È morto Umberto Veronesi, ha dato la speranza ai malati di tumore
L’oncologo aveva 90 anni. Una vita spesa a combattere il cancro con impegno e due parole d’ordine: ricerca e laicità. E poi le altre battaglie: quella per l’eutanasia, per la cultura scientifica, per l’alimentazione vegetariana
di DANIELA MINERVA
Non fu solo quello a farne un uomo di ricerca, la chirurgia conservativa (“amo troppo le donne per vedere i seni straziati dall’amputazione”, diceva), il linfonodo sentinella (che permette di prevedere l’andamento della malattia e comportarsi di conseguenza) sono le sue battaglie più eclatanti. Ma a farne l’Umberto Veronesi che tutti conosciamo è stata la visione politica della malattia. Nessun altro in Italia l’ha avuta.
Politica, nel senso nobile del termine, s’intende: l’idea forte di quello che serve alla medicina per servire i cittadini. Mentre la politica, quella dei palazzi, l’ha ascoltato sempre, omaggiato molto, seguito assai poco. A partire dal disinteresse reiteirato per il messaggio più indelebile di Veronesi: ricerca, ricerca, ricerca. Fece suo lo slogan: si cura meglio dove si fa ricerca; lo trasformò in realtà all’Istituto dei tumori di Milano, prima, e allo Ieo, dopo. Ne ha fatto l’imprinting dei grandi ospedali più avanzati dei paese.
Si è battuto per la creazione degli Irrcs, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, ma poi ha visto con amarezza che l’idea degli ospedali di ricerca è diventata uno strumento di consenso per la politica che li ha distribuiti a pioggia senza mai verificare che fossero davvero di ricerca .”Lasciamo stare”, ci ha detto l’ultima volta che lo abbiamo interrogato in materia. Poi, come sempre accadeva con Veronesi, la delusione ha lasciato spazio all’inossidabile fiducia nel futuro: “Oggi comunque bisogna ragionare globalmente. La ricerca è internazionale”.
Si è battuto per convincere la politica che la ricerca pubblica è una priorità, perché senza sono le aziende a fare il bello e il cattivo tempo. L’ha ripetuto per decenni, ci ha provato da grande mentore dei Piani finalizzati del Cnr, che a poco hanno portato, assistendo per una volta impotente alla china. A Big Pharma che decide cosa curare sulla base delle molecole che ha scoperto, e come curarci sulla base dei fatturati possibili. Questo non gli piaceva, e non dovrebbe piacere nemmeno a noi. Noi che oggi siamo orfani. E domani saremo disorientati. L’opinione pubblica dovrà abituarsi a pensare da sola i grandi temi della medicina, del suo futuro, della nostra battaglia con la malattia e la morte.
Potremo sempre però contare sulla sua visione, ricordarci le parole d’ordine: ricerca e laicità. E soprattutto potremo sempre ricordarci la sua lezione profonda: la medicina non è uno strumento senza colore. Non è una tecnologia. E’ invece uno strumento di crescita collettiva, di progresso; ed è un grande esperimento di solidarietà. E’ il terreno dove la scienza migliore si coniuga con l’obiettivo più nobile.