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Potere, politica, cultura

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Sebastiano Rolli

E se avesse ragione Elio Vittorini nel dire che l’“uomo politico è (o dovrebbe essere) un uomo di cultura specializzato” giacché l’attività politica “è una forma applicata di attività culturale (…) la forma per cui la cultura cerca di rendere reali per tutti le proprie possibilità critiche e costruttive”?

Oggi saremmo nei guai, e forse ci siamo!

Poche settimane fa, Franco Loi, mi diceva che la cultura non è funzionale ai meccanismi del potere; che il potere cercherà sempre in ogni modo di difendersi dalla cultura come ci si difende da una minaccia.

La cultura rende libere le persone, le rende in grado di problematizzare, di porre in essere delle criticità, di non accettare supinamente la prima soluzione, quella più urlata, quella qualunquista. Rende l’individuo capace di svincolarsi dal sempre in agguato tentativo di semplificare.

Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze”. Così si pronunciava Norberto Bobbio contro gli improvvisatori, i detentori delle soluzioni a buon mercato…Noi stessi non possiamo dimenticare che l’uomo di cultura non è colui che detiene la verità, bensì colui che ne è costantemente alla ricerca. Questa continua indagine sembra essere sospetta a chi governa a tutti i livelli: la parola cultura serve a riempire i discorsi di una classe dirigente che ha deciso di costruirsi un blasone intellettuale che non merita. Nessun uomo politico, infatti, respingerà mai una proposta o un progetto culturale che sia credibile e articolato, ma ne consentirà l’attuazione solo sino ad un certo punto: quello oltre il quale il discorso potrebbe indurre le persone a porsi domande scomode. Non possiamo ovviamente chiamare tale atteggiamento con il nome esplicito di censura fascista, ma la somiglianza ci induce a sospettare una certa filiazione.

Il potere è uno strumento tuttora necessario per mezzo del quale qualcuno delegato dalla comunità amministra la convivenza civile. Secondo Pasolini il potere è uno strumento autoreferenziale ed eminentemente anarchico poiché fa quello che vuole! Ma i veri anarchici non sarebbero d’accordo sull’accezione del termine: loro intendono la propria ideologia quale superamento del bisogno di governo; sognano un popolo adulto, che non ha necessità di leggi imposte da una classe superiore, in quanto in possesso della maturità necessaria per vivere secondo principii civili. Se questo sogno fosse realtà non vi sarebbe più bisogno di una classe dirigente detentrice di un potere repressivo. L’uomo che ha raggiunto un grado di maturità civile tale da non aver bisogno di leggi imposte dall’alto è l’obiettivo di qualsiasi processo culturale. Il frutto di questo processo renderebbe vano il Palazzo, escluderebbe automaticamente una classe che si nutre di se stessa. Quest’ultima può ancora dormire sonni tranquilli in quanto “il popolo è minorenne” e viene tenuto in tale condizione da una politica sempre attenta a non fornire sino in fondo gli strumenti necessari per raggiungere la maggiore età. L’uomo politico non può essere uomo di cultura, benché talvolta sia uomo istruito. Non può seminare dubbi, benché talvolta ne sia ingabbiato. Non ha interesse alla liberazione propria e del proprio simile. “Questo esattamente è cultura: la linea più avanzata raggiunta nella ricerca della verità ai fini della liberazione umana”. E’ sempre Vittorini che parla per ricordarci quanta strada vi sia ancora da percorrere per creare una società in grado di uscire dalla crisi nella quale viene tenuta avvinta: una società di uomini liberi senza che per questo debbano diventare sospetti o emarginati; una società nella quale la cultura sia il centro e il motore di ogni attività umana perché ricerca e continua scoperta di sé e degli altri. Non vorrei che la nostra poco incline all’approfondimento classe dirigente avesse abbracciato, fraintendendola, la considerazione del calviniano Palomàr quando dice che “solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose, (…) ci si può spingere a cercare quel che c’è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile”. 

Un operaio dedito al ferro rispose a Franco Loi, quando quest’ultimo gli chiese se non fosse irritato dalla condizione lavorativa nella quale era immerso: “No, perché quand lavor, impar qualcos del fer e qualcos de mi”! Questa è cultura e poesia! Ne riparleremo…

 

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