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“Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini”.

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Atti 5, 27b-32.40b-41;
Salmo 29;
Apocalisse 5, 11-14;
Giovanni 21, 1-19.

"Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini".

La frase di Pietro ci spinge verso l’amore per il mondo in cui viviamo, verso la nostra Chiesa, ma anche verso una sana, costruttiva, sofferta critica nei riguardi delle Istituzioni sia civili che ecclesiastiche; esse, a volte, tradiscono Cristo e il suo amore per i più deboli.

Su questa strada ci porta anche il Concilio Vaticano II che afferma: "La Chiesa, che comprende nel suo seno i peccatori, santa insieme e sempre bisognosa di purificazione, incessantemente si applica alla penitenza e al suo rinnovamento" (Lumen gentium, 8).

Oggi più che mai siamo chiamati a contestare, ad andare contro, ad essere critici, a non seguire la massa, a non salire sul carro dei più forti… ,come gli apostoli della prima Lettura.

Forti della fede in Cristo Risorto, osano sfidare l’autorità locale, quella religiosa. Un’autorità che ostentava rotolini di Bibbia attaccati ai vestiti, portava abiti liturgici sfarzosi, pregava negli angoli, per farsi vedere, ma opprimeva il popolo in molti modi.

Siamo chiamati a difendere le nostre città, quindi la nostra salute dall’inquinamento, dall’inceneritore, proponendo e seguendo progetti alternativi che tutti conosciamo.

Il futuro della società e della Chiesa è nelle nostre mani, e nel nostro stile di vita.

La prima parte del vangelo di Giovanni ci presenta la terza manifestazione di Cristo, dopo le prime due avvenute nella sala a porte chiuse.

Ora il contesto è la pesca nel lago. La presenza del Signore convince gli apostoli-pescatori a gettare le reti nel punto giusto e prendono centocinquantatre pesci.

L’evangelista ne ricorda il numero preciso, non per soddisfare una curiosità o precisarne la quantità.

I numeri nella Bibbia sono spesso simboli, e il simbolismo del 153 è la totalità perfetta.

Esso indica infatti l’interesse di Cristo, il suo amore per tutte le Chiese, per tutta l’umanità rappresentata dai discepoli.

Avviene poi la colazione sulla riva, raccontata in modo tale da richiamare l’Eucaristia, la Cena del Signore, celebrata dalle comunità cristiane, convinte che in essa si realizza la presenza di Cristo Risorto.

Segue un dialogo struggente tra Gesù e Pietro.

Gesù ha riconosciuto nello slancio di Pietro i tratti inconfondibili del suo amore per lui. Per Gesù nessun uomo, nessuna donna coincide con i suoi peccati, o con le tante notti di pesca andate a vuoto. Una donna, un uomo vale per quanto vale il suo cuore e, nell’ardente slancio di Pietro, Gesù riconosce la stoffa per fare di lui un segno della propria perenne presenza presso i suoi, come buon pastore.

"Simone, mi ami più di costoro?", chiede Gesù. E Pietro risponde: "Tu sai che ti voglio bene".

Gesù usa il verbo "agapao", il verbo dell’amore totale, perenne, incondizionato; è il verbo di Dio, è il verbo del vero innamorato.

Pietro risponde con il verbo "fileo", il verbo dell’amicizia, dell’affetto. Usa un verbo prudente che esprime un amore meno compromettente, meno incisivo, meno vitale. Pietro non riesce ad andare più in là, forse non lo vuole, perché l’amore che Gesù chiede vuol dire perdere tutto, giocarsi la vita, il futuro, senza calcoli.

Bellissimo questo gioco dei verbi: uno (Cristo) ama "da Dio", l’altro (Pietro), che tutti ci rappresenta, ama da "essere umano". Ma è al primo amore che dobbiamo tendere.

E’ tradizione nella Chiesa Cattolica chiamare il Papa "vicario di Cristo": io, seguendo S. Ambrogio, uso questa sua espressione: "egli (Gesù) ci lasciò Pietro come vicario del suo amore".

E sempre i Padri della Chiesa dei primi secoli, affermavano che i vicari di Cristo in terra, coloro che fanno le sue veci, che tengono il suo posto, non sono i vescovi, i patriarchi o altre autorità, ma i poveri. Loro sono Cristo in mezzo a noi, e, chi più li ama e li serve, più rappresenta Cristo; e a questa rappresentanza siamo tutti chiamati, gente del vertice e popolo della base.

Facciamo nostra questa preghiera:

"Anche noi tentati di tornare indietro,

di riprendere le nostre abitudini,

anche noi delusi che non succede nulla,

che nulla si cambia;

e tu morto sulla croce,

ma è come se non fosse accaduto nulla;

e poi risorto, ma è come se tu non fossi risorto

noi stessi incapaci di novità:

che almeno i giusti di ogni religione

ti confessino, Signore" ( D. M. Turoldo).

Don Luciano Scaccaglia
Parroco e teologo

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