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PARMA: DAL MEDIOEVO ALLA SIGNORIA

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PARMA: CRONACA NEI SECOLI DI UNA CITTA’
a cura di Luigi Boschi


Indice

Il Medioevo
Il Comune

Le Signorie


IL MEDIOEVO

Parma, all’inizio del secondo millennio, è stata una delle città all’avanguardia nella cultura italiana e nella nascente cultura volgare, esercitando una certa influenza anche su altre città settentrionali.[1] Si era circondata di mura, marcando così la sua differente identità socio-culturale di comunità dal territorio circostante. Le costruzioni delle città in quel periodo erano principalmente di legno, facili ad incendi disastrosi.

I rapporti tra il Comune di Parma ed i Comuni foresti hanno presentato presto una notevole conflittualità. Il Comune ha cercato di usare il suo potere a danno di questi ultimi, attirando entro la cerchia delle mura stesse i relativi abitanti, sottoponendoli alla propria giurisdizione e sottraendoli a quella del feudatario. In questo modo, entrano in città non solo la media e piccola aristocrazia terriera, ma anche le masse dei contadini ai quali si offre, così, un’alternativa alla servitù della gleba, secondo il detto, che nasce appunto in queste circostanze: “l’aria della città rende liberi”. Questa politica risponde anche a precisi interessi economici dei Comuni cittadini nei quali il rapido sviluppo dell’attività artigianale richiede una massa crescente di manodopera a buon mercato, ma libera da vincoli di dipendenza feudale. A tale duplice esigenza economica e politica di liberazione di manodopera per le attività produttive cittadine e di indebolimento del potere feudale sul contadino, il Comune di Parma risponderà con l’atto di affrancazione collettiva dei servi della gleba nel 1234 seguito da Reggio Emilia nel 1242.[2]

Accanto ad una maggioranza di persone provenienti dalle campagne e dalle montagne del parmense e del lunigianese, si mescolavano i discendenti dei mercenari irlandesi, scozzesi e di altri territori d’Europa colpiti da carestie che spingevano a emigrare, praticando uno dei mestieri più antichi del mondo, quello del soldato di ventura. C’erano cosi zone chiamate “la Scozia” e “la Svizzera”, e uno degli Arditi del Popolo che nel ‘22 combattè sulle barricate si chiamava Enrico Griffith, i cui avi erano irlandesi arrivati fino a Parma tra il XV e il XVI secolo peregrinando da una carestia all’altra. Questa è un’ulteriore informazione sulla composizione etnica della primitiva popolazione dell’Oltretorrente.[3]

La Chiesa e il Vescovo di Parma acquistano sempre più potere a seguito delle donazioni imperiali. Con Cadalo (1045-1072), raggiunge la sua massima espressione.

Cadalo primo antipapa

Cadalo, nato tra gli anni 1009 e 1010 da ricca famiglia veronese, nel 1041 è nominato diacono e amministratore dei beni di tutta la diocesi di Verona. Nel 1045 è nominato Vescovo di Parma. A lui si deve la realizzazione del Palazzo Vescovile e, a seguito della distruzione, causa un terribile incendio, della prima basilica paleocristiana costruita fuori le mura, la ricostruzione della Cattedrale, un grandioso edificio romanico terminato nel 1074, dopo la sua morte, giunto a noi con vari rifacimenti e sovrapposizioni stilistiche. Fu un ascoltato consigliere dell’Imperatore Arrigo III per le cose italiane. Arrigo III consacrato Imperatore del Sacro Romano Impero nel natale del 1046, cedette a Cadalo la signoria di Parma e del contado (1059) legandolo così ulteriormente alla fedeltà all’impero. Cadalo, ricevette l’aiuto della grande e piccola aristocrazia laica feudale dei burgenses fino ai boniomines e godette del consenso della quasi totalità dei parmigiani i quali vedevano in lui la persona che aveva risollevato le sorti della città. Gli abitanti lo seguirono anche nella lotta per le investiture in cui il Vescovo fu coinvolto. Il Concilio Lateranense (1059), aveva approvato la riforma voluta da Niccolò II, ispirato dal monaco Ildebrando, con cui si decretava che il Papa fosse eletto dai soli cardinali. Parma fu contraria e tenacemente imperiale. Quando i cardinali elessero Alessandro II, alla morte di Niccolò II, Cadalo fu eletto Papa dall’imperatore col nome di Onorio II. In quel tempo si levò la voce tonante contraria di Pier Damiani che venuto da Ravenna a studiare a Parma, si dichiarò contro i chierici amanti del lusso e del denaro, servili verso le autorità. Il vescovo di Parma fu il primo antipapa. Tenta la conquista di Roma. Aiutato da Ghiberto de’ Ghiberti (cancelliere di Enrico IV durante la reggenza della madre Agnese) e con le milizie laiche della nobiltà parmense, affronta l’esercito raccolto da Ildebrando, il monaco mente e anima della riforma. Dopo la vittoria di Campoleone, l’impresa fu bloccata dall’arbitrato di Goffredo di Lorena che ingiungeva e imponeva ai due Papi di ritornare nelle proprie sedi vescovili (Lucca e Parma), in attesa delle decisioni imperiali. Il colpo di Stato in Germania cambiò però le sorti dell’impresa del Vescovo di Parma. L’Arcivescovo di Colonia Annone, decise di togliere il comando della politica tedesca dalle mani della reggente imperatrice Agnese, a nome del re fanciullo. Fece rapire il re fanciullo durante un viaggio con la madre. Indisse una Assemblea e con il favore di ecclesiastici e laici a lui devoti e ottenne la delega della reggenza, quale tutore del re. Il nuovo Consiglio di reggenza si dimostrò disponibile ad un accordo col Papa Alessandro II, a riconoscere il decreto di Nicolo II sull’elezione pontificia, pur non transigendo sui diritti dell’Impero nella elezione stessa. Veniva di fatto sconfessata l’elezione di Cadalo e la politica di appoggio dell’Imperatrice. La legittimazione di Alessandro II veniva rinviata nel Concilio che si sarebbe tenuto il 27 ottobre ad Augusta dove la questione avrebbe avuto una ampia trattazione. Il dibattito si svolse sfavorevole a Cadalo in quanto non furono confermate le deliberazioni del Concilio di Basilea. Fu riconosciuto Alessandro II Papa che da Goffredo il Barbuto fu scortato a Roma dove si insediò Papa il 3 marzo 1063. Alessandro II indice un Concilio che scomunica Cadalo. Cadalo reagì, indisse un Concilio e scomunicò a suo volta Alessandro II.

