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Amministrative 2017 a Parma, Paolo Scarpa: “E’ una mia sconfitta personale”

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Tautologico e spocchioso: E di chi altro dovrebbe essere? LB

E’ una mia sconfitta personale. Non cerco giustificazioni di sorta, non mi barrico dietro rivendicazioni politiche che non avrebbero senso. Ho perso io, la città ha deciso che Federico Pizzarotti è ancora il suo sindaco e lo ha detto plebiscitariamente con una percentuale che parla da sola. Ne prendo atto. In democrazia i cittadini hanno sempre ragione. Lo insegnavamo ai ragazzi del BorgoLab, non potrei smentirmi adesso. E ieri sera ho fatto i miei complimenti a colui che si conferma, di nuovo, anche il mio sindaco.
Ho certamente commesso degli errori in questa campagna, che non sono stato capace di portare sul mio campo, che è il ragionamento, la visione di lungo respiro, trascinato in una lotta non “per” un progetto di città, ma alla fine soprattutto “contro” un sindaco uscente che si è confermato amatissimo dai suoi concittadini. Errore mio, di cui mi assumo piena responsabilità. Pizzarotti è abilissimo comunicatore, si è difeso con le unghie e con scaltrezza, usando provocazioni che mi hanno costretto a un ruolo da fighter che non mi appartiene. Lo scontro in piazza Garibaldi di giovedì sera è l’antitesi del modello di confronto politico che io amo. Si è concluso in uno scambio di accuse che ricorda i peggiori talk show televisivi che io detesto. Non è politica, quello è intrattenimento da stadio, da ludi gladiatori. E anche di questo mi assumo la responsabilità per averlo promosso. 

Ma non ho perso per questo, ho perso perché Parma si indentifica in Pizzarotti. Parma “è” Pizzarotti, non è Paolo Scarpa. E’ identificazione etica, culturale, addirittura antropologica, non solo politica. Forse questo lo potevo sapere prima. Eppure non mi pento di essermi candidato. Resto convinto che questa città avrebbe bisogno di guardare alto. Ma io non sono stato credibile.

A nulla è servita la mia figura di indipendente, né il risultato straordinario della mia lista Parma Protagonista che è oggi la terza forza politica di Parma. Nell’immaginario politico cittadino sono rimasto inchiodato alla figura di “candidato Pd” e il tiro al piccione contro il Pd ha contribuito a concentrare i voti del centrodestra su Pizzarotti.
Una piccola chiosa sul Pd: il Pd nazionale e regionale in questi ultimi anni ha di fatto adottato e cullato Pizzarotti come un “enfant prodige” da inglobare nel progetto renziano. Risulta evidente dai numerosi pubblici encomi da parte dei vari Merola (Sindaco di Bologna), Nardella (Sindaco di Firenze), dello stesso Renzi e dopo che i presidenti dell’Anci (l’associazione dei comuni italiani), Del Rio e Fassino, avevano portato Pizzarotti ai vertici nazionali della loro associazione. Oggi Pizzarotti vince Parma dopo gli espliciti sostegni di Salvini e della Meloni, in un paese che sta virando improvvisamente a destra. Ottimo risultato. 
Chiudo con un grazie a tutti quelli che mi sono stati vicini. Alla mia famiglia, che ha condiviso con passione questa avventura. Ai miei amici della primissima ora, e cito simbolicamente solo Giampaolo Dallara, Lorenzo Lavagetto, Martino Traversa e Roberto Ghiretti. Al mio staff, meraviglioso. Agli amici, ai volontari che si sono uniti in una storia che abbiamo creduto possibile, a coloro che si sono candidati e ci hanno messo la faccia. E, last but not least, ai venticinquemila parmigiani che, nonostante tutto, mi hanno votato. Grazie!
Si chiude qui la mia storia politica. Non mi dimetterò da consigliere comunale, ma confesso che l’idea di cinque anni di opposizione non mi affascina. E oggi il mio amore per Parma esce fortemente ridimensionato. Dovete capirmi, ci ho messo l’anima in questa vicenda, ho buttato davvero il cuore oltre l’ostacolo, ma il cuore è rimasto là e faccio fatica ora ad andarlo a recuperare. 

