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Riccardo Orioles: Il foglio dei Siciliani dicembre 2016

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Giovanni Caruso

MILLE PASSI

CON GIUSEPPE FAVA 

“Ciao Carla, dove vai?”. “Con gli altri ragazzi del collettivo, andiamo al corteo per Giuseppe Fava”.

Provate a immaginare che questo dialogo fra due ragazzi sia vero. Provate a immaginare una piazza piena di uomini, donne, ragazzi, e perché no, tanti bambini. Provate a immaginare che tutta questa gente si incammini da quella piazza verso un preciso punto della città, il luogo simbolo della lotta alla mafia. Macchiato dal sangue di un uomo che denunciò, insieme ai suoi carusi, la presenza della mafia a Catania. Un uomo che per aver detto questa verità fu ucciso dal clan Santapaola, esecutore materiale.

Ma i mandanti occulti forse sono quelli dei comitati d’affari, complice una politica che allora negava l’esistenza della mafia e oggi finge di contrastarla.

Adesso immaginate tutte queste persone che fanno mille passi verso quel luogo. Lo fanno in assoluto silenzio. Un silenzio assordante, più forte di mille slogan. Un silenzio che grida il disagio, la paura, l’ingiustizia sociale, i diritti negati, l’oppressione del potere politico-mafioso. Ogni passo di quegli uomini e di quelle donne lascerà una impronta indelebile. Un’impronta che unirà, nel nome di Giuseppe Fava, associazioni e movimenti sociali e politici in un’unica voce. Uno striscione avanti con scritto “I SICILIANI”, portato da chi visse quella stagione e da nuovi uomini e donne che continuano il percorso iniziato trentasei anni fa.

Adesso, non immaginate più. Adesso credeteci davvero. Credeteci che si possa fare.

Credeteci che il 5 gennaio uniti, al di là di ogni diversità e di ogni contrasto, si possa marciare  insieme sotto quella lapide: “La mafia ha colpito chi con coraggio l’ha combattuta, ne ha denunciato le connivenze col potere politico ed economico, e si è battuto contro l’installazione dei missili in Sicilia – Gli studenti di Catania”.

E su queste parole vi chiediamo lo stesso coraggio che ebbe Giuseppe Fava. Quello che serve per combattere senza compromessi mafia e malapolitica e un potere economico fondato su disagio sociale e sfruttamento. Il coraggio di dire la verità.

La stessa verità raccontata da Giuseppe Fava, che ancora oggi sarebbe in grado di restituirci una Catania libera e civile. Non la Catania di oggi, così simile a quella di trentasei anni fa.

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Donne

ELENA E LE ALTRE

Elena Fava è una delle donne che sono state alla testa, in questi anni, di una silenziosa battaglia contro i poteri mafiosi. Non ha mai fatto retorica, nè ha mai avuto paura.

Ha continuato a sorridere quando gli altri gridavano o scappavano via.

La ricordiamo così, non come un’eroina ma come una delle tante che hanno tenuto in piedi la Sicilia onesta.

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Costituzione

E ORA APPLICHIAMOLA!

Costituzione della Repubblica italiana

● Articolo 41: “L’iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

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Riforme (vere)

ANTIMAFIA SOCIALE

● Progetto nazionale di messa in sicurezza del territorio, come volano economico soprattutto al Sud. Moratoria edilizia. Divieto di industrie inquinanti. Ristrutturazione e bonifica di quelle esistenti.

● Confiscare tutti i beni mafiosi o frutto di corruzione o evasione fiscale, risorse finanziarie comprese. Assegnare a cooperative di giovani. Gestione pubblica e trasparente.

● Gestione pubblica dei servizi essenziali: scuola, università, acqua, energia, tecnostrutture, credito internazionale.

● Separazione di capitale finanziario e industriale. Tetto alle partecipazioni in editoria. Tobin tax.

● Sanzionare le delocalizzazioni e l’abuso di precariato. Applicare lo Statuto dei Lavoratori.

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Riccardo Orioles

Costituzione

E ADESSO COMINCIAMO

AD APPLICARLA DAVVERO

 

Dovremmo ringraziare Renzi per averci ricordato, a modo suo, che avevamo una Costituzione. Una Costituzione mai applicata del tutto, o solo in una parte del Paese, e alla fine completamente cancellata. Il giovane che adesso ha vent’anni non ha mai vissuto un giorno della sua vita sotto una Repubblica; né ha mai conosciuto una Costituzione.

“L’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale…”. Infatti. Da un giorno all’altro, la principale industria del Paese è stata presa e trasferita all’estero. “Ma perché avete spostato la sede a Londra?”. “Per non pagare tasse in Italia”.

“La scuola è aperta a tutti. L’istruzione è gratuita…”. Nella nostra città, nei quartieri poveri, le scuole vengono chiuse una dopo l’altra.