Nel 1063 Cadalo marciò di nuovo su Roma, riuscendo a occupare di sorpresa San Pietro, ma il giorno seguente una sommossa popolare promossa da Ildebrando lo ricacciò, costringendolo a Castel S.Angelo che divenne una prigione. Fu spargimento di sangue per le vie di Roma. Stretto d’assedio, riuscì a fuggire, salvandosi, e facendo ritorno nel 1064 a Parma. Nello stesso anno il Concilio di Mantova riconosce Alessandro II. Cadalo muore a Parma nel 1072 e Everardo è il nuovo Vescovo. Ildebrando di Soana è eletto Papa nel 1073 col nome di Gregorio VII. Il 25 giugno 1080, nel sinodo di Bressanone, il parmigiano Ghiberto de’ Ghiberti è eletto da trenta vescovi antipapa col nome di Clemente III (1080-1100). Si insediò a Roma, nel 1084 incoronò Enrico IV imperatore e costrinse. Gregorio VII a fuggire a Salerno. Clemente III continuò a dominare in Roma fino 1098. Cacciato morì nel 1100.

Dopo anni di lotte e guerre per le investiture il Papa e l’Imperatore trovarono un accordo. Da Roma, grazie ai buoni uffici della contessa Matilde, fu inviato a Parma, come Vescovo, Bernardo. I parmigiani, in un primo tempo, si ribellarono a questa nomina, ma, a fronte delle milizie dell’esercito di Matilde pronta a marciare su Parma, lo accettarono come loro Pastore. E’con il vescovo Bernardo degli Uberti (1106), dopo aver subito l’oltraggio anche della prigionia infertagli dai parmigiani (1104), che Parma entra a far parte del partito dei riformatori, esce dall’orbita imperiale e il Papa Pasquale II, il 29 ottobre del 1106, come gesto di benevolenza, di ritorno dal Concilio di Guastalla, consacra la Cattedrale alla cui cerimonia intervenne anche Matilde di Canossa[4] che, con una ingente donazione, si riappacificò con i parmigiani.

Era ormai evidente il declino del potere temporale del vescovo di Parma, già avviato alla fine del primo millennio le cue principali ragioni erano nel servizio alla feudalità e all’Impero. Già dall’inizio del nuovo millennio, la società parmigiana aveva iniziato ad erodere l’autorità civile ed amministrativa detenuta dal Vescovo, soprattutto in relazione alla gestione del territorio parmense e delle sue risorse.[5]

Indice


Il Comune

Si stava concretizzando il passaggio dal potere giurisdizionale dei Vescovi, della Chiesa, dell’Impero, al Comune. Non vi è data certa di quando sia sorto il Comune proprio per la sua congenita forma collettiva lenta e spontanea, ostacolato nel suo divenire dal feudalesimo agrario. Il nascente Comune di Parma era impegnato contro le aristocrazie militari, contro il potere vescovile, contro le signorie feudali che dominavano i grandi spazi agrari intorno alle mura. Il riscatto dall’autorità imperiale per la propria autonomia fu una lunga lotta. Si è inclini a sostenere che i Comuni non sono tanto una espressione spontanea libertaria, quanto la disgregazione dell’impero carolingio. A questo si deve aggiungere lo scontro tra Impero e Papato per le investiture, la lotta guelfa e ghibellina, l’alternarsi di ortodossia e eresia.

La rivolta di Borgo San Donnino (1108) costituisce certamente un fatto concreto di inizio storia Comunale. Il Vescovo Bernardo degli Uberti pone le proprie milizie sotto il comando dell’Assemblea Civica (Concia) per sedare la rivolta contro il dominio della Chiesa di Parma.

San Donnino

Al culto di San Donnino, martire e patrono della città di Fidenza, si deve la nascita del medievale Borgo San Donnino situato, tra l’altro, sulla via Emilia, lungo uno dei più importanti itinerari medievali che collegavano l’Europa occidentale a Roma: la “via Romea” dei pellegrini che si recavano nella Città Santa.

Negli ultimi vent’anni, gli scavi archeologici condotti dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna all’interno e nelle adiacenze della Cattedrale di Fidenza hanno confermato come S. Donnino sia stato sepolto nell’area cimiteriale dell’antico municipium di Fidentia anche se resta difficile determinare quando il suo corpo venne collocato all’interno del sarcofago marmoreo, risalente al II secolo d.C., ritrovato sotto l’altare della cripta nel 1983 dopo quasi sette secoli dalla prima esumazione documentata del santo, avvenuta nel 1178, e il suo ultimo infossamento, risalente al 1207.
Queste due date indicano i termini temporali dell’inizio dei lavori della chiesa attuale che trovano conferma nel ritrovamento, nel corso di uno scavo più recente, di calcare e forge in un’area posta tra la facciata della chiesa e l’antica riva destra dello Stirone.
La mostra, attraverso l’esposizione di reperti archeologici, storici ed artistici di rara qualità, corredati da pannelli esplicativi e grafici che illustrano gli scavi archeologici, ha lo scopo di fare il punto sulle conoscenze relative al luogo nelle epoche precedenti, contemporanee e successive al martirio di S. Donnino, ponendo l’attenzione anche sugli studi più recenti del suo culto e sugli oggetti ad esso correlati.

La città di Fidenza nacque nel corso del II secolo a.C., lungo la Via Æmilia, come praefectura, cioè come centro di servizi amministrativi. Nel secolo successivo si trasformò in una città a tutti gli effetti (municipium) godendo in epoca romana di una discreta prosperità come attestano i ritrovamenti archeologici di mosaici, monete, vetri, anfore e abbondanti ceramiche. Ancora citata come flavia Fidentia in una tabula patronatus datata al 206 d.C., subì più di Parma la crisi politica, sociale ed economica che investì l’Impero romano in epoca tardoantica ( dalla fine del III al V secolo), al punto che decadde dalla dignità di città finendo per essere citata come semplice vicus (villaggio) o mansio (luogo di sosta) negli itinerari più tardi come quelli di Antonino, Hierosolimitano e altri.

