Fede è opera coi fatti
Proverbi 31,10-13. 19-20.30-31;
Salmo 127;
1Tessalonicesi 5,1-6;
Matteo 25,14-30.
Piaceva ai capitalisti, ai neo-liberisti la parabola dei talenti!
Infatti, letta con ingenua immediatezza, fonda teoreticamente la logica mercantile più spietata: Dio si manifesta come il "duro" che miete dove non ha seminato. Dunque l’uomo che più fedelmente si sintonizza con questo Dio è colui che sa trafficare nel mondo con spirito d’iniziativa, furbizia e sprezzo del pericolo, sì da essere in grado di restituire il doppio del denaro ricevuto in affidamento. E c’è anche lo slogan che sintetizza efficacemente la regola aurea del capitalismo: "A chiunque ha, sarà dato di più ed egli sovrabbonderà; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha" (v. 29).
Piaceva e piace ancora ai fanatici di tutte le religioni, ai meritocratici della fede, il Dio della comunità di Matteo, un Dio esoso, severissimo, sempre con la bilancia in mano, quasi arrabbiato: "Servo malvagio e infingardo sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso".
Siamo forse tornati alla triste e ben nota equivalenza, religione = paura, e all’insistenza diseducante sui castighi di Dio e sull’Inferno?
Ma i messaggi delle Letture di oggi sono ben altri!
La prima lettura ha come protagonista la donna, presentata in modo da non piacere completamente alle donne del nostro tempo, infatti è lodata perché angelo del focolare, regina della casa. Ha molti spazi all’interno di essa, sia di impegno che di solidarietà, ma non all’esterno, nella vita sociale.
Oggi per la donna molto è cambiato nella società, ma non in tutto il mondo. La sudditanza maschile impera ancora.
E nella Chiesa c’è ancora molto cammino da fare; le donne non si accontentano di qualche "particina" secondaria, dell’"Ordine minore del letterato", ma vogliono essere protagoniste nella Liturgia, nei Ministeri sacri e nei centri decisionali.
Del primo brano gli esegeti danno un’altra lettura. Il brano non è un inno alla donna ‘angelo del focolare’, tutta casa, comunità e famiglia. La donna è trasfigurata e rappresenta la Sapienza, come sembra suggerire anche un’aggiunta al v.30, presente nel Primo Testamento tradotto in greco dai LXX Sapienti: "una donna saggia sarà lodata, – il timore di Adonai, ecco quello di cui bisogna vantarsi". La vera Sapienza infatti operosa e generosa, "apre le sue mani al misero, stende la mano al povero".
La vera Sapienza è da preferirsi ad ogni cosa:
"Fallace è la grazia e vana la bellezza,
ma la donna che teme Dio è da lodare".
Con Paolo ritorna (siamo infatti quasi alla fine dell’anno liturgico) la grande realtà della parusia, della seconda venuta di Cristo, qui chiamata "il giorno del Signore", presentato con contorni foschi e paurosi: "come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore, … allora d’improvviso li colpirà la rovina, come le doglie di una donna incinta; e nessuno scamperà".
In realtà questo brano, composto in forma ‘apocalittica’, vuole impedire nei cristiani atteggiamenti rinunciatari nei confronti del presente e forme di intimismo egoista, sganciate da una vita comunitaria attiva; sprigiona inoltre speranza: il parto richiama la vita, la luce, un futuro di speranza.
Questo nostro mondo, questa nostra Italia, sembrano vivere un’agonia di morte, soprattutto economica e morale. C’è chi ha giocato e gioca tuttora ad abbattere i pochi valori rimasti; ma è sempre il dolore di un parto, non di agonia: "cieli nuovi e terra nuova" ci aspettano, canta l’autore dell’Apocalisse.
Sento e faccio mio il grido dello scrittore russo F.M. Dostoyevsky: "No, non voglio partecipare ad un mondo che si costruisce su tanti cadaveri e su tante sofferenze. Restituisco il mio biglietto d’ingresso. Il prezzo è troppo alto!".
Restituisco il mio biglietto di entrata, di presenza nel mondo o mi impegno, offrendo i miei talenti, i miei carismi?
E’ la grande provocazione evangelica: lo scopo di Matteo, più che dottrinale, è parenetico, esortativo: scuotere la sua comunità pigra e adagiata, spingerla ad assumere seriamente la fede in Dio, i suoi doni e il suo giudizio liberante.
E’ questo il primo messaggio: i talenti che abbiamo, la fede, le capacità umane e spirituali, sono prima di tutto un dono di Dio, da far fruttificare per il bene di tutti; non perle preziose da tenere nello scrigno. E’ questo l’errore commesso dal terzo servo!
Occorre inoltre marcare l’aspetto della gratuità, per evitare superbia, vanità e competizione: quanto possediamo o realizziamo sono dono di Dio, da condividere.
Le nostre doti, infatti, i talenti, sono e rimangono proprietà di Dio. Non esiste proprietà privata che sia assoluta sui nostri beni e sulla terra che abitiamo; dice infatti il salmo 24:
"Del Signore è la terra e quanto contiene, l’universo e i suoi abitanti" (v. 1).
Chi maggiormente crede nei valori universali, nella vita come un dono, maggiormente rischia, maggiormente ama, in un clima non di paura di Dio e del futuro, ma di impegno, di speranza, di gioia, come ci ricorda questa riflessione di P. Alex Zanotelli ai giovani, a tutti, a noi:
"Caro giovane, ti sei accorto in che mondo vivi? Il tuo è il mondo della sazietà, dove non c’è più posto per il canto, per la lode, per la festa. Il tuo è il mondo della ‘fine della storia’, dove non ci sono più novità, tutto è programmato, tutto fissato, tutto computerizzato. Il tuo è il mondo dove anche le Chiese sono sempre più intrappolate e cooptate in questo Sistema. Ecco perché le nostre celebrazioni, liturgie, messe sono sempre più vuote, sterili, asfittiche. C’è bisogno di una rivoluzione culturale. Dare spazio alla donna, alla leadership femminile, potrebbe dare alle nostre celebrazioni più aria, più vita, più concretezza".
Tutto quanto è stato detto, lo professiamo prima dell’Eucaristia, pegno sicuro della venuta del Signore, facendo nostro un celebre detto del filosofo arabo Al Ghazzali (1058-1111):
"La fede ha tre dimensioni:
fede è parola con la bocca,
fede è verità col cuore,
fede è opera coi fatti".
Don Luciano Scaccaglia
Teologo – Parroco di Santa Cristina (Parma)