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La Toscanini, «Fenomeni»: Gringolts, un interprete superbo per il Concerto di Berg
Giuseppe Martini
«Fenomeni»: Gringolts, un interprete superbo per il Concerto di Berg
Chi negli ultimi trent’anni si è lasciato convincere a comperare il disco dei «Pianeti» di Gustav Holst, pubblicizzatissimo, sa di essersi trovato in casa una suite che non è quel viaggio attraverso suoni mistici e surreali, polvere cosmica e spazi infiniti, da ascoltare in estasi come promettevano le copertine con Giove e Saturno, ma un campionario di sonorità spesso tonitruanti che nelle ambizioni del compositore inglese imbottito di teosofia e altre manie spirituali avrebbero dovuto esprimere il carattere astrologico di ogni pianeta.
Dato che i «Pianeti» li si esegue dal vivo di rado, bene che la stagione Fenomeni della «Toscanini» abbia dato un’opportunità di ascoltarli venerdì scorso con la Filarmonica diretta da Alpesh Chahuan, in un programma impaginato con sottigliezza esteriore che affiancava due brani “in memoriam”, il Concerto per violino di Berg per la figlia di Walter Gropius e Alma Mahler, e il «Cantus in Memoriam Benjamin Britten» di Arvo Pärt, e si badi che la figlia di Holst è stata assistente di Britten ad Aldeburgh. In realtà c’è un altro filo, più profondo, che è quello di brani che per esprimere il massimo della rarefazione spirituale utilizzano massiccio turgore sonoro – i «Pianeti» sfoggiano un organico degno dei più chiassosi poemi sinfonici di Strauss.
E infatti Chahaun, tornato per una sera al vigore energico ed esatto che aveva conquistato agli esordi, ha rivelato quanto c’è di Strauss in questo ambizioso di lavoro di Holst, completato con coerenza stilistica dal «Plutone» di Colin Matthews (Plutone fu scoperto nel 1930, Holst finì la suite nel ’16), altro assistente di Britten a Aldeburgh: una certa tendenza all’ego. Che i pianeti non siano che un ritratto in maschera dello stesso Holst? Certo qui c’è un che di eroicheggiante, i timbri non esistono, arpe e percussioni sono semmai colpi di luce, il massimo dello spiritualismo è affidato al coro femminile fuori campo – quello sempre efficace del Regio diretto dal Martino Faggiani, che fungeva da misteriosa voce dell’«altro da sé» – e anche Matthews per plutoneggiare finisce affetto da tintinnabulismo come Pärt (ma la copia non è mai come l’originale), che a sua volta nell’omaggio a Britten se la gioca sul canone agli archi, prezioso ma alla fine evanescente.

La vera sorpresa della serata è stato semmai il Concerto di Berg con Ilya Gringolts solista: un interprete superbo che si è messo al servizio della partitura dimostrando come il violino possa fondersi all’orchestra, diventarne nervo e colore, leggere la difficoltà tecnica come struttura, la struttura come espressione e l’espressione come sentimento. È vero, nel Concerto c’è anche sentimentalismo: Gringolts e Chahuan lo hanno nascosto bene, e con questo la tendenza dell’ultimo Berg a soverchiare i sentimenti con il dominio della tecnica. Tutto sembrava così domestico, semplice e naturale nel Concerto interpretato da Gringolts. Il che si è dimostrata cifra dell’interprete nel bis con Bach. Ecco un segnale di grandezza: mai vista in un solista così acclarato tanta salutare modestia di atteggiamento.
Giuseppe Martini
Fonte: Gazzetta di Parma 23 Febbraio 2020 pag.43