Anche la tradizione e le passiones (vite dei santi) medievali non citano più Fidenza limitandosi a collocare sulla riva sinistra del torrente Stirone, nei pressi del ponte romano sulla Via Æmilia, il luogo del martirio di Donnino, cubiculario (nobile con l’incarico di curare le camere da letto e l’abbigliamento dell’imperatore) dell’Imperatore romano Massimiano Erculeo, martirio che secondo la cronologia scientifica risale ai primi anni del IV secolo ma che la chiesa fidentina riferisce tradizionalmente al 293 d.C.

Secondo questi racconti e come illustrato dai bassorilievi antelamici che decorano l’architrave del portale centrale della Cattedrale di Fidenza, dopo essere stato decapitato il martire Donnino avrebbe attraversato il corso d’acqua reggendo in mano il proprio capo e sarebbe poi stato sepolto sulla riva destra del fiume dove si era coricato.
Caduto nell’oblio, il suo sepolcro sarebbe stato ritrovato in seguito ad eventi soprannaturali solo molti decenni dopo quando, riconosciuto il Corpo del santo, sarebbe nato il culto che i calendari ecclesiastici attestano a partire dal V-VI secolo e che col tempo si diffuse in un’area molto vasta dell’Italia settentrionale e centrale con pratiche devozionali e iconografiche caratteristiche.
Questo culto condusse alla costruzione di un santuario che, probabilmente più volte ingrandito, divenne il polo d’attrazione di un nuovo abitato che, preso il nome di Borgo San Donnino, mantenne questa denominazione fino al 1927 quando, in seguito alla scoperta di prove archeologiche che hanno risolto la lunga disputa sull’ubicazione dell’antica Fidentia, alla città fu attribuito il nome dell’antica città romana che le era preesistita.[6]

Nel 1158 il Comune di Parma è libero e retto da consoli imperiali; nel 1175 viene eletto podestà il milanese Nino Grasso, nemicissimo dell’imperatore Federico I, detto Barbarossa.[7] La cosa pubblica però non era certo una partecipazione democratica dei ceti popolari, ma rimaneva monopolio di una oligarchia formata dai nobili locali, che si combattevano tra loro per impadronirsi della signoria della città.[8]

Si succedettero nel tempo podestà forestieri, indigeni, imperiali: un vero e proprio professionismo poderastarile con scambi continui. Il podestà veniva spesso chiamato da fuori come garanzia di alleanze e anche Parma ne fornì a Comuni lontani. Costituiva infatti segno di potere e forza comunale fornire podestà tra i propri cittadini

Il Comune cercava di affermare la propria autorità sul sistema feudale, che regnava nelle campagne, cercando di allargarsi territorialmente e attraverso il controllo delle vie di comunicazione di cui si assumeva l’onere della gestione, spinto dal fatto che, Parma e il suo territorio, erano divenuti centro vitale del pellegrinaggio e non solo religioso. Ciò contribuiva a creare nuove vie di comunicazione e ad aprire i luoghi di passaggio all’interscambio commerciale e culturale.[9]

Si può ritenere che uno dei periodi in cui maggiormente la società civile di Parma ha manifestato pienamente la propria identità autonoma siano stati i secoli XI-XII-XIII: caratterizzati da una nascita contrastata del Comune, da successive lotte tra signori, causate anche dalla politica del Barbarossa[10] e poi di Federico II.


Federico II

Di Federico II, fra Salimbene disse: “fu uomo pestifero e maledetto, scismatico, eretico,ed epicureo…Tuttavia si deve sapere che non fu crudele come Ezzelino da Romano…Si deve anche sapere che fu uomo piacevole e divertente.” Fu apostrofato il dragone e l’Anticristo. Le sue eccentricità, le ostentazioni, il farsi accompagnare da serragli di bestie esotiche e cavalieri saraceni, il mistero della sua casa, l’ostentata amicizia con principi arabi, la morte delle sconosciute tre mogli, crearono una immagine stregonesca e demoniaca dell’imperatore.

Di Federico II è rimasto vivo l’assedio che fece alla città, quando Parma da ghibellina diventò guelfa. L’improvviso e imprevisto passaggio alla parte papale, della città considerata roccaforte del partito imperiale, che aveva parteggiato per l’Impero nelle lotte per le investiture, e si era dimostrata fedele alla causa Sveva sin dal 1212, fatto eccezione a Pontida (1167), nella battaglia di Legnano (1176), nella pace di Costanza (1183), fu considerato un grave tradimento.

Federico II, colpito da scomunica per la terza volta, occupò il palazzo Vescovile, nominò podesta uno di sua fiducia, Arrigo Testa, fece abbattere le case dei partigiani guelfi (i Rossi, i Lupi, i Sanvitale, i Corregeschi fuggirono a Piacenza), prescrisse che fosse decurtato di una mano e di un piede, chi avesse ardito portare in città una lettera papale. I guelfi banditi dall’Imperatore si organizzarono e marciarono su Parma (16 giugno 1247). Sconfissero i Ghibellini locali, a Borghetto del Taro (Castelguelfo) dove uccisero il podestà imperiale. Si presentarono in città dove furono ben accolti, mentre gli imperiali dovettero scappare. Nominarono podestà Gherardo da Correggio, ripresero il Vescovado e il Palazzo Comunale.

