Mosca, il vento dell’Ovest

Carlo Bonini (coordinamento editoriale), Rosalba Castelletti. Coordinamento multimediale Laura Pertici. Produzione Gedi Visual
Sin dalla Guerra Fredda, la capitale russa si è lasciata travolgere dal fascino per tutto ciò che è occidentale. Una brama che resiste anche ora, sebbene qualsiasi cosa arrivi dal cosiddetto “Occidente collettivo” sia additata come “satanica” o “ostile”. Ma con l’offensiva contro Kiev è sorto un nuovo Muro. Nella tenaglia restano stritolati i giovani, schiacciati tra un regime che reprime ciò che resta delle loro libertà in nome di quelli che chiama “valori tradizionali” e l’Occidente che li boicotta in risposta ai massacri in Ucraina.
MOSCA – Nikolskaja ulitsa è una stradina pedonale tra palazzi ultracentenari nel pieno centro di Mosca. Ai due estremi i simboli del potere e della repressione: la Piazza Rossa col Cremlino e la Lubjanka, famigerata sede dell’ex Kgb, oggi Fsb. In mezzo il vento dell’Ovest che soffia forte. Sotto una pioggia di luminarie accese tutto l’anno, ragazzi con gli skate o i monopattini slalomeggiano tra comitive con le birre in mano, coppie sedute ai tavoli dei dehors e famiglie a passeggio. C’è musica che rimbomba dagli altoparlanti. Accanto alle aiuole ordinate dei grandi magazzini Gum, Vanja Spikee, nome d’arte, petto nudo, zazzera spettinata dal sudore, intrattiene una nutrita folla con battute e spericolate mosse di breakdance, la danza dei ghetti di New York.
Più avanti, sullo sfondo degli stucchi gotici dell’ex Cantiere Tipografico, la prima tipografia di tutte le Russie, un gruppetto di ragazze in minigonna riproduce la coreografia di una band K-Pop. Mentre dalle parti della Vecchia Zecca un altro capannello di gente si è radunato attorno a due viole elettriche e a una batteria. Suonano le canzoni dei Metallica, icona di ribellione e testosterone che nel 1991, a pochi giorni dal crollo dell’Urss, qui tennero un concerto memorabile insieme ai Pantera e agli Ac/Dc. I tre giovani musicisti non erano ancora nati. Sono cresciuti in una Russia senza più Muri, né Cortine di ferro, soltanto qualche rigurgito ciclico di Guerra Fredda.
Ad aprire i primi spiragli sulla vita in Occidente era stata l’Esposizione Nazionale Americana a Mosca del 1959. Un viaggio nel Paese delle meraviglie tra fotocamere Polaroid e decappottabili Dodge. L’allora vicepresidente statunitense Richard Nixon ingaggiò con Nikita Krusciov lo storico “dibattito in cucina” sui meriti del capitalismo rispetto al comunismo. A certificare la sua vittoria fu la foto del leader sovietico con una Pepsi in mano su tutte le prime pagine del giorno dopo. Quando il 31 gennaio del 1990, in piazza Pushkin, aprì il primo McDonald’s, in 30mila si misero in fila. Ma a celebrare il funerale del comunismo fu uno spot di Pizza Hut del 1997: il testimonial era Mikhail Gorbaciov, quello che un tempo era stato il leader ideologico e militare della potenza nemica degli Stati Uniti nel vecchio mondo dei due blocchi.
Da allora Mosca si è lasciata travolgere dal fascino per tutto ciò che è occidentale. Il Disgelo è diventato una valanga. Una brama inquietante per chi, come Vladimir Putin, vuole preservare l’anima russa. Ma con l’offensiva moscovita contro Kiev è sorto un nuovo Muro, anche se non si vede. Una cortina che nessuno ha ancora battezzato. Nella tenaglia restano stritolati i giovani, schiacciati tra un regime che reprime ciò che resta delle loro libertà in nome di quelli che chiama “valori tradizionali” e l’Occidente che li boicotta in risposta ai massacri in Ucraina. Quell’eco di una terra promessa lontana resiste anche ora che qualsiasi cosa arrivi dal cosiddetto “Occidente collettivo” viene additato dalle autorità come “satanico” o “ostile”. Ma non ci sono più ponti, soltanto isole. Un arcipelago sparpagliato di libertà e vite alternative. 03 SETTEMBRE 2023
Fonte: repubblica.it
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