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Festival Verdi 2016: prova generale di Giovanna D’arco di Peter Greenaway al Farnese

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Prima di Verdi, bisognerebbe occuparsi del verde pubblico che a Parma, ne ha un gran bisogno e non gode bi buona salute.
Non ha certo brillato la regia di Peter Greenaway (mai visto a teatro, mentre hanno tutti visto Sara Thaiz Bozano l’aiuto regista).
Una regia non certo all’altezza della laurea honoris causa conferitagli dall’Università di Parma in questi giorni. Molto discutibili, spesso incomprensibili, le scelte registiche e scenografiche di immagini proiettate, in un già incantevole teatro Farnese. Non certo, però, un teatro per opere, essendo nato fin dalle sue origini per altri spettacoli. Greenaway è indubbiamente un significativo, originale cineasta inglese, ma l’opera lirica è altro, seppur antesignana del cinematografo. In Italia c’è chi fa scenografie in computergrafica professionalmente per la lirica in tutto il mondo, con successo (Paolo Miccichè), senza dover scomodare per la regia la famiglia inglese al completo di Peter Greenaway con la moglie Saskia Boddeke, funzionali, forse, per un effetto di richiamo in posa con Enzo Malanca e Anna Maria Meo, il desiderio di visibilità del “magnifico” ma non troppo, Loris Borghi. Un trittico per la commedia all’italiana più che per l’opera verdiana.

Pare che l’impianto tecnico di luci collocato e agganciato alle travi in legno  per produrre queste immagini (alcune azzeccate, altre indifendibili) sui gradoni del Teatro abbia avuto un elevato costo (si parla di 500.000 euro). Impianto che dovrà essere rimosso finito il Festival.  
I costumi inesistenti sostituiti da camicette bianche da notte.
Cast a basso valore scenico con voci senza particolare note, senza fraseggio tra i cantanti, ad eccezione del baritono Vittorio Vitelli nel ruolo di Giacomo il pastore di Domremy (padre di Giovanna).
Il coro pur indiscusso non ha potuto dare il meglio di sé, per la sua infelice collocazione sia in scena che soprattutto negli interni rispetto all’orchestra. E il coro nelle opere verdiane è un fondamentale protagonista. Mi piace qui rimarcare, forse a molti sfuggita, l’emblematica posa e l’espressione del Maestro Martino Faggiani (un vero artista) durante gli applausi finali. Quasi a dire: “ma che me tocca fa!”  
Il direttore concertatore Ramon Tebar e l’orchestra “Virtuosi italiani”, molto sobri senza pathos.
All’uscita dal Farnese, una Pilotta completamente al buio, compresa la scalinata, raggiunti da un rumore assordante (la chiamano musica?) ponendo molte difficoltà per gli anziani che temevano di cadere. Si arriva quindi, cercando di indovinare dove si mettono i piedi, nell’area verde dove una massa di persone stipate sul fronte di via Garibaldi, impediva il passaggio e guardavano un videomapping (senza molta coerenza consequenziale), proiettato sulla facciata della Pilotta.
Difficile distinguere tra Verdi in e Verdi Off. Forse un Verdi Greenaway. Ma la bellezza dell’opera è altro di ciò che ci ha proposto il cineasta inglese. 
Il Verdi Festival dovrebbe rappresentare la summa verdiana; pensiamo che nel mondo questa Giovanna d’Arco eseguita al Farnese costituisca nella lirica un riferimento interpretativo? Sono giustificabili 250 euro per la prima di questo spettacolo?
Tutto firmato anche da “Parma io ci sto” (dopo, Pistoletto ora Greenaway, più che rigenerare mi sembra una associazione al danno del flop!) e da Fondazione Cariparma, “sempre in prima fila”… nella falsa filantropia, dopo le rapine bancarie.
Questo è quel che succede quando si insegue il personaggio per fini turistici o personali e non la filologia musicale o il bene comune. (Parma, 01/10/2016)

Luigi Boschi 

PS:
un completo e bel libretto di sala accompagnava l’opera anche se con troppe pagine pubblicitarie. 


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