TRE VALORI UNIVERSALI: PACE, GIUSTIZIA E CREDIBILITA’
Atti 15, 1-2.22-29;
Salmo 66;
Apocalisse 21, 10-14.22-23;
Giovanni 14, 23-29.
"Vi do la mia pace". E’ il grande dono di Cristo Risorto dopo quello dell’amore. La pace non è solo assenza di guerre; per essere vera ha bisogno di una compagna inseparabile: la giustizia.
Così recita infatti il Salmo 85[84]: "giustizia e pace si baceranno".
Ora non c’è giustizia e quindi non c’è pace dove regna la corruzione, come nel nostro Paese, dove aumenta la disoccupazione e dove avanza paurosamente la precarietà.
Un terzo colore dipinge la pace: è la credibilità. Abbiamo bisogno di una politica credibile, di una Chiesa credibile, sempre schierata dalla parte degli ultimi; ma non è sempre così.
La pace, all’interno della Chiesa, è anche frutto di un confronto sincero e di una vera dialettica, perché il Vangelo non sia né monopolizzato, né offuscato da parte di gruppi o movimenti elitari.
E’ la tentazione che minacciava la Chiesa del primo secolo, come appare nella Prima Lettura.
A Gerusalemme si celebra il primo "Concilio ecumenico", convocato per la seguente questione: i pagani (i non Ebrei) che si convertono al Cristianesimo, devono praticare la circoncisione, segno di appartenenza al popolo ebraico?
I capi storici della Chiesa si dividono: contrario alla loro circoncisione è Paolo. Pietro e Giacomo cercano un compromesso, per non scandalizzare i Giudei convertiti a Cristo, ma pur sempre rispettosi delle norme mosaiche: quindi no alla circoncisione, ma sì a tre norme che poi, nel tempo, saranno abbandonate: evitare di comperare nei mercati e di mangiare carni prima offerte agli idoli nei templi, astenersi dal mettere sulla tavola animali soffocati, non scolati – il sangue nella Bibbia è simbolo di Dio – ed evitare l’impudicizia, cioè unioni matrimoniali non ammesse dalle leggi ebraiche.
Illuminante sul problema è una frase di Pietro: "Noi crediamo che per la grazia del Signore siamo stati salvati e così i pagani".
E la forza per rompere con il passato viene attribuita alla presenza dello Spirito Santo.
Anche oggi lo stesso Spirito continua a provocare la nostra Chiesa, tutte le Chiese e tutte le religioni, perché non cedano a tentazioni di potere, ma vivano povere, senza chiedere privilegi allo stato laico, portando avanti i propri valori con la forza della testimonianza dei propri membri e non con l’avallo di leggi o appoggi esterni.
Anche la seconda Lettura ci porta a Gerusalemme, spesso insanguinata da fanatismi religiosi e politici: lì, allora, nel tempio, nella parte più sacra (Sancta Sanctorum) abitava Dio, l’Altissimo.
Giovanni, seguendo Gesù, ci libera da questa visione "spaziale" di Dio: Dio è ovunque, non solo nelle chiese, nei templi, nelle moschee, nelle pagode: Dio è in Cristo, agnello immolato, è nelle comunità ecclesiali, ma anche in tutte le religioni non cristiane, che sono "vie positive" alla salvezza: Dio è in ogni essere umano e anima il cosmo e il mondo animale.
Quando Cristo ritornerà, alla fine dei tempi, scompariranno chiese, religioni, santuari e tabernacoli.
Ora, nell’attesa della sua venuta nella gloria, possono servire anche i segni sacri e le sobrie strutture sacre, purché non ci facciano dimenticare che il Signore è soprattutto là dove si condivide, si soffre, si prega, e a volte pure si impreca per la disperazione e la solitudine."Noi invece – grida il profeta p. M. Turoldo -, sempre tentati di assolutismi, e riti e forme e strutture per farci intorno recinti di sicurezza".
Nel vangelo appare la passione di Dio verso le sue creature, passione e amore presenti in Cristo, che di Dio è l’Icona perfetta. Non solo nel vangelo, ma in tutta la Bibbia appare questo incontenibile desiderio di Dio di unione con l’uomo, con la donna, con tutte le creature.
Dio è come un innamorato che, lungo la storia, fissa e organizza appuntamenti su appuntamenti per incontrarci. Lui è sempre presente, non manca mai, non è mai in ritardo; noi invece spesso e volentieri ci facciamo attendere, o siamo assenti. Ma Dio non demorde, come ci ricorda Gesù: "Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui".
Non solo, ma ci offre due doni: lo Spirito Santo e la pace. Lo Spirito, detto Consolatore, è la guida appassionata lungo i sentieri dell’indifferenza, è la sapienza che ci insegna ad esercitare l’alfabeto dell’amore e ci salva da una pace che spesso è solo convenienza, ipocrisia, equidistanza dai veri problemi, vita senza passione, e non impegno, lotta, rivoluzione d’amore.
Non possiamo vivere senza lo Spirito Santo. Egli libera la profezia, spesso mal sopportata dalla Chiesa istituzionale, abbatte il conformismo, suscita nuovi carismi, stigmatizza l’intolleranza e il fanatismo, apre la comunità a legittime diversità e al pluralismo religioso.
Lo Spirito Santo ci fa guardare indietro per ricordare, ma ci obbliga anche a guardare avanti per inventare, per anticipare, per creare rapporti nuovi, perché senza fantasia la memoria del passato diventa una prigione.
Questo vale anche per le celebrazioni dell’Unità di Italia: non retorica, ma impegno perché la corruzione sparisca al Nord, al Sud e al Centro e il benessere sia equamente condiviso in tutte le regioni dell’Italia.
Termino con un appello appassionato alla pace, alla non violenza attiva:
"Non dobbiamo tacere, braccati dal timore che venga chiamata "orizzontalismo" la nostra ribellione contro le iniquità che schiacciano i poveri. Gesù Cristo, che scruta i cuori e che non ci stanchiamo di implorare, sa che il nostro amore per gli ultimi coincide con l’amore per lui.
Se non abbiamo la forza di dire che le armi non solo non si devono vendere ma neppure costruire, che la politica dei blocchi è iniqua, che la remissione dei debiti del Terzo mondo è appena un acconto sulla restituzione del nostro debito ai due terzi del mondo, che la logica del disarmo unilaterale non è poi così disomogenea con quella del Vangelo, che la nonviolenza attiva è criterio di prassi cristiana, che certe forme di obiezione sono segno di un amore più grande per la città terrena… se non abbiamo la forza di dire tutto questo, rimarremo lucignoli fumiganti invece che essere ceri pasquali" (T. Bello).
Luciano Scaccaglia,
teologo e parroco di S. Cristina e S. Antonio Abate.