Il 2 luglio 1247 dall’ira, per aver perso la città ex ghibellina, che gli permetteva l’accesso alla via di Monte Bardone, la più importante via di comunicazione transappenninica, mise la città sotto assedio. Costruì una città-accampamento a ovest di Parma, la chiamò Vittoria e coniò pure la moneta: Vittorino. Parma doveva essere rasa al suolo. Alla città furono sbarrate ogni via d’accesso, anche le vie del Po con fortezze galleggianti. Non si era potuto né mietere né arare, né seminare. I villaggi erano deserti. Con Federico II c’erano i ghibellini o gli ostili a Parma: i comuni di Pavia, Pisa, Cremona; i ghibellini di Ugo Botteri (podestà di Pavia); Ezzelino da Romano (genero di Federico e temutissimo per la sua violenza); i ghibellini reggiani, modenesi, bergamaschi, toscani; milizie dalla Borgogna, dall’Italia meridionale, per lo più Saraceni; Oberto Pallavicino (podestà di Cremona). A fianco di Parma combatterono: Rizzardo conte di San Bonifacio di Verona con milizie proprie e mantovane; i guelfi di Piacenza; Gregorio di Montelongo (Legato di Papa Innocenzo IV) con cavalieri di Milano; Bernardo Rolando Rossi; Genova, i Conti di Lavagna; Azzo d’Este di Ferrara; i comuni di Ancona, Bologna, Brescia; Venezia; i guelfi Reggiani. Ogni mattina l’imperatore faceva tagliare la testa a un po’ di prigionieri nel letto del fiume Parma e compiva torture nella città accampamento. L’assedio durava da oltre 230 giorni. Il terrore e la fame divennero insostenibili. Ma il 18 febbraio del 1248 le milizie della Chiesa, insieme ad Azzo d’Este e il popolo di Parma con una sortita improvvisa e determinata, attaccarono e incendiarono Vittoria, in assenza di Federico II uscito per la solita battuta di caccia mattutina. Sconfissero gli assedianti, costringendo l’imperatore alla fuga a Cremona. Fu fatta enorme preda di monete, vasi d’oro e d’argento, pietre, diademi; il ciabattino Cortopasso riuscì a impadronirsi della corona imperiale, che dietro compenso consegnò poi al Comune.

Parma da sempre ha espresso un indirizzo filo-imperiale e antipapa, uno spirito anticuriale, da non confondere con quello anti-religioso, anche se fra Salimbene nei sui scritti giudica tutti i Parmigiani ”non devoti e duri e crudeli verso i poveri servi di Dio”. La scelta imperialista fin dalle lotte per le investiture, era dovuta soprattutto per interessi politici, essendo attorniata come era da Milano e Bologna anti-imperiali. Seppe però anche cambiar posizione come fece il 18 febbraio 1248 dove il libero Comune, assediato, vinse contro l’Impero.

Quelli del Comune furono secoli con una forte propositività di una società civile penetrata dallo spirito democratico. Lo sviluppo demografico di questo periodo coincide con la rinascita della città e della sua economia agricola.

Nel 1196 Obizzo I De Fieschi iniziava l’edificazione del Battistero ad opera di Benedetto Antelami, che aveva già realizzato per il Duomo la Deposizione (1178).[11] La costruzione terminò 74 anni dopo. Fu il periodo certamente migliore dell’età comunale di Parma.

Nel sec. XII la Scuola parmense del Trivio (grammatica, retorica, dialettica) e del Quadrivio (aritmetica, geometria, musica, astronomia; in seguito anche diritto e medicina) da vescovile diviene comunale. Questo passaggio ha segnato la nascita dell’Università di Parma. Già nel 1226 il Comune, nei suoi Statuti, si impegnava a far rispettare i diritti degli studenti, ma presto, a seguito dei frequenti disordini causati dagli stessi, è intervenuto nella gestione dell’Università, stabilendo un calendario e un regolamento per le lezioni.

Un ruolo importante è stato svolto dal primo nucleo dell’Università dove sono nate due nuove figure:

  • quella degli intellettuali, di cui ci sono notizie sul ruolo che hanno giocato in questo periodo nelle dispute tra autorità laiche e strutture ecclesiastiche, contrapponendo la cultura guelfa al potere ghibellino;
  • quella degli studenti che provenivano da varie città e spesso erano occasione di turbolenze in un contesto urbano che da essi indubbiamente traeva vantaggi economici e di immagine.

La ricca biblioteca della Cattedrale fu dispersa nel secolo XVI.[12]

Dall’antica, piccola città quadrata romana (2 Km circa il perimetro) sul cui lato sud fuori le mura vi era il teatro e l’anfiteatro, mentre sui rimanenti lati era attorniata dai burgi (sobborghi), Parma, fra il 1000 e il 1200, si estese nell’Oltretorrente e si edificarono le cinque porte[13] con le mura che ridisegnavano la città.

Il torrente ha da sempre diviso Parma in due parti, non solo territorialmente, ma anche sotto l’aspetto sociale. Nel Medioevo, in queste aree, sono venute crescendo due differenti culture che originarono due anime: l’anima borghese (Parma antica, detta impropriamente nuova) e l’anima popolare (Parma detta impropriamente vecchia).

Dedchi e dedlà da l’aqua

Accanto alle vicende amministrative, politiche ed economiche della città, si sviluppava a Parma una realtà popolare che ha caratterizzato, assieme alla borghesia, l’identità di Parma fino al secolo XIX.

Di rioni popolari veri e propri a Parma se ne elencano quattro, denominati dai santi delle strade maestre: sulla sponda destra del torrente vi erano quelli di San Barnaba e San Benedetto (Barnabot e Benedet), sulla sponda sinistra quelli di S. Francesco e di Santa Croce (Franceschen e Crosen).

A Parma le differenze sociali diventano evidenti ad un semplice esame del tessuto urbano. Esisteva un nucleo urbano più antico, romano e alto-medievale, chiamato dedchi da l’aqua e più tardi Pärma Nova, per l’aspetto nuovo dovuto in parte ai lavori eseguiti, tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, dal Petitot e dal Bettoli, migliore manutenzione, i monumenti e le ampie strade, a parte la sconsiderata soppressione di ogni traccia di città romanica e gotica, interventi realizzati seguendo gli indirizzi dell’illuminismo.

L’espressione dedlà da l’aqua indicava nell’Oltretorrente una sorta di ghetto, la Pärma Vecia: che è oltre il torrente, verso Piacenza, una zona più emblematica della città del popolo, l’Oltretorrente appunto.

Nel ventaglio formato da strada S. Francesco e strada S. Croce si dipanava un intersecarsi di borghi, alcuni dei quali angusti e mefitici, di case buie e scrostate addossate l’una all’altra, di piazzette umide e nascoste, nate nel secolo XIII, per dare ricetto ai servi della gleba inurbati a caccia di libertà e di lavoro.

