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Morto Umberto Eco, l’eredità dello scrittore

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Morto il saggista e semiologo. Dal Nome della Rosa al Pendolo di Foucault: fece della cultura un best seller. «Per capire quella di massa dovete amarla».

C’è tutto Umberto Eco in una delle sue frasi più celebri: «Chi non legge a 70 anni avrà vissuto una sola vita, chi legge avrà vissuto 5000 anni. La lettura è un’immortalità all’indietro».
Filosofo, padre della semiotica, scrittore, docente universitario, giornalista, fece della cultura un best seller: da Il nome della Rosa al Pendolo di Foucault.
«La diffusione della cultura e della conoscenza reciproca dei patrimoni culturali dei vari Paesi può costituire uno degli elementi di salvezza per un mondo sempre più globalizzato» aveva detto nella lectio tenuta ai ministri della Cultura riuniti a Expo nella Conferenza Internazionale organizzata dall’Italia, lo scorso agosto.
OSSERVATORE IRONICO CHE COLSE LO SPIRITO DEL TEMPO. Nel 1962 Umberto pubblica Opera aperta, analisi di testi letterari in termini strutturalisti a partire da Ulisse di Joyce, che fa discutere e diviene uno dei manifesti della neoavanguardia riunita l’anno dopo nel Gruppo ’63; nel 1980 esce invece il romanzo storico medioevale Il nome della rosa, che suscita consensi internazionali, un successo planetario con oltre 12 milioni di copie vendute: tra queste due tappe, meno lontane e diverse di quanto possa apparire, si svolge il lavoro di Eco che aveva festeggiato il 5 gennaio scorso gli 84 anni e che è scomparso la sera del 19 febbraio alle 22.30 nella sua abitazione. Da osservatore ironico e semiologo avvertito oltre che creativo, infatti, ha dimostrato in ogni occasione di saper cogliere lo spirito del tempo.
LA SUA «OPERA APERTA». Il suo Lector in fabula, saggio del 1979 (non a caso periodo in cui stava scrivendo proprio Il nome della rosa), è appunto il lettore che in un testo, in particolare se creativo, letterario, arriva a far interagire col mondo e le intenzioni dell’autore, il proprio mondo di riferimenti, le proprie associazioni, che possono creare una lettura nuova: «Generare un testo significa attuare una strategia di cui fan parte le previsioni delle mosse altrui». Un «opera aperta» è proprio quella che più riesce a produrre interpretazioni molteplici, adattandosi al mutare dei tempi e trovando agganci con scienze e discipline diverse. Una tesi che apparve dirompente in un Paese legato alle sue tradizionali categorie estetiche, diviso tra crocianesimo e marxismo storicista.
E il discorso di Eco non riguarda, ovviamente solo la forma, la struttura di un’opera, come intesero molti autori di quegli anni, tanto che poco dopo dette alle stampe La struttura assente, che spostava il discorso sulla ricerca semiologica e le sue interazioni.
Così, forse, il tentativo più esemplare nel mettere in pratica le sue teorie, è nel 2004 La misteriosa fiamma della regina Loana, romanzo illustrato con foto di libri e riviste, manifesti, tavole di fumetti, che fanno parte del racconto e contribuiscono a far rivivere l’atmosfera dell’epoca (da fine anni ’30 alla guerra) a ogni lettore anche con i propri ricordi. Insomma, anche un romanzo di un personaggio e studioso di questo tipo, attento alla cultura di massa e già autore di paradossali e ironiche pagine su aspetti minori della realtà raccolte in Diario minimo negli anni ’60, nasce entro questo spettro di riferimenti con una sapienza, non solo costruttiva e intellettuale.
IL NOME DELLA ROSA: IL SUCCESSO E LE POLEMICHE. E il successo internazionale, col Nome della rosa, di un saggista raffinato, di uno studioso che aveva debuttato laureandosi sui problemi estetici in San Tommaso, finì per suscitare più polemiche delle sue innovative teorie saggistiche. Se in tanti parlano di «libro geniale e assai notevole» come sintetizzava Maria Corti, ecco che per Geno Pampaloni c’era «difetto di genio letterario», Francesco Alberoni lo definiva «libro privo di emozioni» che deve la sua fortuna all’essere divenuto un feticcio di cultura, mentre Stefano Benni ha «chiuso a pagina trenta, assalito dalla noia».
UNA STORIA DI BEST SELLER. Poi verranno gli altri romanzi, altri best seller che ne consolidano la fama e stemperano le astiosità: Il pendolo di Foucaultnel 1988, L’isola del giorno prima 1994 e Baudolino 2001, La misteriosa fiamma della regina Loana 2004 e l’anno scorso Il cimitero di Praga. Ancora una volta, attraverso la storia nel XIX secolo del tragico e graduale prosperare di quella falsificazione nota come I protocolli dei Savi di Sion, che ispirerà anche Hitler, un romanzo di ampio intreccio, ricco di erudizione divulgata con eleganza e in quella misura che impegna il lettore comune, ma non troppo, introducendolo con sapienza narrativa in una coinvolgente realtà di idee e storica.
Fino all’ultimo romanzo sul mondo dei giornalisti e dell’editoria, Numero Zero, uscito l’anno scorso.

