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La certezza del perdono di Dio

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2Samuele 12, 7-10.13;
Salmo 31;
Galati 2, 16.19-21;
Luca 7, 36-8,3.

La certezza del perdono da parte di Dio, perdono sempre liberante, deve spingere ogni essere umano a imparare quest’ "arte" assai difficile da praticare.  In merito scrisse Martin Luter King, leader dell’Associazione per il progresso della gente nera: "Innanzi tutto, dobbiamo sviluppare e conservare la capacità del perdono. Colui che è incapace di perdonare è incapace anche di amare". Questo comporta il credere che vi è qualcosa di buono anche nel peggiore di noi, e qualcosa di malvagio anche nel migliore; quando ce ne rendiamo conto, siamo meno inclini ad odiare i nostri nemici.

Questa riflessone iniziale serve come fondale per meglio comprendere le Letture di questa domenica.

Nella Prima Lettura Natan, come ogni profeta, risveglia la coscienza deviata del re Davide: l’unto del Signore, il consacrato, l’antenato di Gesù, ma non per questo meno peccatore.

Il peccato attraversa tutti, per tanto via l’illusione di essere a posto!

Davide si comporta come un criminale abbietto col suo potere assoluto, coi suoi peccati di adulterio e di omicidio, con la sua ipocrisia nei confronti di Uria e di sua moglie. Dopo la finissima parabola del povero e della sua "pecorella piccina" strappata dal prepotente, di cui si parla nei versetti precedenti, scatta il giudizio di Dio. La denuncia, in bocca al profeta è chiara, demolisce i pudori e le reticenze servili che tutti hanno nei confronti dei potenti: "Tu hai ucciso!". Quel fortissimo: "Sei tu quell’uomo" che il profeta getta in faccia al sovrano, è il sigillo della coscienza del re, illuso di bloccare il giudizio divino. La condanna  è esigita dalla giustizia ed è formulata secondo la legge del taglione: "Hai colpito di spada e la spada non si allontanerà più dalla tua casa".

Il soggetto agente e giudicante è Dio che è anche la parte civile perché non è Uria il colpito,  ma Dio stesso, il difensore dei deboli e delle vittime dell’oppressione.

Davide, ricondotto da Natan alla sua autenticità e spogliato dalle difese dell’arroganza del potere, si apre totalmente e sinceramente a Dio confessando il suo peccato senza commenti ed attenuanti: "Ho peccato contro il Signore!".

Un profeta dei nostri giorni, così commenta questo episodio:

"E dunque, Signore, perfino David

uomo secondo il tuo cuore, è un assassino:

non c’è re sulla terra

che non sieda su un trono di uccisi,

non c’è palazzo dove non dimorino e non serpeggino congiure:

e noi tutti in adorazione e invidia

di queste insanguinate maestà:

Signore, che tutti riconoscano il trono

da cui regna l’unico re

che ti rappresenta sulla terra!

Almeno un Natan profeta ci fosse

per tutti questi strateghi di morte

a vendicare gli umili eroi:

e come David ognuno si penta!" (p. D. M. Turoldo).

Anche a Parma ci sono dei "benpensanti" che non vogliono mescolarsi con gli ultimi, arrivati dal Sud del mondo. Tutti questi si chiamano Simone, come il fariseo della parabola: "Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è e che specie di donna è colei che lo tocca!".

Gesù spezza l’ottusità dell’orgoglio di costoro con una parabola. Essa ruota attorno a due debitori: il primo è il simbolo della donna che ha la coscienza viva del grande condono-perdono ricevuto ed è perciò carica di amore riconoscente; il secondo è il fariseo che, convinto della superiorità dei suoi meriti rispetto ai suoi "pochi" peccati, chiude il cuore alla riconoscenza o si attiene ad una minima e formale gratitudine nei confronti di Dio che perdona. Gesù allora gli svela "brutalmente" l’insensibilità della sua coscienza rispetto alla tenera sensibilità della donna. E così facendo, gli rivela la necessità di domandare perdono e di alimentare l’amore: solo così si possono sentire le parole liberatrici: "Va’ in pace!".

"Nessuno mai assomigli a Simone:

questo fratello che giudica sempre,

che pensa male perfino di Cristo:

pur ricco, uomo dal piccolo cuore…

Vieni, Signore, ai nostri conviti,

lieti di darti l’abbraccio di pace;

ti verseremo profumo sul capo,

sopra le vesti, per tutta la casa.

Pianti di gioia piangeremo

nella speranza di udire pure noi

quelle parole dolcissime, o Cristo,

le più attese parole del mondo:

"Va’ in pace!".

Le seguenti riflessioni ci siano di aiuto a cercare di vivere, sull’esempio di Gesù, il perdono di Dio.

"Anche se i nostri peccati fossero neri come la notte, la misericordia divina è più forte della nostra miseria.

Occorre una cosa sola: che il peccatore socchiuda almeno un poco la porta del proprio cuore, il resto lo farà Dio.

 Ogni cosa ha un inizio nella tua misericordia e nella tua misericordia finisce, o Signore" (mistica polacca).

Un ex terrorista ha scritto: "Mi sono accorto che, una volta innescata la spirale del perdono, la spirale dell’amore gratuito, del bene gratuito, nessuno la può più fermare. Diventa un contagio, una luce che si accende di sguardo in sguardo, di gesto in gesto, una reazione a catena: questo è il miracolo di cui oggi sono testimone" (Cfr. A. Bachelet, Tornate ad essere uomini! , p. 68).

Luciano Scaccaglia,
teologo e parroco di S. Cristina e S. Antonio Abate.

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