, vale la regola di spararsi a canne mozze. Fatto sta che, come la rigiri, la parmigianità l’ è int-i pagn di molti, cioè in parecchie situazioni clamorose.  

Guardiamo la cronaca di questi giorni. La scomparsa di protagonisti di una delle culture parmigiane ( Pietro Bianchi e, tra gli adottivi, Enzo Paci); il dramma dell’ Istituto di Studi Verdiani, lasciato in agonia, in un clima controverso, ma dove escono opere come Giuseppe Verdi e il Conservatorio di Parma a cura di Gustavo Marchesi; il gran parlare su Novecento di Bertolucci che a detta dell’ una e dell’ altra parte della città, è proprio la parmigianità che no ha capito ed espresso, ecc. Il centro del discorso, comunque credo che stia in quelle che ho definito “le due culture”;così come credo che il parlarne possa chiarire i termini di un dissidio che non riguarda semplicemente la storia della mia città. Carlo Bo, sull’ Europeo, ha preso spunto dalla scomparsa di Bianchi,Paci , Borlenghi per ricordare, in un articolo tra i suoi migliori, quella che è stata una piccola quanto indubbia capitale del secolo, ma nell’ affermare che “ un clima di Parma non esiste più”, egli ha tenuto presente soltanto la cultura di qua dall’ acqua, per dirla con un’ altra espressione delle nostre, cioè della città borghese, tralasciando l ‘ altra cultura che si formò di là dell’ acqua: nell’ Oltretorrente.

Ebbene, secondo me è venuto il momento di una doppia verifica, oltre che per rilevare le discordanze, gli errori e le miope, per saldare entro un’ unità analitica fenomeni che altrimenti perdono di significato, mantenendosi nella sola suggestione della memoria. Di qua dell’ acqua. Sede, non dimentichiamolo, dell’ Università. Specie entre dueux guerres, vi fioriscono le tracce stendhaliane, memoires secets et critiques delle corti defunte e delle grandi famiglie, la vita dei caffè letterari, tra cui il mitico Marchesi (e poi Otello). Seduto in una di quelle poltrone, e scrutando la propria immagine, Valere Larbaud azzarda: “Forse questo stesso specchio riflettè anche la figura di quello scrittore, Stendhal, che io non apprezzo molto”. Come bestemmiare in chiesa (per Bianchi, soprattutto). Sono i tempi in cui “ Pietrino” e il galantuomo Gaetano Nino Serventi, tra i primi in Europa e con meravigliosa lungimiranza, chiedono a Gallimard di poter tradurre i due volumi iniziali della Recherche. E da Parigi rispondono: o tutto o niente.

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