Fenomenologia di Mike Buongiorno: l’Eco ironico e paradossale

(© Ansa) Eco alla libreria Feltrinelli per la presentazione del suo romanzo ‘Il cimitero di Praga’ nel 2010.

Ma Eco è stato anche autore di paradossali e ironiche pagine su aspetti minori della realtà raccolte in Diario minimonegli anni ’60, e successivamente con leBustine di Minerva sul settimanale l’Espresso.
Proprio in Diario Minimo, Eco affronta in un saggio laFenomenologia di Mike Bongiorno, il famoso presentatore televisivo italoamericano che all’epoca aveva conquistato la televisione nazionale italiana.  Il saggio uscì nel momento di massima popolarità del presentatore, in cui il semiologo lo consacrava al rango di fenomeno di massa. Mike Bongiorno «non provoca complessi di inferiorità, pur offrendosi come idolo, e il pubblico lo ripaga, grato, amandolo. Egli rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello», scriveva infatti Eco all’inizio degli anni ’60, all’epoca in cui la gente si ritrovava ad affollare i bar la sera per seguire la prima grande trasmissione di culto della televisione, Lascia o raddoppia.
Il semiologo, non ancora autore di romanzi di successo, fece del popolarissimo presentatore, sulla scia dei ‘miti d’oggì di Roland Barthes, un’icona dell’Italia del boom, che «convince dunque il pubblico, con un esempio vivente e trionfante, del valore della mediocrità». Un ritratto che ovviamente non piacque a Bongiorno, il quale, teneva a ricordare che Eco era stato tra i collaboratori di Lascia o raddoppia: «Arrivava anche lui il giovedì con la sua busta di domande… ma non lo dice mai: forse è un ragazzo un po’ timido».
L’ATTACCO AI SOCIAL NETWOR. Negli anni successivi, lo scrittore ha parlato anche molto dei social (rivolgendovi critiche feroci) e dell’informazione sul web.
«I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività», ha detto Eco. «Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli».  
Il semiologo aveva anche invitato i giornali «a filtrare con un’equipe di specialisti le informazioni di internet perché nessuno è in grado di capire oggi se un sito sia attendibile o meno». «I giornali dovrebbero dedicare almeno due pagine all’analisi critica dei siti così come i professori dovrebbero insegnare ai ragazzi a utilizzare i siti per fare i temi. Saper copiare è una virtù, ma bisogna paragonare le informazioni per capire se sono attendibili o meno».
AMANTE DEL FLAUTO CHE NON TEMEVA DI ESPORSI. Insomma, ragioni per celebrare la grandezza di Umberto Eco ce ne sono molte, basta accettare che siano convissute in questo discreto e simpatico signore, che da amatore suonava il flauto dolce e non temeva certo di esporsi dichiarando le sue idee anche politiche, come ha fatto negli anni berlusconiani, il curioso e ironico autore delle Bustine di minerva o di romanzi ambientati nel passato e lo studioso altamente scientifico del Trattato di semiotica generale, che conta ormai 25 anni. 20 Febbraio 2016

Fonte Link lettera43.it 

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