Riflessioni sul Vangelo di Don Umberto Cocconi: “quali sono le malattie mortali dell’uomo religioso?”
Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati rabbì dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare rabbì, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo» (Vangelo di Matteo).
Oggi ci imbattiamo nella pagina del Vangelo che noi uomini religiosi abbiamo tradito di più. Quello che Gesù ci dice di non fare noi l’abbiamo fatto, anzi l’abbiamo reiterato infinite volte. Dal nostro popolo ci siamo fatti chiamare rabbì (grandi), nonostante uno solo fosse il nostro Maestro. Come se questo di per sé non bastasse, ci siamo fatti chiamare anche “padri”, sebbene uno solo fosse il Padre nostro, quello celeste. E ci siamo fatti chiamare “guide”, quando in realtà uno solo è la nostra Guida, il Cristo. Ma c’è di più, abbiamo voluto strafare, siamo stati i più creativi di tutti nel coniare titoli da far invidia all’esercito e al mondo accademico, ed ecco comparire accanto ai nostri nomi titoli onorifici come: Don, Reverendo, Monsignore, Sua Eminenza Reverendissima, fino ad arrivare a dire Sua Santità! Nella sostanza quali sono le malattie mortali dell’uomo religioso? La cartella clinica desta serie preoccupazioni. Siamo in presenza di un ammalato grave che non è consapevole di tutti i suoi disturbi. Si passa dalla patologia del potere all’Alzheimer spirituale in coloro che hanno perso la memoria del loro incontro con il Signore e pertanto dipendono completamente dal loro presente, dalle loro passioni, dai loro capricci e dalle loro manie. Nelle sacre e segrete sagrestie, per non parlare dei nostri consigli pastorali, serpeggia il virus pestifero della rivalità e della vanagloria, a causa del quale l’apparenza, le feste patronali e le insegne di onorificenza diventano l’obiettivo primario della prassi pastorale. Non il servizio ma il comando diventa l’obiettivo di tanti. «Il popolo umile e povero che ha fede nel Signore è la vittima degli intellettuali della religione, i sedotti dal clericalismo, che nel Regno dei cieli saranno preceduti dai peccatori pentiti» (papa Francesco). Per non parlare poi della malattia delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi, tumore che produce la metastasi della divisione, instillando nelle persone il nefasto desiderio di contaminare e calunniare a sangue freddo la fama dei propri collaboratori. Questa è il morbo delle persone vigliacche che, non avendo il coraggio di parlare direttamente, parlano dietro le spalle: il fuoco amico dei commilitoni è il pericolo più subdolo. Per non palare poi della malattia dell’adulazione, di coloro che corteggiano i capi, sperando di ottenere favori e benevolenza, non sono altro che vittime del carrierismo e dell’opportunismo, sono persone che vivono il servizio pensando unicamente a ciò che devono ottenere e non a quello che devono dare. C’è anche l’infermità dell’indifferenza verso gli altri, si perde la sincerità e il calore dei rapporti umani, addirittura per gelosia o per scaltrezza si prova gioia nel vedere l’altro cadere. Non possiamo poi tacere della patologia dell’impietrimento di coloro che si nascondono sotto le rubriche, diventando burocrati del sacro e non uomini di Dio. Gli uomini religiosi vogliono far vedere di essere paladini della legge e quindi il loro volto si dipinge di malinconia, di severità e trattano gli altri – soprattutto quelli ritenuti inferiori – con rigidità, durezza ed arroganza. Alcuni fanno vanto di appartenere all’Opus Dei, altri a Comunione Liberazione, altri ai Focolari, c’è chi afferma con determinazione la sua appartenenza a Rinascita Cristiana, chi al Rinnovamento dello Spirito e ciascuno, al contempo, si crede più papista del papa. L’appartenenza sbandierata diventa più forte di quella al Corpo ecclesiale e, in alcune situazioni, a Cristo stesso. Siamo invece quotidianamente testimoni delle “lotte di potere” che si creano nelle nostre comunità e nei nostri presbitèri: chiacchiere e pettegolezzi, trame per ottenere le parrocchie “migliori” o incarichi più “prestigiosi”, gelosie e invidia, durezza contro i confratelli in difficoltà, atteggiamenti che contraddicono la natura stessa del ministero del prete, uomo di comunione, chiamato a ricucire strappi e a stemperare tensioni. Chi di noi non ricorda la famosa frase: “è l’ora dei laici” ma sembra che l’orologio si sia fermato. Papa Francesco a questo riguardo sottolinea: «Senza rendercene conto, abbiamo generato una élite laicale credendo che siano laici impegnati solo quelli che lavorano in cose “dei preti”, e abbiamo dimenticato, trascurandolo, il credente che molte volte brucia la sua speranza nella lotta quotidiana per vivere la fede. È illogico, e persino impossibile, pensare che noi come pastori dovremmo avere il monopolio delle soluzioni per le molteplici sfide che la vita contemporanea ci presenta. Al contrario, dobbiamo stare dalla parte della nostra gente, accompagnandola nelle sue ricerche e stimolando quell’immaginazione capace di rispondere alla problematica attuale. E questo discernendo con la nostra gente e mai per la nostra gente o senza la nostra gente».