SREBRENICA, IN 30MILA A COMMEMORAZIONE
(ANSA) – SARAJEVO, 11 LUG – Ancora una volta, nel 13mo anniversario del genocidio di Srebrenica, la Bosnia ha commemorato oggi gli oltre otto mila bosniaci musulmani trucidati in pochi giorni dalle truppe serbe nell’estate del 1995, e ancora una volta, come negli anni precedenti, nel cimitero e memoriale di Potocari è stata invocata giustizia e in particolare l’arresto di Radovan Karadzic e Ratko Mladic, gli ex leader, politico e militare, dei serbi di Bosnia ricercati dalla giustizia internazionale. "Questo orrendo crimine chiede giustizia", ha detto l’ambasciatore degli Stati uniti, Charles English, di fronte a più di 30.000 persone che hanno presenziato alla tumulazione, accanto a 1.907 tombe esistenti, di 308 salme esumate dalle fosse comuni e identificate nell’ultimo anno con il metodo del Dna. Il diplomatico americano ha chiamato in causa gli attuali leader serbi che "devono riconoscere che il genocidio è avvenuto, aiutare l’arresto dei responsabili e adoperarsi sinceramente per la riconciliazione".
Fermare la guerra e le uccisioni, ha dichiarato a nome dell’Europa l’Alto rappresentante Miroslav Lajcak, "non ha assicurato il futuro ai sopravvissuti e a coloro che sono nati dopo: tra il passato e il futuro sta la giustizia alla quale non rinunceremo mai". Il presidente della presidenza tripartita bosniaca, il musulmano Haris Silajdzic, ha invece denunciato la mancata attuazione della sentenza della Corte di giustizia dell’Aja che, tra l’altro, ha imposto alla Serbia di consegnare immediatamente i latitanti ed ha individuato nell’esercito e nella polizia della Republika Srpska (Rs, entità a maggioranza serba di Bosnia) gli autori della strage. Assediata per tre anni e dichiarata ‘area protetta’ dall’Onu, Srebrenica fu conquistata dalle truppe di Mladic l’11 luglio 1995, dopo un mese di incessanti bombardamenti. Un intervento della Nato, chiesto dai caschi blu olandesi, ci fu quel giorno, ma non sufficiente per impedire il massacro: un’azione più decisa fu bloccata dall’allora inviato dell’Onu Yasushi Akashi e dal comandante dei caschi blu, il generale francese Bernard Janvier, ma secondo i legali delle famiglie esisterebbero documenti dai quali emerge che alla decisione contribuirono anche ufficiali olandesi all’interno delle Nazioni Unite, preoccupati per la sorte dei loro soldati sul terreno.