I borghi più caratteristicamente popolari (in certo qual modo più medievali) erano pochi e ben definiti:

nell’Oltretorrente borgo delle Carra e adiacenze (nella parrocchia di Ognissanti), i borghi dei Minelli e S. Basilio (nella parrocchia di S. Giuseppe) e borgo Bertano e adiacenze (nella parrocchia di S. Maria di Borgo Taschieri);

di qua dall’acqua, invece, c’erano borgo del Naviglio e immediate adiacenze e la seconda metà di borgo di Torto e di borgo delle Colonne e adiacenze.

Esisteva, però, una profonda differenza tra i due gruppi di borghi popolari. Mentre nell’Oltretorrente i borghi erano inseriti organicamente nel tessuto sia umano sia urbano del quartiere, quelli ded chi da l’aqua erano emarginati sia socialmente sia dal punto di vista urbanistico.

In Parma Nuova (ded chi da l’aqua) abitavano i privilegiati, quelli con un lavoro stabile e la certezza del pane quotidiano, calzati, vestiti; là i più poveri, i trid cmé la bula, gli acrobati della cena, i virtuosi del ripiego, i maestri della sopravvivenza, quelli che, col loro lavoro, non potevano permettersi altro che la miseria del quartiere. Eppure, erano proprio questi ultimi (maridén di borgo delle Carra, cibac di borgo dei Minelli, facchini, muratori, sottoproletari…) i modelli di comportamento della società povera del quartiere; i depositari dei valori particolaristici, municipali, di culture remote e di tutte le forme comunicative (la mimica, la gestualità, il modo di camminare, l’abbigliamento). Parlavano una lingua autonoma (il dialetto parmigiano), una lingua che solo loro conoscevano nello spirito ed erano in grado di rigenerare con una invenzione continua, la lingua di una esistenza specializzata, adattata ad un ambiente chiuso e particolare.

Non sarebbe stato possibile a nessuno, a quei tempi, confondere tra loro un borghese e un popolano. I valori della piccola e media borghesia cui le varie forme di potere che si sono susseguite hanno affidato il compito di trasmettere i valori e i limiti della cultura borghese, non avevano nulla a che vedere con quelli espressi dal remoto ribellismo solidaristico e dal vitalismo della popolazione dei borghi. [14]

“Dedchì da l’aqua” (“Pärma nóva”) è stata ininterrottamente sede di due autorità: quella civile con una sua piazza nella quale si affacciava il Palazzo del Comune, simbolo della società civile, e quella religiosa che, a sua volta, disponeva di una sua piazza dove erano presenti la Cattedrale, il Battistero e il Palazzo vescovile, simbolo dell’autorità vescovile. Da un punto di vista antropologico e politico, il fatto delle due piazze è particolarmente significativo per la nostra città di Parma, rispetto ad altre città vicine: a Modena, a Reggio, a Bologna, infatti, vi era una piazza comune alla società civile e alla comunità religiosa.

In questo periodo si sono venute evidenziando a Parma la nuova società civile e l’identità del cittadino.

“Dedlà da l’aqua” (“Pärma vécia”). Dopo l’anno mille, favoriti dal potere comunale, i servi della gleba hanno trovato a Parma accoglienza, protezione e lavoro. Evidentemente in città si sono venute costituendo due corti dei miracoli: una, Oltretorrente, dedlà da l’aqua (Pärma vécia) e dedchì da l’aqua (Pärma nóva).

Questi borghi popolari, che potrebbero essere chiamati, molto propriamente, “corte dei miracoli” a larga somiglianza della più celebre e contemporanea “corte dei miracoli” di Parigi: luoghi in cui la gente povera e diseredata si raccoglieva, si dava proprie norme, aveva una propria lingua e proprie tradizioni culturali.

Esisteva, però, una profonda differenza tra i due gruppi di borghi popolari. Mentre nell’Oltretorrente i borghi erano inseriti organicamente nel tessuto sia umano sia urbano del quartiere, quelli dedchi da l’aqua erano emarginati sia socialmente sia dal punto di vista urbanistico.

In questi borghi si è venuta sviluppando quella cultura popolare con una propria lingua (radice del dialetto parmigiano) che ha perdurato indistintamente fino al 1936 (l’anno della distruzione dei borghi, vecchi e malsani, dell’Oltretorrente e degli interventi nella zona della Trinità, nel quadro dell’evoluzione urbanistica e socioeconomica della città tracciato dallo scrittore L. Malerba.


Malerba: evoluzione urbanistica e socioeconomica della città

Parma ducale sarà il prodotto di un innesto culturale francese su un contesto che aveva ben poco da spartire con quella cultura. Che poi i parmigiani siano da sempre una popolazione di intelligenza vivace e ricettiva, che riesce ad assimilare e a far proprio anche ciò che viene da fuori, è un dato a loro vantaggio. Ma, se vogliamo tener conto della sfumatura originaria del suo specifico autoctono, quello di Parma non è ducale, né settecentesco, né stracittadino, né francesizzante. La Parma più autentica si riconosce come centro di una civiltà nata dalla terra, sia la terra fertile della pianura sia quella povera dell’Appennino che fornisce sì e no a chi la coltiva i prodotti della sopravvivenza. Oltre ai pomodori, al grano, agli ortaggi, la terra produce civiltà. È stata la terra a produrre la nostra civiltà, e non i francesi o Maria Luigia d’Austria. Parma è una città di vocazione medioevale e nel periodo più tormentato della sua storia che la città prende forma e costruisce i propri monumenti più belli, come il Duomo e il Battistero che, insieme al vescovado, formano una delle piazze più suggestive d’Italia. Il medioevo è l’epoca dove lavorano a Parma Benedetto Antelami e i suoi scultori (dialettali, ma di livello europeo). È proprio nel medioevo che abbiamo iniziato a parlare la nostra lingua e i nostri dialetti, che abbiamo imparato a coltivare la terra in modo nuovo, la democrazia moderna e l’Università, la numerazione araba, i nostri nomi e cognomi e un’urbanistica spontanea, ma sempre a misura umana. Non bisogna fermarsi nella piazza del Duomo per avere idea della Parma medioevale. Il palazzo comunale e parecchie case e palazzetti possono aiutarci a ricostruire l’immagine di una città che cresce su se stessa, che forma una scuola di artigiani abilissimi, che si organizza civilmente e si dà un’organizzazione esemplare, anche se politicamente è vittima delle contese di Principi, Vescovi, Imperatori.

