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A chi serve il Natale?

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Isaia 63,16-17.19; 64,1-7;
Salmo 79;
1Corinzi 1,3-9;
Marco 13,33-37.

Tempo di Avvento, dono di Dio per continuare a vigilare, a sognare, a operare; perché si realizzi non un altro mondo, ma un mondo altro, diverso, non un’altra Chiesa, ma una Chiesa altra, diversa da questa, per essere liberati "dal rigore di chi non perdona debolezze e soprattutto dall’ipocrisia di chi salva i princìpi e uccide le persone" (Mons. T. Bello).

In Avvento ci prepariamo con gioia, ma anche con serietà operosa a due venute del Signore: quella storica di Gesù di Nazareth e quella definitiva, totalmente liberante, escatologia, del Cristo Risorto alla fine dei tempi; è la Parusia del Signore.

Tutto questo sarà possibile se vivremo il tempo secondo la mentalità biblica. Per la cultura greca, il tempo aveva un carattere ciclico: i secoli, gli anni girano in cerchio e gli avvenimenti si ripetono monotoni e sempre uguali!

Tracce di questa mentalità sono pure presenti nel Qoèlet che pure è un Libro della Bibbia:

"Ciò che è stato sarà
e ciò che si è fatto si rifarà;
non c’è niente di nuovo sotto il sole"
(1,9).

Questa mentalità pessimista mortifica, fa morire la speranza, la voglia di lottare, ti fa inceppare le armi della contestazione.

L’uomo biblico invece presenta la storia come una traiettoria orizzontale, un fluire del tempo, il cui svolgimento non è quindi un circolo chiuso, ma una linea aperta: la storia cammina, sotto la guida di Dio, verso una conclusione diversa, non verso la fine, ma il fine, il compimento glorioso.

Non si ripete mai, ma si apre continuamente alla novità, all’inatteso, alla speranza.

In Italia molti, ben protetti, spesso anche da noi e da silenzi colpevoli di una parte della Chiesa, ci hanno rubato la speranza: ladri camuffati da onesti.

Ora, finalmente, qualcosa sta cambiando: i giovani sono stanchi, il popolo è stanco, alza la testa per una rivoluzione, un cambiamento radicale, che desideriamo si verifichi pacificamente, con intelligenza e nella giusta direzione.

Vogliamo riappropriarci della speranza: è anche il messaggio delle letture di oggi.

La prima è una preghiera liturgica a Dio, presentato come Padre, come Creatore "Noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma" e come Redentore. Questa parola, tradotta spesso con "Salvatore", ha invece un senso più ampio: presso gli Ebrei, il redentore ("go’el") era il famigliare che liberava il parente caduto in schiavitù, sotto i colpi della violenza o in grave difficoltà.

Ora, Dio è il Redentore, il go’el, il "protettore" del popolo, dei deboli in modo particolare, come recita il Salmo 146:

"Rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge lo straniero,
egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge la via degli empi"
(vv. 7-9).

Nel vangelo Gesù usa gli strumenti della comunicazione del suo tempo e metafore come: un padrone che viaggia, dei servi che vengono incaricati di sostituirlo, un portiere che deve fare da guardia.

Che forte tentazione, per i discepoli e soprattutto per i discendenti dei discepoli, per noi, dare corpo a questa veste letteraria e trasformarla da metafora occasionale in un progetto istituzionale articolato (con tanto di clero plenipotenziario e di guardiani con le chiavi in mano che aprono e chiudono a discrezione le porte del regno)! Anche un bambino, però, capisce che non è questo il cuore del discorso di Gesù, Predicatore errante, senza cattedra e senza tempio: egli infatti usa la similitudine ("E’ come un uomo…") per arrivare al punto che gli preme. Per convincere gli ascoltatori della necessità di tenere desta la vigilanza.

Vegliate!": quest’appello cade con veemenza sull’ottusa indifferenza dell’uomo e della donna contemporanei: benessere per pochi, distrazione, banalità, superficialità sono come una rete che ci imprigiona la testa e il cuore.

"Vegliate!": questo imperativo interpella tutti noi, per cui occorre continuamente "rifondare" la nostra comunità; siamo come assopiti, ci manca la voglia della profezia, della provocazione; la forza di gridare per noi e per gli altri, parole nuove, messaggi di speranza, come diceva il martire protestante D. Bonhoeffer: "…Le parole di un tempo devono perdere la loro forza e ammutolire, e il nostro essere cristiani oggi consisterà solo in due cose: nel pregare e nell’operare ciò che è giusto tra gli uomini".

"Vegliate!": questo comando genera in noi una santa e giusta inquietudine capace di scuotere le nostre coscienze immerse nel torpore e di liberarci dalla tentazione di preferire la comoda poltrona a un paio di scarpe robuste per camminare in cordata con tanti fratelli e sorelle verso il Regno di Dio. E’ questo il messaggio di una frase paradossale dello scrittore francese J. Grenn: "Quando si è inquieti si può stare tranquilli".

E noi siamo inquieti per i precari, per i cassintegrati, per chi non trova lavoro, sia un fratello autoctono o straniero.

E siamo inquieti e arrabbiati per chi percepisce stipendi esagerati, quindi iniqui, non meritati.

Verso un Natale sereno, gioioso, ma sobrio per tutti ci spinga questa riflessione di un grande profeta, don Primo Mazzolari:

"E’ ridicolo, o meglio, è tragico attendere che i poveri diventino buoni per aiutarli a essere meno poveri. E’ delittuoso negar loro l’elemosina se non si ravvedono su due piedi da errori che la mancanza di elemosina, ma soprattutto di giustizia e di carità da parte della gente per bene li ha portati a compiere. E’ vile e farisaico scandalizzarsi della sbornia che lo straccione ha preso coi pochi soldi della nostra elemosina. Se i poveri sono così spesso diventati delinquenti, bisogna andare anche oltre di loro per trovare le ragioni esatte del delitto. Né si può sperare che diminuisca il delitto quotidiano dei miserabili poveri, se non finisce il delitto quotidiano dei miserabili ricchi, che, o non si accorgono dei poveri se non quando questi rubano, uccidono o diventano vittime della rivoluzione, o non se ne accorgono affatto, ed è, forse, ancor più grave".

Ora due domande per preparare un Natale altro, diverso:

A che serve il Natale?
A chi serve il Natale?

Don Luciano Scaccaglia
Teologo e Parroco di Santa Cristina (Parma)

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