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Un pensiero riconoscente a Mariella Devia

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Mariella Devia

Sebastiano Rolli 

L’espressione vocale nel melodramma italiano del primo romanticismo risente fortemente di un’estetica nella quale la perfezione formale diventa valore espressivo. Spesso tendiamo a scambiare per fredda un’esecuzione che in realtà attinge a criteri storicistici non di rado lontani ormai da un gusto che vorrebbe sovrapporre stili inadatti a repertori ben delineati storicamente. Così i personaggi delle opere di Rossini, Bellini e Donizetti si esprimono attraverso una scrittura musicale il cui romanticismo vuole trascendere e sublimare il sentimento attraverso la bellezza. Lo strumento vocale che voglia mettersi al servizio di tale concetto estetico dovrà assolutamente poggiare su emissione e tecnica di canto purissime; solo attraverso l’esaltazione della forma potremo rendere con consapevolezza i sentimenti espressi dagli autori del primo romanticismo teatrale. Il realismo verso il quale Bellini e Donizetti indirizzarono la propria drammaturgia risente ancora di una purezza neoclassica nell’impianto concettuale: il sentimento anche il più violento viene sublimato dalla bellezza poetica della musica.

La catarsi che opera in molte pagine tragiche fa sì che queste siano veicolate da un carattere musicale leggero. E’ questo contrasto inspiegabile a prima vista quello che fece esclamare a Herbert von Karajan: gli italiani non possiedono il senso del dolore. Il grandissimo Maestro si riferiva al coro della musica di mezzo prima del Tu che a Dio spiegasti l’ali nella Lucia di Lammermoor. Si tratta di una pagina danzante mentre si annuncia la morte della protagonista (così come di carattere pastorale è il lamento corale che apre il secondo atto de’ I puritani). La stessa cabaletta successiva ha un carattere lieve e cantabile. Siamo di fronte alla sublimazione del sentimento attraverso la bellezza. Nel suo trattato Sul sublime Schiller scrisse che chiunque arrivi alla bellezza scoprirà che dietro si cela sempre la verità. La cosa vale anche al contrario: la bellezza è la via per arrivare alla verità. Goethe stesso affermava di non potersi commuovere di fronte alla tragedia, ma solo di fronte alla bellezza, ed è Novalis ad affermare che la poesia è più reale del reale. Questi autori si situano a cavaliere fra due mondi: quello neoclassico nel quale la purezza della forma è valore espressivo autonomo, e quello romantico nel quale la verità delle passioni deve trovare sfogo nell’espressione artistica; si tratta di uomini contemporanei ai compositori sopra citati. Il melodramma di Bellini e Donizetti inaugura la grande stagione romantica ma, a differenza di quello di Verdi (la cui parabola è tale da non poter ammettere il medesimo criterio dall’Oberto al Falstaff), rimane fedelmente ancorato al concetto di bellezza quale via per la verità. Questa verità viene trovata attraverso una scelta interpretativa consapevole di tale assunto stilistico e filosofico. Chi voglia cantare il repertorio romantico italiano sino a Verdi non potrà prescindere da un’estetica che vede nella purezza assoluta del bel canto, nella bellezza accademica dell’emissione, della coloratura, della linea del legato, l’unica via espressiva attraverso la quale giungere alla verità del personaggio: la sublimazione del sentimento ci porta su un piano di trascendenza dal quale non dobbiamo deviare attraverso ricerche veristiche; ci porta ad intraprendere una strada all’interno della quale la consapevolezza stilistica diviene l’unica via per raggiungere il cuore del dramma. Il realismo dei sentimenti viene purificato, sublimato, e trasportato sulle ali della poesia. E’ la bellezza di quest’ultima che può restituirci la verità drammaturgica della situazione. La sintesi più felice di tale concetto la vorrei lasciare a Mario Luzi: La realtà senza una sua identificazione sublimante non è nulla, non è neanche realtà; la sensazione di realtà gliela dà l’intelligenza e la poesia.

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