È ancora nel medioevo che Parma produce un sublime monumento letterario come la Cronica di Salimbene de Adam. Anche il Correggio e il Parmigianino precedono la Parma ducale, essendo in attività tra la fine del ‘400 e i primi decenni del ‘500.

Il rapporto col medioevo è un filo diretto che corre sotterraneo fino a noi. Ancora oggi, dietro l’apparenza gentile e raffinata, c’è qualcosa di rustico e fantasioso, sia nel carattere sia nel dialetto dei parmigiani, che ricorda eventi e personaggi di quelle epoche lontane. E richiamano alla memoria l’età medioevale anche i dialetti delle nostre Valli con le loro radici longobardiche e i loro suoni gutturali. E poi la toponomastica, le forme degli attrezzi rustici e perfino le linee severe del paesaggio dell’Appennino. [15]

Connesso al pellegrinaggio si forma una nuova sensibilità religiosa. Prosperano i riformatori, i visionari, movimenti religiosi di ispirazione intellettuale e popolare in gran parte fuori e contro le gerarchie ecclesiastiche. Significativa fu la presenza a Parma di movimenti pauperistici ed eretici, espressione di una religiosità aperta, viva, percorsa da profonde preoccupazioni sociali.

Movimenti pauperistici

Si potevano trovare persone di ogni ceto, denudarsi e flagellarsi per le vie della città esortando all’autopunizione pubblica. Il moto dei Flagellanti era diffuso in tutta l’Italia settentrionale. Fu un periodo attraversato da una sentita, acuta antitesi fra il Vangelo e la vita reale. Gherardino Segalello[16], la Setta degli Apostoli, frate Illuminato e frate Bernardo, il gioachimita (da Gioacchino da Fiore contemporaneo di San Francesco) frate Giovanni da Parma, Gherardino da Borgo San Donino,[17] Asdente (che Dante sistemò all’inferno), sono alcune delle figure che produssero questo nuovo spiritualismo, forse sostenuto dalla parte imperiale per colpire la Chiesa e il Papato nei sui poteri temporali.[18] Le gerarchie della Chiesa riuscirono a mitigare questo fenomeno anche se all’inizio produsse un certo smarrimento. L’Ordine degli Umiliati, a cui aderivano laici e sacerdoti, svolse un ruolo importante in città. Facevano vita in comune, esaltavano la famiglia, il lavoro manuale, la lettura e la predicazione pubblica dei Vangeli. Ebbero importanti incarichi nel Comune di Parma e grazie a loro, quasi un quarto della città rimase zona verde dove coltivavano frutteti e lavoravano nei mulini. Recuperato alla ortodossia dalla Chiesa Cattolica fuori dall’eresia che sembrava averlo all’inizio coinvolto, divenne il più potente strumento per la lotta alla eresia pauperistica. A loro subentrarono i Francescani.

Altre forme dell’ortodossia le troviamo: nel moto dell’Alleluja, protagonista a Parma: Benedetto “della Cornetta”; l’ordine della milizia di Gesù Cristo, che radunava i nobili nella lotta all’eresia; la Società dei Crociati, promossa da Carlo d’Angiò, che trae forse le sue origini dalla Societas, una milizia popolare allestita da Giovanni Barisello che durante un moto antighibellino, divenne poi un partito armato con potere politico a fianco del Comune. Abitante presso la chiesa di Santa Cecilia, con 500 popolani armati, una croce e il Vangelo, si presentava nelle case dei Ghibellini, durante le sommosse in città (altri sostengono durante il complotto per dare la città a Oberto Pelavicino) e li invitava a giurare obbedienza alla Chiesa. Case di avversari furono bruciate, altri furono costretti a fuggire. Il Barisello entrò nel Consiglio del Comune per meriti e gli fu riconosciuto un lauto compenso. Nel 1298 in pieno tumulto cittadino, fu arrestato e morì sotto i tormenti.

Fra Salimbene riporta il caso di una beatificazione del 1279 a furor di popolo e contro la gerarchia ecclesiastica di Alberto, un certo portatore di vino di Cremona. Un fatto sintomatico perché testimonia la volontà popolare di imporre il proprio santo estraneo alle gerarchie ecclesiastiche e alla procedura della canonizzazione, sempre più rigidamente controllata dall’alto.[19]


È questo il periodo in cui sono ulteriormente potenziati i grandi Monasteri di origine benedettina del parmense, centri di spiritualità e di lavoro culturale ed agricolo. Nelle corti, unità di lavoro e di convivenza, i monaci, oltre al lavoro, all’alloggio e al cibo, impartivano anche istruzione religiosa alle famiglie dei contadini. Sarebbe significativo organizzare delle ricerche su questo radicamento della fede nelle nostre campagne attraverso l’opera dei monaci.

Un francescano poi fu eletto podestà: fra Gherardo da Modena. E’ con lui che l’ordine francescano si insediò a Parma nell’attuale convento di San Francesco del Prato. Tra gli ordini religiosi presenti in città, tra l’XI e il XII secolo, si possono ricordare Benedettini, Francescani, Templari, Cistercensi, Domenicani. Tra i Santi, è significativa la vita e l’opera dei beati francescani Giovanni da Parma e Giovanni dei Buratti, anch’egli di Parma.[20]

Circa il Patrono, i parmigiani hanno scelto un grande teologo e santo francese, Sant’Ilario, con il quale però, non si sono mai identificati, come, invece, i bolognesi si sono identificati con San Petronio e i milanesi con Sant’Ambrogio. Alcuni storici collegano la scelta con le discese angioine e l’adesione di Parma al partito Guelfo.