“L’Italia ripudia la guerra…”. Certo. Infatti abbiamo bombardato il vicino, mandiamo truppe in mezzo mondo (nel ‘900, cinque guerre in quarant’anni) e invece di acquedotti e argini facciamo portaerei  e bombardieri.

“La bandiera della Repubblica è il tricolore…”. Il capo di un bel partito, con questo tricolore aveva pubblicamente annunciato di volercisi pulire il c…

“Lo straniero ha diritto d’asilo nella Repubblica…”. Annega nel nostro mare, e se si salva lo chiudiamo in un lager.

“La Repubblica tutela il lavoro…”. Purché malpagato, precario, e a totale discrezione del padrone.

“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia…”. Famiglia? Prova a fartene una, senza sapere con che camperai alla fine dell’anno.

* * *

C’eravamo dimenticati di tutto questo. “Politica, politica, che ce ne importa?”. Ed eccoci qui, con il Sud alla fame e il Nord che ogni giorno che passa diventa sempre più Sud. Senza una Costituzione – non ce n’è stata alcuna negli ultimi vent’anni – il popolo s’è imbolsito. I peggiori, o più deboli, scatenando la rabbia su altri poveri più di loro. La povertà tira in basso. La servitù fa diventare servi, dentro e fuori.

* * *

Ricordo, nella mia infanzia, un corteo di contadini. Sfilavano in silenzio, senza cartelli o bandiere. L’abito della festa, le file risolute e  tranquille che marciavano mute. Volti scavati, duri, non agitati o distorti. Ma ci vedevi qualcosa che, a leggerla fino in fondo, ti cambiava la vita. La gran forza del popolo, il senso dei diritti, la dignità.

* * *

La cosa buffa, di questo referendum, è che fra i feritori della Costituzione c’era anche tanta gente perbene; e fra i suoi (opportunistici) difensori molti che libertà e diritti li temono come il cane il bastone. Dopo vent’anni d’esilio, la nostra amica cartacea non poteva non trovare confusione.

Ma adesso questa confusione va ripulita, va rialzato il confine fra chi crede nei diritti e chi invece no, comunque abbia votato al referendum. Da subito, dappertutto, a cominciare da qui e ora.

* * *

Dobbiamo riunirci alla svelta, non per “analizzare” o “dibattere” ma per – subito subito, in questi giorni – organizzare. Vogliamo che la Costituzione sia applicata, punto per punto, concretamente. E non in un tempo lontano, ma qui e ora. Nella nostra città, con mafia, amicizie mafiose e poteri feroci, applicarla vuol dire subito cacciare via ‘sta gente. Da lì viene tutto il resto, non solo nella città ma nello stato.

* * *

Vorrei rivedere a Catania i volti e i passi che ho visto tanti anni fa, da bambino. Un corteo muto e potente, senza rabbia né urla, ma chiaro e definitivo, con la forza del popolo – questo significava in origine la parola “democrazia”. Facciamolo fra un mese esatto, nel giorno di Pippo Fava.

Sfiliamo per le vie contro il re – dissero i rivoluzionari – Chi lo applaudirà sarà bastonato, chi griderà per insultarlo sarà impiccato”. Era il 1789, e lì cominciò qualcosa.

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Ivana Sciacca

TRENT’ANNI DI NORMALITA’

 

“Una normale telefonata tra un politico e un imprenditore”: un segretario Pd ha liquidato così la telefonata d’affari tra il sindaco Bianco e l’editor-costruttore  Ciancio. Oggetto della telefonata? Il Pua (Piano Urbanistico Attuativo) un affare da trecento milioni di euro alla Playa: dove un terzo dei terreni sono proprio di Ciancio… Ne hanno parlato diversi collaboratori di giustizia, fra cui Santo Lo Causo, diversi imprenditori intercettati, fra cui Renzo Bissoli della “Società Stella Polare” e Mariano Incarbone, concorso esterno in associazione mafiosa.

Bianco, in Commissione antimafia, non ricorda granché: “Si parlava – dice – delle elezioni…”.

All’inizio dell’anno, il trenta gennaio, un po’ di associazioni sono scese in piazza: “Via i Bianco, via i Ciancio, fuori la mafia dal comune!”. Altre no. Per molta antimafia “perbene” in fondo va bene anche così. Inaugurare, commemorare, fare discorsi, questo sì. Ma in piazza, a fare opposizione e denuncia, questo no.

Intanto la città muore un giorno dopo l’altro. Di mafia, parola screanzata, si parla raramente, e a voce bassa.

Eppure, la radice della nostra miseria è proprio là. La ragazzina che non può andare a scuola, la famiglia che non può avere una casa, il padre che non sa cosa dare da mangiare, i ragazzi che se ne vanno al nord. È triste ma è normale, dice la gente perbene, è triste ma è normale, annuiscono gravemente politici e giornalisti.

Per noi di normale a Catania, invece, non c’è proprio niente. Ed ecco perché, da quel trenta gennaio, siamo ancora qui.

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