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FIUME RIVA STRADA

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Fiume riva strada bruciano campanili la infinita distanza, totem.
Piacenza campeggia serena. Siamo passati. E non siamo morti.
(Siamo morti e non siamo passati)
riva buia strada, il profumo del sisso, cacca buona, si spande
e diffonde una dolce stesura di note nel verde: decise che io suonassi, 
mia madre aveva sempre voluto io suonassi uno strumento, scelsi il pianoforte: si sedeva in cucina, alla vista dell’ombroso giardino di San Paolo e aspettava  le mie note, dovevano uscire stentate a trilli brevi quasi scolastiche nelle sonate a quattro mani poiché non mi riusciva di calare il mio cuore nei segni ma altri suoni assembravano, mi tenevano nella notte attenta.
Mi fidavo del fiuto del suo sangue della carezza ardente che il suo piede indicava,
(All’inferno era la storia per sempre risaputa, di ragazze e gambe agili della pianura; pezzo della sua strada al paradiso). Quelle grida sante di giusti oh madre che riposi oggi  nella conoscenza,  tu stai serena e guarda come noi piccoli, dal fondo svolgiamo compiti sempre più piccoli, tu salvatrice accoglici. Mettici in salvo, ripara.
Sed libera nos a malo, le chiavi della galera le tenevo anch’io  la galera vista da sotto, e là fuori –guarda! Ma tu uno scatto, e ripetuto nei secoli dei no! divenuta carceriera di te stessa, revoca graziati mettici in salvo, ripara.
L’anima di mia madre senza braccia, e chiara di etere non ha volute –narici soffiano chiare nel cordone di voci infantili e di grazia, lei stessa con altre anime e facete, acute parole a Parma si sentono o a Milano galleggiare per l’aria ma leggere  semprevive.

Maria Pia Quintavalla

 
 

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