Il Comune tra le guerre dei Signori e le espressioni artistiche

Dalla vittoriosa lotta contro Federico II, Parma ne uscì in condizioni tragiche, straziata dalla carestia, bisognosa di aiuto come tutte le comunità coinvolte in guerre, insidiata dai cremonesi e con la ripresa delle lotte tra le fazioni interne. Fu eletto podestà con l’aiuto della Mercanzia (la Federazione delle Corporazioni delle Arti), il guelfo Giberto da Gente (1253), la cui famiglia, avida e rapace, aveva maturato pratiche nell’esercizio podestarile. Suo padre era stato podestà di Modena, di Cremona; lo zio paterno podestà di Reggio fu denominato “gran ladrone”. Nel 1254, Giberto da Gente fu proclamato signore a vita. Si inimicò durante il suo incarico sia i Pelavicino, sia il Vescovo Obizzo San Vitale. Nel 1259 rinunciò e diventò podestà prima a Pisa, poi a Padova. Ritornato a Parma nel 1264 dovette ritirarsi a Campegine, nelle sue terre. Indice

Le Signorie

Dal punto di vista politico e amministrativo, il libero Comune cittadino ha continuato ad esistere fino al 1303 quando, ad opera del guelfo Gilberto da Correggio, è nata la Signoria. Il Consiglio lo nominò: “conservatore della pace, signore, difensore e protettore della città, del comune e del popolo di Parma”. Entrò nella lega che favoriva il risorgere dei Visconti a Milano. All’incoronazione di Enrico VII di Lussemburgo, re d’Italia, Gilberto interviene alla cerimonia e gli offre la Corona di Federico II, custodita nel Duomo di Parma, dopo la sconfitta di Vittoria, cercando di riconciliare Parma con l’Impero. Nel 1316 una lega lo espulse dalla signoria.

Il Comune rinascimentale non raggiunse mai una dimensione di stato-città, fu piuttosto dominato da fazioni, gruppi familiari o economici che gestirono il comune in modo privatistico. Il Comune non riuscì ad estendersi, se non in minima parte, nel contado dominato dalle signorie, venendo meno l’auspicato processo di aggregazione. Col regime signorile ha avuto così inizio un lungo susseguirsi di consoli, di podestà e di signori: la città è terreno di lotta tra famiglie nobiliari e non si riuscì ad arrivare alla costituzione di una signoria locale. Le famiglie aristocratiche dei Rossi, Pallavicino, Sanvitale e da Correggio furono quelle che tra il XIII e XIV secolo tentarono di trasformare il Comune di Parma in Signoria, ma nessuna casata riuscì a prevalere sulle altre. Esse dominavano la città con un seguito di “classi” che probabilmente corrispondevano ai quartieri cittadini che controllavano. Furono le famiglie che parteciparono alla nascita del Comune e si rafforzarono coprendo incarichi podestarili in numerose città italiane, tessendo alleanze e amicizie.[21] L’anarchia dei signori cittadini, generò la signoria straniera: Parma, diventa territorio di conquista, con un conseguente peggioramento economico, un impoverimento progressivo delle classi meno abbienti e il degrado del senso di cittadinanza da parte di nobili e di borghesi.

Nel 1344 Azzo da Correggio vende (60.000 fiorini d’oro), defraudando i fratelli, la Signoria di Parma a Obizzo d’Este, marchese di Ferrara che, due anni dopo la consegnerà a Luchino Visconti. Un secolo durò la presenza Viscontea a Parma (1346-1447), interrotta solo dai cinque anni di Ottobono Terzi. Ottobono Terzi capitano dei Visconti fu mandato a Parma per sedare la guerra civile scatenata dai Rossi. Li avversò e poi strinse con loro un’alleanza per spartirsi la Signoria (1404). Successivamente gli rivoltò le spalle comportandosi sul territorio da tiranno e disconoscendo pure i Visconti che d’accordo con Niccolò III d’Este, inviarono il loro capitano Muzio Sforza che lo uccise a tradimento.

Con la nuova famiglia il podestà veniva eletto dal Duca e il Consilium generale, ridotto a funzioni amministrative, in mano a una ristretta oligarchia. La politica accentratrice e di espansione dei Visconti trascinò Parma in guerre e contese che la dissanguarono. La moneta perse un terzo del suo valore. Alla morte di Filippo Maria (1447) Parma tentò il recupero del governo comunale. Non vi riuscì. Pier Maria Rossi riprese tutte le terre dall’Appennino al Po e offrì la signoria a Francesco Sforza (1449) che la trovò in piena crisi finanziaria. Settecento parmigiani misero la città nelle mani dello Sforza con atto di donazione registrata in Duomo in cui si descrissero i diritti e dei doveri delle parti.

Nel 1448 Rossi innalzò il castello di Torrechiara dove si torchiavano le olive e li pose la sua dimora da principe rinascimentale. A Francesco succedette (1466) il figlio crudele e dissoluto Galeazzo Maria che fu ucciso pugnalato. Tra le mura ripresero gli eccidi e le devastazioni prodotti dalle squadre delle famiglie: Correggio, Palavicino, San Vitale, Rossi. Alla morte dello Sforza, prende il potere il cognato, Lodovico il Moro (1476) che costringe la vedova a cedergli la reggenza del figlio Gian Galeazzo e perseguita i suoi fedeli. Furono anni di lotte, battaglie, alleanze, improvvisi cambiamenti, tradimenti e inimicizie, finché tradito dagli Svizzeri cadde prigioniero dei Francesi. Con i Visconti e gli Sforza si riformò di fatto un nuovo feudalesimo. La peste, la lebbra e le inondazioni a più riprese dilaniarono in quel tempo il territorio.

Pur nelle difficoltà per le lotte del potere Parma fu in questo periodo centro culturale umanista. A questo declino politico si contrappone lo splendore delle scuole di artisti, l’espressione di cicli pittorici, la costruzione di complessi architettonici che, ancora oggi, esistono nel territorio, a testimonianza di quell’alta vitalità creativa e artistica presente che ha caratterizzato Parma per tutto il secolo XVI, partendo dal Correggio e dal Parmigianino. Ciò sta a dimostrare, che l’eccellenza nelle arti a Parma è stata precedente alla venuta dei Duchi Farnese e Borbone e dell’alto livello culturale raggiunto dalla nostra società civile di Parma. Senza dubbio questi ultimi hanno portato nella nostra città persone colte nelle lettere e nelle arti, nella amministrazione politica, potenziando ulteriormente il patrimonio intellettuale e artistico radicato nella città.

Il rinascimento a Parma.

Nonostante guerre e tribolazioni, già dalla seconda metà del Quattrocento, a Parma si è ulteriormente sviluppato, anche su radici culturali e medievali, un movimento intellettuale di notevole portata, ma oggi poco noto. L’architettura vede la costruzione (1476) dell’Ospedale della Misericordia (via D’Azeglio), della chiesa di S. Giovanni (1490-1519) e della Steccata (1521-1539) con l’intervento di Antonio di S. Gallo il Giovane.

