Non credo all’Inferno perché credo all’amore di Dio
Ezechiele 37,12-14,
Salmo 129,
Romani 8,8-11;
Giovanni 11,1-45.
Vita e morte si affrontano ogni giorno in un duello drammatico, all’ultimo sangue! E noi non siamo spettatori o testimoni; dobbiamo schierarci e combattere. Sempre però dalla parte della vita seguendo l’esempio e la prassi di Dio, come appare dalle letture di oggi.
"Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe…": è la voce di Dio attraverso il profeta Ezechiele.
"Colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali", è ancora la voce di Dio fatta risuonare da San Paolo.
Ed ecco l’annuncio di Gesù nel vangelo di oggi, annuncio che diventerà speranza e certezza con la sua Pasqua di Risurrezione: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà".
Signore è difficile credere a questi annunci! La morte ci incalza ogni giorno, incombe paurosamente, quasi la respiriamo: è nell’aria, è negli alimenti; corre pazza e ubriaca sulle strade.
E’ alleata con l’imprudenza o la mancanza di sicurezze adeguate per fare stragi nelle fabbriche e nei posti di lavoro.
Signore, noi mangiamo morte, non vita. Come crederti e credere che questo fragile corpo sarà trasfigurato?
Dio, che nel Libro Sacro, ti presenti come Padre pieno d’amore, come Madre che consola, come sposo innamorato delle tue creature, come amico e alleato che non tradisce, non illudere i tuoi figli, non prenderti gioco di noi; non farci gustare amori e gioie che poi distruggi improvvisamente e per sempre con la mannaia della morte.
Fa’ che sia vera la tua risposta di oggi, nelle prime due letture, soprattutto nel vangelo, dove colui che incarna il tuo amore e la tua fedeltà, Gesù di Nazareth, piange per un amico e poi gli ridona la vita!
La prima lettura ci presenta una visione surreale: in una valle c’è una distesa di scheletri calcificati; ma vi irrompe lo spirito creatore di Dio e sulla ossa aride e morte si intesse la carne, la vita. Qui l’autore sacro non parla della risurrezione dei corpi, come la intendiamo noi alla luce della Pasqua di Cristo, ma parla della liberazione del popolo dalla schiavitù babilonese. E’ la stessa liberazione che auguriamo a tutti i popoli oppressi. E’ il ritorno della speranza.
San Paolo, nella seconda lettura, ci presenta un’altra morte, quella del peccato, la tomba dell’amore e della condivisione, il trionfo spavaldo dell’egoismo collettivo che fa paura, perché subdolamente e progressivamente restringe gli spazi della libertà e della solidarietà, in nome del mercato, del profitto ad ogni costo, la grande idolatria che crea la "casta" dei ricchi, dei superricchi e un oceano di precari e di poveri.
La vita e la speranza ritornano nell’episodio evangelico: la rianimazione di Lazzaro dalla morte, Lazzaro che era grande amico di Gesù.
Non si tratta di risurrezione: il suo corpo non è risorto, non è stato trasfigurato, reso incorruttibile, immortale, come quello di Cristo Risorto.
In Lazzaro è stata risvegliata la vita terrena con il suo carico di nuove gioie e nuovi dolori.
Per noi più che il fatto ci tocca il simbolismo di questo evento: Dio, in Gesù, si commuove e piange davanti alla morte di ogni essere umano, di ogni creatura. Riascoltiamo alcune espressioni:
"Si commosse profondamente, si turbò"¸
"Gesù scoppiò in pianto",
"Vedi come lo amava".
Non è certo il dio apatico, indifferente, impassibile dei filosofi e dei teologi. Quanto ci è vicino e ci incoraggia nella lotta contro il male, contro ogni oppressione, questo Dio che asciuga le sue lacrime e si commuove. Il verbo greco oltre che commozione esprime rabbia, ira: è l’ira di Dio contro la morte, il terrorismo, contro chi spaccia e vende armi, contro chi inquina, contro chi semina odio e disperazione.
Dio che, in Lazzaro rianimato, anticipa e prefigura la sorte gloriosa di Gesù di Nazareth, ci apre alla speranza come ci ricorda un canto cristiano: "Ho visto morire la morte"; e ci lancia verso la liberazione come ci ricordano i Padri della Chiesa: "Davanti a Cristo Risorto non è lecito stare, se non in piedi", per correre insieme verso la vita, l’amore, la Pasqua!
Siamo di fronte a un miracolo, o meglio, a un "segno", come dice Giovanni. Molti dicono che per credere occorre un miracolo. In realtà i miracoli da soli non provano nulla. Già al tempo di Gesù essi erano ambigui; infatti dopo la rianimazione di Lazzaro molti credettero, altri invece no, anzi si organizzarono per ucciderlo (Gv 11,45-48).
Il vero miracolo è l’amore.
Se credere è difficile, non credere è morte certa.
Se sperare contro ogni speranza è eroico, il non sperare è angoscia mortale.
Se amare ti costa il sangue, non amare è l’inferno.
E’ nella fede l’incontro con Dio. E la fede è oscura.
Signore, io non credo nell’inferno, perché credo nell’amore di Dio.
Luciano Scaccaglia,
parroco e teologo.