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Viaggio

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Foto Luigi Boschi: viaggio tra cielo, nubi e nebbia

Treno regionale veloce Bologna Bolzano. Una scritta sul tracciato: “Dio ti cerca, lasciati trovare”. Non glielo ho mai impedito.
Mi ero seduto a lato corridoio di fronte a una ragazza dai capelli rosso carota, lentiggini in viso,
bellissima bocca e lunghe gambe, che cercava di gestire, in un corto vestito maglione di lana, sopra una calzamaglia nera,
con accavallamenti seducenti, ma imprigionata tra i sedili. Leggeva la “Nausea” di Sartre.

A lato corridoio, non soffrivo della ristrettezza di spazio.
Arrivo a Bolzano, mi aspettavo una stazione molto organizzata e pulita.
Ho trovato invece un luogo caotico, malamente pulito e poca organizzazione per i viaggiatori.
Era buio, ero stanco dopo molte ore in treno dal mattino. E cercavo l’uscita dove avrei trovato le corriere per arrivare a Sant’Antonio.
Dopo aver chiesto a diverse persone con indicazioni sempre sbagliate,
sono riuscito ad arrivare alla giusta fermata. Era davanti all’hotel Alpi. E non all’uscita della stazione.
Ero stracarico
avevo portato con me oltre la valigia per il soggiorno, il trolley con gli obiettivi per la macchina fotografica
E uno zainetto con la mia Canon 7D.
Arriva l’autobus, era l’ultima corsa.
Rassicurato dall’autista del 170 che mi avrebbe portato a Sant Anton;
pagai il biglietto,
in stazione non lo facevano,
e mi sedetti dietro il posto dell’autista a cui avevo chiesto di farmi cenno alla fermata giusta.
Era buio e non vedevo nulla, se non una strada con molte curve e in forte salita,
in certi punti abbastanza stretta e pensavo alla pericolosità di quel tracciato con il vetro ghiaccio in strada.
La temperatura esterna, pur fredda, non era, fortunatamente, ancora tale da crearlo.
Vedevo dal finestrino grandi strapiombi e immaginavo cosa sarebbe accaduto se quel bestione di automezzo gommato, per qualche ragione o incidente meccanico fosse fuoriuscito.
Avevo messo i bagagli  nel vano apposito del pullman, tenendo con me solo lo zainetto con la macchina fotografica.
Avrei voluto scattare qualche foto all’interno, ma le curve e il probabile disturbo di essere fotografati ai compagni di viaggio mi dissuasero dal farlo.
Dopo circa 40 minuti
vedendo che l’autista non mi diceva nulla,
gli chiesi quando sarei arrivato.
Si picchiò la fronte con la mano aperta: “mi sono dimenticato, mi scusi! Scenda alla prossima fermata e aspetti 10 minuti che arriva quello che scende a Bolzano”. Così feci. Scesi e Scaricai i miei bagagli dal vano laterale e aspettai l’arrivo del nuovo autobus.
La temperatura era bella tosta. Infreddolito, camminando intorno ai bagagli, telefonai in albergo avvisando del ritardo dovuto al disguido.
Arrivò l’altro bestione che scendeva. Mi accertai che fermasse a Sant’Antony. Alla conferma riposi nel vano bagagli il trolley e la valigia e salii di nuovo raccomandandomi con il conducente mi indicasse per favore la fermata Sant Antonio.  Non si vedeva nulla, e non conoscevo il luogo, così come non conoscevo l’albergo che portava lo stesso nome del posto, ma l’aria influenzava l’immaginazione.
Pagai di nuovo e mi sedetti sempre davanti ma dal lato opposto quello del conducente.
Immagino che significhi portare quei bestioni con le ruote per quella strada!
Un lavoro di grande responsabilità, routine e alienante che può indurre allo sbaglio.
Mi metto sempre nei panni di coloro che si rimettono al servizio del lavoro senza avere, spesso, le adeguate gratificazioni. Cerco di essere sempre gentile anche quando sbagliano, come nel mio caso.
La lingua parlata da tutti era principalmente il tedesco. Quindi non capivo nulla, se non il saluto di quelli che scendevano con l’autista.
Compariva la scritta in rosso “vagen halt”  in prossimità di fermate.
Una volta arrivato a destinazione, sono andato a dormire dopo aver cenato con legumi e una vellutata di zucchine con erba cipollina, per la verità un po’ salata nel gusto e nel costo.
Ho rimandato indietro la prima, ma quella avuta mi sembrava la stessa con l’aggiunta di un po’ di acqua calda per diluirla.
Preso dalla discrezione, non rimandai indietro anche la seconda, ma sapevo che la notte sarei stato sveglio anche a bere.
Domenica mattina mi risveglio un po’ tardi vista la gran parte della notte in bianco.
Mi era giunto un messaggio verso le 4 . Era mia figlia Jessica che mi scriveva alcuni suggerimenti di cosa avrei potuto fare.
Le risposi subito. Capivo il suo stato: cambia la sua vita per sempre, è una donna incredibilmente intelligente e rigida nelle sue decisioni.
Mi ricorda molto di me quando ero giovane e credevo ancora che tutto fosse possibile.
Piena voglia di fare, di bruciare le tappe della vita, fin da piccolo, con una energia incredibile, forse eccessiva. Gli sbagli dietro l’angolo e oggi vivo nell’angoscia dei miei errori.
Scendo dalla camera, frutta a colazione, e  con la mia macchina fotografica vado a Fiè a piedi per capire quanto ci avrei impiegato, se era facile raggiungerla, immortalare i luoghi.
Decido di tralasciare i suggerimenti turistici di Jessica, a piedi vado a fotografare Fiè.
Sarei potuto rimanere il lunedì per visitare i luoghi indicati da mia figlia e ripartire il pomeriggio tardi verso la sera. E così feci. (Parma, 21 dicembre 2015)  

Luigi Boschi

 

REPORTAGE FOTOGRAFICO

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