Degni di memoria gli intarsi su legno dei Cori del Duomo, di S. Giovanni, dell’oratorio dei Rossi, etc., ma anche i cicli pittorici del Correggio e del Parmigianino in Duomo, in S. Giovanni, nella Steccata e nel Convento di S. Paolo.

Nel Trecento e nel Quattrocento la musica ecclesiastica ebbe un forte sviluppo. Particolare rilievo assunse la corale del Duomo.



[1] Le Goff, J. 1995 Il meraviglioso e il quotidiano nell’occidente medioevale Laterza, Bari

[2] Sereni E., 1972 Agricoltura e mondo rurale in Storia d’Italia Vol. I I caratteri originali pag. 183 Einaudi, Torino

[3] P. Cacucci – Oltretorrente pag.25. Feltrinelli, Milano.

[4] Matilde di Canossa la sola che sopravvisse dei tre figli minorenni di Beatrice di Lorena rimasta vedova per l’uccisione del marito Bonifacio Attonide.

[5] Greci R. 1992 –Parma medioevale economia e società parmense tra il Trecento e il Quattrocento– Battei, Parma.

[6] Articolo tratto da Internet di Carla Conti, informazioni scientifiche di Manuela Catarsi

[7] Il Barbarossa, col suo disegno di rivendicazione dei diritti dell’Impero, minacciava l’assetto politico-economico del Paese, ma soprattutto l’autonomia dei comuni. Se in un primo tempo Parma si schierò con l’imperatore nella guerra contro Milano (1162), successivamente nel 1167, dopo il giuramento della Lega Lombarda, insieme ai Piacentini sbarrarono all’imperatore la via di Monte Bardone.

[8] Le famiglie aristocratiche dei Rossi, Pallavicino, Sanvitale e da Correggio furono quelle che tra il XIII e XIV secolo tentarono di trasformare il Comune di Parma in Signoria, ma nessuna riuscì a prevalere sulle altre.

[9]Il pellegrinaggio nel Medioevo è molto più di un atto devozionale, è il dichiararsi disponibili all’incontro con gli altri, con il diverso, è il mettersi in viaggio per lasciarsi alle spalle i propri errori, le proprie colpe, è ritrovarsi uomini nuovi, è lasciare libero campo alla speranza e al desiderio. La meta è ideale e reale.

[10]Con la pace di Costanza (25 giugno 1183) i Comuni dichiararono ossequio all’Impero, ottenendo però: a) l’uso delle regalie, precedentemente tolte; b) il diritto di stringer leghe; c) l’autonomia nell’elezione dei propri magistrati. Queste libertà se da un lato riconoscevano le autonomie locali, dall’altro erano il preludio di duri scontri determinati delle inimicizie di confine e dal desiderio espansionistico di ogni comune che portò ad alleanze funzionali alle logiche di potere, ma che divisero l’Italia comunale in fazioni e guerre continue.

[11] Fra Salimbene scrive che il marmo rosa di Verona giungeva direttamente in piazza Duomo attraverso la via fluviale. Parma era ricca di canali che collegati al Po fornivano un importantissimo e valido sistema di trasporto per tutti i commerci.

[12] Mariotti – Documenti per lo studio della storia dell’Università di Parma 1883 Battei, Parma.

[13] I nomi attuali delle porte: barriera Vittorio Emanuele, barriera Garibaldi, barriera d’Azeglio, barriera Bixio, barriera Farini, la porta nuova. Precedentemente erano quattro: Porta Santa Cristina, Porta Pidocchiosa, Porta Parma, Porta Benedetta.

[14] Zanardi F., 1981 – L’Oltretorrente (un quartiere popolare di Parma) – In I comunisti a Parma. – Parma, Biblioteca Balestrazzi.

[15] Malerba L. – Città e dintorni. Mondadori A. Milano 2001: 57 e seg.

[16] Fu arrestato e condannato per eresia. Morì sul rogo il 18 luglio 1300.

[17] Sosteneva che gli educatori d’anime non fossero tra gli uomini di cultura, ma quelli che vanno a piedi nudi.

[18] Dronetti, V. (a cura di) 1989 Salimbene da Parma. Storie di santi, di profeti e di ciarlatani Xenia, Milano; Fornari, C. 1994 Frati, antipapi ed eretici parmensi Silva, Parma; Grundman, H. 1974 1980 Movimenti religiosi del medioevo Il Mulino, Bologna; Merlo, G. G. 1989 Eretici ed eresie medioevali Il Mulino, Bologna; Orioli, R. (a cura di) 1984 Fra’ Dolcino, nascita, vita e morte di un’eresia medioevale Europea, Novara; Zerbi, P. 1985 Mentalità, ideali e miti del medioevo Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano; Volpe, G. 1922 – 1977 Movimenti religiosi e sette radicali Sansoni, Firenze

[19] Scrive Fra Salimbene: i fedeli facebant societates per vicinias et egrediebantur ad vicos et plateas ut pariter congregati processionaliter venirent ad Ecclesiam sancti Petri ubi istius Alberti reliquiae habebantur et portabant crucis et vessilla et cantando ibant et donabant purpuras, xanitos et baldakinos et denarios multos. E ai frati polemicamente dicevano: Vos creditis quod nullos possit miracula facere nisi sancti vestri, sed bene estis decepti, ut nunc apparet in isto. Ed è con sarcastico compiacimento che Salimbene racconta l’esito della vicenda. Il corpo di Alberto comincia a puzzare, i fedeli del nuovo santo rimangono sconcertati e confusi vedendo che il suo corpo non è incorruttibile “et sic fuerunt truffati et derisi Parmenses”. Fra Salimbene de Adam, Cronica. A cura di G. Scalia, Bari 1996 2: 733 e segg..

[20] Zigoli , I. 1889 Orazione panegirica per il Beato Giovanni de’ Curiali di Parma. Parma Felice da Mareto, 1974, Bibliografia delle antiche Province Parmensi, Autoi,(vol 1) Soggetti (vol II). Deputazione di Storia Patria, Parma. Aggiornamento: Lasagna R., 1991, Bibliografia generale delle antiche Province Parmensi, 1974-1983. Battei, Parma.

[21] Dall’Acqua M.; Lucchesi M.: Op. Cit


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