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L’Interprete e l’autore in Verdi… creiamo luoghi in cui approfondire il pensiero del grande Maestro

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Sebastiano Rolli

Verdi è paziente assai (…). Chiede innanzitutto una chiara, esatta pronuncia, perché, dice, è necessario che il pubblico si interessi a ciò che vogliono esprimere i personaggi: in un verso segna quella data parola che deve richiamare l’attenzione degli ascoltatori, non solo, ma persino talvolta la sillaba che deve pronunciarsi più marcatamente. Non vuole che si alteri la frase od il ritmo con inutili corone e rallentandi: cura ogni battuta, ogni nota: per ottenere una dizione elegante fa ripetere una battuta 10, 20, 30 volte, e lo stesso fa per la esatta pronuncia di una vocale, non poche volte alterata dai cosiddetti famosi metodi di canto!…

La precisione e l’esigenza del Maestro vengono ben descritte da Giulio Ricordi rammemorando le prove di Falstaff. Verdi pretendeva dal cantante una completa immedesimazione nel personaggio, affinché il contenuto poetico e drammaturgico fosse inequivocabile. Non ammetteva alcuna interpolazione fra la pagina e il pubblico non prevista dalla scrittura. Il rimanere nel rispetto assoluto del dettame musicale e teatrale ci spinge a credere che l’atteggiamento del Maestro fosse teso ad un realismo non immemore della disciplina musicale, bensì poggiato totalmente in essa. Nessuna forzatura veristica, nessun abbandono strappalacrime…nella partitura vi è già scritto tutto e solo dalla comprensione e dalla resa assoluta di questa può nascere l’espressione del sentimento. In quanto alla musica non bisognerebbe fare concessioni né sui coloriti né sui tempi. Hanno un bel dire (e dicono male) quelli che pretendono che bisogna concedere qualche cosa alle diverse qualità del timbro di voce. Nò: l’interpretazione d’una opera d’arte è una sola e non può essere che una sola. (G. Verdi)

L’interprete deve quindi annullare la propria personalità? Beate quelle arti che non hanno bisogno di interpreti, smaniava Arrigo Boito. Forse che il cantante o il direttore d’orchestra non hanno diritto a quella che Carlo Maria Giulini chiamava un’appropriazione debita? L’interprete è un mediatore sensibile e necessario affinché la musica viva; non si può supporre che la sua personalità non trapeli dall’esecuzione, sarebbe oltretutto indesiderabile un’esecuzione fredda ed impersonale! Ma l’espressione, la vita che la partitura deve acquistare nell’esecuzione, non può che essere suggerita totalmente dalla scrittura. Ciò che questa propone può essere vissuto in modi differenti (come sono differenti le interpretazioni della medesima opera), purché ogni approccio sia sempre giustificabile sul piano del rispetto della lettera. San Paolo ci ricorderebbe che la lettera senza lo spirito è opera del demonio…infatti la lettera va rivestita dello spirito dell’autore così come l’interprete lo ha potuto desumere nella fase di studio.

Pel cantante vorrei: estesa conoscenza della musica; esercizj sull’emissione della voce; studj lunghissimi di solfeggio come in passato; esercizj di voce e parola con pronunzia chiara e perfetta. Poi, senza che un Maestro di perfezionamento gli insegnasse le affettazioni del canto, vorrei che il giovine forte in musica e colla gola esercitata e pieghevole cantasse guidato solo dal proprio sentimento. Non sarebbe un canto di scuola, ma d’ispirazione. L’artista sarebbe un’individualità; sarebbe lui o, meglio ancora, sarebbe nel melodramma il personaggio che dovrebbe rappresentare. E’ inutile dire che questi studj musicali devono essere uniti a molta cultura letteraria.

Verdi insiste continuamente affinché il musicista si coltivi nella cultura letteraria e nella corretta dizione (chi si fa mediatore di un testo deve curare sia l’articolazione che la dizione. Verdi era un frequentatore assiduo del teatro di prosa più che di quello lirico…). In questi suggerimenti dati a Giuseppe Piroli affinché se ne traesse un qualche spunto per redigere i programmi ministeriali dei conservatori, il Maestro ci dice inequivocabilmente che dal cantante esige una grandissima preparazione musicale, ma non un canto di scuola o un canto accademico nel quale, per salvare la purezza d’emissione, si debbano alterare vocali, sillabe, fonemi o addirittura parole. Verdi è sempre dell’idea che il testo, la poesia, la drammaturgia debba essere salvata e non sottomessa alla purezza scolastica d’emissione. Il cantante deve essere il personaggio, lo deve incarnare in modo realistico: l’insistenza sulla preparazione musicale è sempre in agguato a ricordarci che l’immedesimazione e l’interpretazione, se non devono essere subordinate alla bellezza vocale fine a se stessa, debbono tuttavia essere subordinate al rigore musicale in quanto solo da esso può nascere la corretta resa del personaggio.

Molto ci sarebbe da dire sulla chiarezza dell’estetica verdiana, ora limitiamoci a riflettere sulla possibilità di creare festivals e sedi opportune nelle quali si possa approfondire il pensiero del Maestro delle Roncole.

 

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