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Noi non allontaneremo i mendicanti dalle nostre chiese

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Atti 2,14.22-33;
Salmo 15;
1Pietro 1, 17-21;
Luca 24, 13-35.

Noi non allontaneremo i mendicanti dalle nostre chiese, come fanno in certe città cui Parma vuole assomigliare, per proteggere l’estetica e togliere ogni fastidio.

"I poveri li avrete sempre con voi…" ha detto Gesù, non per applaudire all’assistenzialismo, né per benedire una società fatta di ricchi e di poveri. La frase nasce dalla sua conoscenza dell’animo umano sempre più egoista e allergico, anche e soprattutto a livello politico, alla equa distribuzione dei beni e delle risorse. Dice infatti una preghiera:

"Libera i credenti, o Signore,
dal pensare che basti un gesto di carità
a sanare tante sofferenze.
Ma libera anche chi non condivide le speranze cristiane
dal credere che sia inutile spartire il pane e la tenda,
e che basterà cambiare le strutture
perché i poveri non ci siano più.
Essi li avremo sempre con noi.
Sono il segno della nostra povertà di viandanti.
Sono il simbolo delle nostre delusioni.
Sono il coagulo delle nostre stanchezze.
Sono il brandello delle nostre disperazioni.
Li avremo sempre con noi,
anzi dentro di noi".

Vicino ai mendicanti e a noi, che poveri siamo per tanti motivi, oggi e sempre si accosta un terzo nel nostro cammino, come appare dal vangelo: Cristo Risorto; ma duro è il cammino per il riconoscimento.

La prima lettura è un frammento del celebre discorso di Pietro a Pentecoste: la risurrezione di Cristo apre dinanzi a noi l’orizzonte dell’eternità, il limite creaturale è spezzato e l’uomo si apre così alla comunione con Dio, una comunione già iniziata durante il sentiero della vita terrena.

Afferma S. Pietro commentando il Salmo 16:

"..perché tu non abbandonerai l’anima mia negli inferi

né permetterai che il tuo Santo veda la corruzione".

Questo è stato il futuro di Gesù, questo sarà il nostro futuro.

L’annuncio della risurrezione di Cristo ritorna anche nella seconda lettura, a sottolineare l’impegno etico, la trasparenza morale di chi è stato battezzato nel sangue di Cristo: "comportatevi con timore nel tempo del vostro pellegrinaggio terreno".

Nel brano evangelico ciascuno di noi ritrova tracce del suo cammino di fede spesso duro e sofferto. La trama del racconto è scandita in quattro tappe.

Nella prima tappa appaiono gli attori, vale a dire noi in cammino e "col volto triste".

E’ un ritratto vivo delle crisi di fede, delle delusioni, del ricorso alle ideologie per superare il vuoto della vita.

Ma già si accende una luce: un terzo uomo si affianca a noi per rompere il cerchio della solitudine e della ricerca affannosa del seno della vita.

Nella seconda tappa i discepoli descrivono la loro speranza delusa: "uno di loro, di nome Cleopa, gli disse: ‘Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?’. Domandò: ‘Che cosa?’. Gli risposero: ‘Tutto ciò che riguarda Gesù il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute’".

E’ stato, in altre parole, un fallimento totale.

-A questo punto, in crescendo, si apre il terzo atto: l’estraneo, attraverso un viaggio nelle Sacre Scritture, ripropone il "Credo" cristiano completo: "Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?". Cristo morto, è risorto, è glorificato.

Nella quarta tappa di questo cammino, avviene il riconoscimento di Gesù: i due capiscono chi è quando spezza il pane, il pane eucaristico, il pane della condivisione e dell’ospitalità.

Il frutto dell’Eucaristia dovrebbe essere infatti la condivisione dei beni. Celebrando una messa dovrei dividerli per metà, celebrandone due in quattro… e così via. I nostri comportamenti invece sono l’inversione di questa logica.

Le nostre messe dovrebbero smascherare i nuovi volti dell’idolatria.

Le nostre messe dovrebbero metterci in crisi ogni volta. Per cui evitare le crisi bisognerebbe ridurle il più possibile. Non fosse altro che per questo.

Dovrebbero smascherare le nostre ipocrisie e le ipocrisie del mondo. Dovrebbero far posto all’audacia evangelica. Non dovrebbero servire gli oppressori.

Dietricht Bonhoffer diceva che non può cantare il canto gregoriano colui che sa che un fratello ebreo viene ammazzato. Non si può cantare il canto gregoriano quando si opprime il povero.

Tante volte anche noi, presi da una fede flaccida, svenevole, abbiamo fatto dell’Eucaristia un momento di dilettazioni piacevoli, di compiacimenti che hanno snervato proprio la forza d’urto dell’Eucaristia e ci hanno impedito di udire il grido dei Lazzari che stanno fuori la porta del nostro banchetto.

Se dall’Eucaristia non parte una forza prorompente che cambia il mondo, che dà la voglia dell’inedito, allora sono Eucaristie che non dicono niente.

In questi giorni nella ricca Lombardia è scoppiata la guerra contro i mendicanti davanti alle chiese. Una linea dura contro i questuanti voluta da preti e dalla Caritas; si teme l’ombra del racket.

Io condivido la motivazione del direttore della Caritas italiana: "Educare i questuanti perché accettino di farsi aiutare dai servizi e i fedeli perché capiscano che non ci si può limitare a fare l’offerta fuori dalla chiesa".

Io condivido anche questa dura frase:"L’elemosina non ama nessuno, si libera solo i qualcuno".

Ma personalmente sono più attratto e messo in crisi ascoltando e seguendo le provocazioni di un profeta, il vescovo Tonino Bello, che diceva:

-"I poveri, i veri poveri hanno sempre ragione, anche quando hanno torto".

-"Educare chi si blocca di fronte al sospetto sistematico che sotto forme di pseudo povertà si camuffi il raggiro degli imbroglioni, avendo per certo che è molto meglio rischiare di mandare a piene mani nove impostori su dieci, che mandar via a mani vuote il solo bisognoso".

Parma, omelia del 06/04/2008

Luciano Scaccaglia
teologo e parroco.

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