Home Rubriche Luciano Scaccaglia Si disprezza l’ultimo per motivi “nobili”!

Si disprezza l’ultimo per motivi “nobili”!

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Ezechiele 18,25-28;
Salmo 24;
Filippesi 2,1-11;
Matteo 21,28.32.

Il vangelo di oggi è un richiamo deciso al primato della prassi o, meglio, dell’ortoprassi, cioè dell’agire bene.

Ora una persona, una comunità, un governo agisce bene quando gli ultimi sono al centro del suo interesse e della sua politica. Questo oggi non capita né in basso, né tanto meno nei vertici del potere sia locale che nazionale.

Il razzismo aumenta, anche a causa di interventi del governo che ostacolano il ricongiungimento familiare e l’asilo politico.

Non vorremmo sentire frasi come la seguente: "Macché moschee, gli immigrati vadano a pregare e a pisciare nel deserto" (Giancarlo Gentilini); né vorremmo ascoltare un vecchio detto meneghino: "Minga sun mi che sun rasista, lè lu che lè negher!" (Mica sono io il razzista, è lui che è negro).

I vescovi sono allarmati e con coraggio affermano:

"Sui diritti umani e sulle politiche per l’accoglienza degli immigrati il governo italiano gioca al ribasso". (Mons. A. Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio dei migranti).

Il giudizio sulla nostra situazione storica non può che essere molto severo: ci preoccupiamo più delle radici cristiane, dei privilegi per le istituzioni cattoliche, di garantirci le nostre sicurezze che di cambiare vita di fronte alle sfide di un mondo impossibile sia dal punto di vista etico che ecologico e spirituale. E’ intollerabile che solo un miliardo di esseri umani sia garantito, due se la cavino e altri tre miliardi e mezzo siano considerati esuberi. La Terra si ribella al nostro istinto di potenza, l’umanità dell’uomo si consuma inesorabilmente lasciando trasparire un fondo dove ribollono le violenze.

Le letture di oggi ci sconvolgono, ci scuotono come una forte terapia d’urto.

La prima va interpretata nel suo contesto storico; al tempo del profeta Ezechiele (profeta dell’esilio babilonese) si marcava troppo la responsabilità collettiva: i figli pagavano per le colpe dei genitori secondo un proverbio allora molto popolare: "I padri han mangiato l’uva acerba e i denti dei figli si sono attaccati". Il profeta nel brano si fa invece paladino della responsabilità personale (v. 2): "Se l’ingiusto desiste dall’ingiustizia e agisce con rettitudine, egli fa vivere se stesso".

Nel nostro momento storico occorre la convergenza, la compresenza delle due responsabilità, delle due moralità: non basta una morale personale, pulita, trasparente, quando trionfa in modo spudorato e scandaloso una immoralità pubblica, di gruppi, corporazioni, movimenti, partiti.

Le classi deboli, che tutti promettono di difendere, non devono pagare per la disonestà di tanti e per la cattiva gestione della cosa pubblica.

Non meno attuale è il brano del vangelo, oggi soprattutto, dove tanti, del mondo cattolico, parlano di princìpi non negoziabili.

La nostra incoerenza è rappresentata dall’atteggiamento del primo figlio che accetta tutta la teoria (ortodossia) , ma che non muove un dito per cambiare la pratica (ortoprassi). Sbandierare la fedeltà ai "princìpi non negoziabili" può essere la corazza migliore per difendersi dal rischio della conversione.

Le prostitute e i peccatori sono il simbolo di tutti coloro che, pur non appartenendo all’ambito visibile della comunità cristiana, cercano la realizzazione di una umanità più piena, s’impegnano per dar da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, vestire chi è nudo, tutti quei gesti concreti nei quali davvero si incontra il Cristo.

Sono proprio loro a "precedere" noi cosiddetti credenti che rimaniamo abbarbicati alle parole, ai riti e alle usanze e non percepiamo dove Cristo concretamente ci attende.

E’ pure molto provocante il brano di Paolo, che ruota attorno a due parti ben differenziate: una esortazione all’umiltà e all’unità fatta ai Filippesi e un inno cristologico, dove appare la traiettoria dell’esistenza di Cristo Gesù: totale spoliazione dei suoi privilegi divini cui segue il glorioso innalzamento pasquale.

Facciamo nostra la seguente attualizzazione:

"Il movimento cristiano per eccellenza è quello delineato da Paolo nella Lettera ai Filippesi: ‘Svuotò se stesso assumendo una condizione di servo’. Lo stile di Gesù, contrassegnato dall’abbassamento e dalla kenosi, non sembra molto seguito da coloro che si rifanno ai suoi insegnamenti. C’è davvero un lungo cammino da compiere per mettere le comunità cristiane a servizio degli ultimi. Siamo entrati in una costellazione culturale in cui l’ultimo è disprezzato e perseguitato. E sempre per motivi nobili (!), s’intende: per il decoro delle città, per la sicurezza degli abitanti, perché il nostro stile di vita non è negoziabile. Bisognerebbe cominciare a guardare il mondo con gli occhi dei disperati che attraversano il canale di Sicilia o degli schiavi che lavorano nelle campagne pugliesi e campane per capire qual è la condizione di servo.

Allora i nostri richiami alla sicurezza, le nostre appassionate difese dell’identità apparirebbero per quello che sono: un riflesso di paura di fronte alla necessità della conversione e alla urgenza di cambiare stile di vita. Non hanno niente di evangelico le suggestioni del denaro, la smania di apparire, il culto del vincente che costituiscono i cardini della cultura dominante. ‘Quanto è difficile per un ricco entrare nel regno di Dio!’ (Mc 10,25)".

Don Luciano Scaccaglia
parroco di Santa Cristina- Parma
teologo

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