1 Maggio 2017: manifestazione nazionale a Portella della Ginestra.
Nell’azione criminale del bandito Salvatore Giuliano e dei suoi uomini, contro un gruppo di contadini che volevano celebrare la festa dei lavoratori, morirono 14 persone
Il primo maggio del 1947 Portella della Ginestra – una località montana in provincia di Palermo – fu luogo di una sanguinosa strage. Il bandito Salvatore Giuliano e i suoi uomini fecero una strage: spararono su una folla di quasi duemila persone riunite per la festa del Primo maggio. I morti furono 14 (11 sul luogo della strage, tre in seguito alle ferite riportate). Una trentina i feriti. Il movente della strage non è mai stato definitivamente chiarito.
La dinamica dell’attacco
La folla presente a Portella della Ginestra era composta soprattutto da contadini. Si erano dati appuntamento lì per manifestare contro il latifondismo, a favore dell’occupazione dei terreni incolti. Sull’onda della mobilitazione contadina che si era andata sviluppando in quegli anni le sinistre avevano ottenuto un successo significativo alle elezioni. Fu un atto di violenza terribile, che fu accompagnato in quei giorni dall’assalto a numerose sedi dei partiti di sinistra e a delle Camere del lavoro nel Palermitano. Uno dei sopravvissuti, Serafino Petta, ora 86enne (il padre era un dirigente del Pci e uno dei promotori delle lotte contadine), ha ricordato così l’eccidio: “Fuggivo per evitare di essere colpito. Nella corsa inciampavo sui cadaveri e il terrore cresceva sempre di più”. Petta è uno degli ultimi sopravvissuti della strage: “Quella mattina – ha aggiunto – raggiunsi Portella con il corteo che partiva da Piana degli Albanesi. Con me c’era un altro ragazzo, Serafino Lascari. Era per tutti un giorno di festa”.
La ricerca della verità
Dopo 70 anni la completa verità sulla vicenda di Portella della Ginestra non è stata ancora rivelata. Lo ha rimarcato il presidente del Senato Pietro Grasso che ha sottolineato, in un convegno tenutosi a Palermo sull’eccidio, come sia da scoprire “chi ha ordinato quella strage”. All’incontro, organizzato dall’Istituto Gramsci siciliano, hanno partecipato storici e studiosi per proporre la rilettura di una delle pagine più oscure del dopoguerra italiano. Tra gli aspetti da chiarire ci sarebbero le eventuali responsabilità degli ambienti politici siciliani interessati a intimidire le masse contadine che reclamavano la terra. L’associazione dei familiari e dei sopravvissuti alla strage di Portella della Ginestra spera che vengano resi pubblici tutti gli atti istruttori relativi al procedimento sui mandanti dell’attacco, istruito negli anni Cinquanta dalla Procura di Palermo: “In quelle carte – affermano – si trovano le ultime e inedite dichiarazioni di Gaspare Pisciotta sui mandanti della strage rese poco prima di essere ucciso nel carcere Ucciardone di Palermo”.
I segretari dei sindacati confederali a Portella della Ginestra
Quest’anno i tre leader sindacali Cgil, Cisl e Uil andranno il primo maggio a Portella della Ginestra. “Quest’anno – ha detto il segretario generale della Cgil – il primo maggio è una data particolarmente importante perché ricade nel 70esimo anniversario della strage di Portella della Ginestra. Si torna a parlare delle origini e del senso, del valore di festeggiare questa data e del ruolo dei lavoratori nel processo di affermazione della democrazia e del lavoro in Italia”.
Un nome primaverile che evoca un giorno di morte. Ricorrono oggi i settanta anni dalla strage di Portella della Ginestra, in Sicilia. Il Primo maggio 1947 una folla di lavoratori, donne, bambini e anziani fu bersagliata dalle raffiche di mitra della banda di Salvatore Giuliano, mentre ascoltava il discorso di alcuni dirigenti del Pci in occasione della Festa dei lavoratori. La prima che si tornava a festeggiare in quella data, dopo essere stata spostata dal regime fascista al 21 aprile (il «Natale di Roma»). Furono undici le persone uccise (a cui aggiungiamo le morti avvenute successivamente), più di sessanta i feriti. Una strage ancora senza mandanti (qui la prefazione di Ferruccio de Bortoli alla riedizione del libro di Tommaso Besozzi «La vera storia del bandito Giuliano»): nell’area tra i comuni di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello in molti si erano ritrovati anche per la vittoria elettorale del «Blocco del Popolo» (l’alleanza tra socialisti e comunisti) alle elezioni regionali del 20 aprile (qui il racconto di Egisto Corradi dall’Archivio del Corriere).
Grasso: «Arrivare alla verità»
Qui si sono svolte oggi le celebrazioni a livello nazionale della Festa del Primo maggio, alla presenza dei segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo. Alle 8 il ritrovo alla Casa del popolo, poi deposizione di una corona di fiori al cimitero in memoria dei caduti e corteo nelle strade della cittadina e sul luogo dell’eccidio. Un anniversario per il quale si è speso in prima persona anche il presidente del Senato, Pietro Grasso, chiedendo di rendere pubblici i documenti ancora non accessibili e accertare i mandanti di una strage che ha segnato la stagione delle lotte per la terra e, più in generale, la crisi politica, sociale e dell’ordine pubblico del dopoguerra.
Le parole dell’ultimo sopravvissuto
«Ci eravamo dati appuntamento per festeggiare il Primo maggio ma anche l’avanzata della sinistra all’ultima tornata elettorale e per manifestare contro il latifondismo. Non era neanche arrivato l’oratore quando sentimmo degli spari», racconta settant’anni dopo ancora commosso Serafino Petta, l’ultimo sopravvissuto alla strage. «Avevo 16 anni, pensavo che fossero i petardi della festa, ma alla seconda raffica ho capito. Ho cominciato a cercare mio padre, non l’ho trovato. Quello che ho visto sono i corpi distesi per terra. I primi due erano di donne: la prima morta, sua figlia incinta ferita. Questa scena ce l’ho ancora oggi negli occhi, non la posso dimenticare». A sparare fu la banda di Salvatore Giuliano, «i mandanti non si conoscono ancora ma ad armare la sua mano furono la mafia, i politici e i grandi feudatari», spiega. «Volevano farci abbassare la testa perché lottavamo contro un sistema in cui poche persone possedevano migliaia di ettari di terra e vi facevano pascolare le pecore, mentre i contadini facevano la fame. Un mese dopo successe però una cosa importante: «Tornammo qua a commemorare i morti senza paura, “Non ci fermerete”, gridavamo tutti e non ci hanno fermati. Abbiamo cominciato la lotta per la riforma agraria e nel ‘52 abbiamo ottenuto 150 assegnatari di piccoli lotti. Ma neanche loro si sono fermati, e a giugno bruciarono sedi di Cgil e partito comunista, poi nel mirino finirono anche i sindacalisti».