Paolo Scarpa


Sto riflettendo su quanto avvenuto il 25 giugno. Ripeto, a scanso di equivoci strumentali, che di quella sconfitta mi assumo la piena paternità. E non accetto che mi si dica che scarico le responsabilità su nessuno e tanto meno sul Pd, perché sarebbe una vigliaccata: il Pd di Parma in quella nostra battaglia ha creduto sin dall’inizio e l’ha combattuta lealmente e lo ringrazio. E’ quella parte politica che ha ideali, che vede prioritaria una politica di attenzione alle debolezze sociali, all’ambiente, alla prevalenza del pubblico sul privato e crede alla partecipazione come un valore. Ho solo detto, e questa è una palese verità, che c’è una parte del Pd, esterna alla città, che ha cullato per anni Pizzarotti come suo candidato naturale (in quanto ritenuto vincente) e le dichiarazioni post voto ne sono state la plastica dimostrazione. Di quella valutazione di merito è rimasta traccia in un elettorato che segue più le pagine dei giornali nazionali che quelle locali e alle elezioni ha preferito andare di là. Amen, è avvenuto, ma limitiamoci ai fatti, che non sono confutabili.
Perché Pizzarotti non poteva essere il candidato di un centrosinistra che abbia ancora a cuore i propri ideali? Semplicemente perché Pizzarotti non li rappresenta, rappresenta altro. Mi rivolgo all’elettorato Pd, come alla cosiddetta sinistra, quella che ama spaccare il capello in quattro sui dettagli e manca clamorosamente il bersaglio grosso da anni. A Parma e nel paese. E’ la stessa parte politica che impallinò Prodi nel 1998, la stessa che fece lo sgambetto all’ultimo grande sindaco di centrosinistra di Parma, Stefano Lavagetto, nel medesimo anno horribilis, il 1998. E non ci siamo mai più mossi da lì.
Chi mi conosce sa che ho sempre posto Mario Tommasini nel mio personale Gotha dei riferimenti culturali ed etici di Parma. Mario, che ebbi la fortuna di conoscere ed amare nella fine della sua vita, fu un genio della innovazione delle politiche sociali, a difesa dei deboli, sempre. Ma anche Mario fece la sua immane cavolata politica nel 1998, quando spaccò il fronte della sinistra, consegnando di fatto Parma a una serie infinita di amministrazioni che hanno esercitato un liberismo politico sempre più sfrenato, che ha azzerato progressivamente il patrimonio di cultura della cosa pubblica, che a Parma si è dissolta.
Federico Pizzarotti ha semplicemente proseguito la stessa politica che fu di Ubaldi prima e di Vignali poi. Lo ha fatto legittimamente, per carità, ma risulta grottesco che un centrosinistra che abbia mantenuto un briciolo di lucidità, lo possa vedere come riferimento. Se facciamo l’elenco delle politiche di questi ultimi anni, troviamo la progressiva dismissione di tutto ciò che è pubblico, dalla esternalizzazione sistematica dei servizi educativi, alla pagina triste della riduzione degli educatori per i disabili, alla messa alle corde del sistema della cooperazione sociale, oggi in difficoltà come non mai ed esposta ad appalti punitivi sui servizi sociali, al caso eclatante della Tep, azienda pubblica mandata allo sbaraglio in una gara che poteva e doveva essere evitata, alla vendita della quasi totalità delle azioni Iren, erede di ciò che fu una tradizione di aziende pubbliche, sino alla vendita delle quote delle Fiere di Parma. Lasciamo stare Spip, che è stata lasciata al fallimento, in una condizione di oggettiva difficoltà per le ladronerie che vi furono commesse, ma un tentativo per salvarla era possibile. Persino alcuni tra gli eventi culturali più significativi di questi anni (penso alle mostre di Botero, alla mostra Mater al Palazzo del Governatore, agli spettacoli di intrattenimento in Piazza Duomo), omettendo il giudizio sulla loro qualità, sono di fatto stati affidati al privato, rinunciando a quel ruolo di promozione di una cultura alta, che Parma ebbe anche in un recente passato.
Senza scomodare Norberto Bobbio e il suo tentativo di attualizzare concetti novecenteschi come sinistra e destra, credo che oggi il discrimine sia soprattutto nella sensibilità di considerare la prevalenza del pubblico sul privato e di tornare a fare della politica il luogo di elaborazione e governo dei processi, senza subirli o assecondarli per la ricerca del consenso.
Mi hanno contestato di aver posto la sicurezza come priorità, considerandolo un tema “di destra”. Lo hanno fatto dalle case carine del centro o di Via Solferino, ma invito ad andare a parlare, come ho fatto io, con la gente di San Leonardo o di Oltretorrente, ascoltando la paura e la rabbia per un esproprio dello spazio pubblico da parte delle mafie che si sono lottizzate pezzi di città. E io rivendico che quello della legalità e della sicurezza è un tema di diritti. DIRITTI. Una città come Parma non può permettere che lo spaccio avvenga alla luce del sole nella totale impunità e nell’assenza di un’azione da parte della amministrazione che la governa. 
Finisco, tornando a Mario Tommasini e alla sua grandezza, nonostante ciò che ho scritto sui suoi errori politici. Amo la Fattoria di Vigheffio. La amo perché è il simbolo di quella Parma che sapeva essere all’avanguardia delle politiche sociali. Oggi la fattoria rimane un luogo magico, ma, a differenza di prima, ha due ingressi separati. Uno per i “matti” e chi li accudisce e uno per chi si reca al bar (bellissimo). La Fattoria, voluta da Mario, nacque per integrare i cosiddetti matti con i cosiddetti normali, per vincere una barriera culturale. I due ingressi certificano che quelle barriere culturali sono state ripristinate. Per comodità di gestione, forse, per gli appalti separati dei servizi, non lo so, e non entro nel merito. Ma mi fa tristezza. Mi sembra una involuzione che rappresenta la Parma di oggi, divisa nei suoi individualismi e nei suoi interessi e incapace di riprendere in mano se stessa.

Paolo Scarpa

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