Pierluigi Dilengite a Cagliari nell’Ape Musicale di Da Ponte
CAGLIARI
TEATRO Lirico
DA PONTE L’APE MUSICALE
INTERPRETI S. Jicia, P. Dilengite, D. Terenzi, P. Kabongo, V. Kavayas
DIRETTORE Donato Renzetti
REGIA Davide Garattini Raimondi
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Carlo Vitali
“La vicenda è il solito innesto metateatrale a base di poeta affamato, impresario in angustie, maestro di cappella ciabattone e virtuosi pieni di pretese; da Salieri a Donizetti un sempreverde di sicura presa per attirare i melomani guardoni.”
“Rossini […]/ il maestro di moda/ che quanto il gran Mozzàrt s’ammira, e loda”. Passavano i decenni ma Lorenzo Da Ponte, esiliato oltre oceano dai capricci della sorte, non scordava i vecchi amici e i comuni allori viennesi. Eppure in quest’Ape musicale del 1830, quarto ed ultimo dei pasticci da lui cucinati coi sapidi avanzi delle ultime stagioni operistiche, non v’è una sola nota di Mozart. La parte del leone la fa appunto Rossini con 9 numeri su 16; seguono Cimarosa con 3 dal Matrimonio segreto e a distanza, con un numero ciascuno, Salieri, Zingarelli, Generali e Michel O’ Kelly, il tenore irlandese che per Mozart aveva creato piccoli ruoli e poi si era dato al commercio dei vini e alla composizione in proprio. La vicenda è il solito innesto metateatrale a base di poeta affamato, impresario in angustie, maestro di cappella ciabattone e virtuosi pieni di pretese; da Salieri a Donizetti un sempreverde di sicura presa per attirare i melomani guardoni. L’ape coglie fior da fiore, l’aria da baule trionfa e il botteghino incassa. Così andava un tempo, oggi forse meno visto che il biglietto unico costava 10 euro in omaggio a meritorie politiche di promozione culturale. Operazione applaudita cordialmente, e dunque tutto bene.
Prodotto dal Lirico di Cagliari in vista di una riesportazione a New York, che ha avuto luogo a metà ottobre, questo primo allestimento in tempi moderni ha debuttato in casa grazie al musicologo Francesco Zimei, incaricato di supplire i recitativi mancanti fra le arie, i duetti e i concertati evocati dal libretto. Co-artefici del restauro l’alacre bacchetta di Donato Renzetti, i valenti complessi della Fondazione sarda e una compagnia di canto mediamente giovane ma già assai versata nelle arti del belcanto tra fine Sette e primo Ottocento. Degno erede della scuola di Manuel Garcia si è rivelato il tenore di grazia Patrick Kabongo da Kinshasa, vocalmente simile come una goccia d’acqua al collega afroamericano Lawrence Brownlee; e non è poca lode. Ascoltarlo nella serenata “Ecco ridente in cielo” dal Barbiere era una gioia e un punto a favore della società multietnica.
Nel ruolo della peperina primadonna Lucinda, la georgiana Salome Jicia peccava per qualche eccesso di vibrato; eppure che bella presenza scenica, e quale sicurezza nello snocciolare le agilità a perdifiato di Semiramide! Bene anche il baritono emergente Davide Terenzi (Mongibello, il poeta di teatro) e il tenore ateniese Vassilis Kavayas, che già udimmo nella sua patria in ruoli eroici di Händel e Gluck, ma ora non meno convincente in una particina da buffo patetico: il maestro di cappella fuori moda. Non immacolato nell’emissione l’altro baritono Pierluigi Dilengite, che tuttavia impersonava a puntino il protettore arrogante e quattrinaio. Spiritosa regia ai confini della farsa, con tutti i personaggi in moto perpetuo nella gran sala del Lirico, ostentando costumi e attrezzeria storicamente informati con bagagli fuori misura e fogli di musica volanti per ogni dove.
Tratto da : “Classic Voice”, n. 235 (dic. 2018), p. 80
La recensione si riferisce alla recita del 10 ottobre 2018