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PARMA E L’UNITA’ D’ITALIA

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PARMA: CRONACA DI UNA CITTA’ NEI SECOLI
a cura di Luigi Boschi 

Parma dal Ducato all’Unità nazionale
1859: Una società civile e le sue istituzioni nella crisi della transizione

In forza dell’atto del 15 agosto 1859 del Municipio di Parma, il Ducato di Parma è stato soppresso e il suo territorio è entrato a far parte del Regno d’Italia, come Provincia di Parma.

Questa delibera era stata assunta in un clima di entusiasmo che non permise di valutare criticamente il valore di un patrimonio che, se dopo la partenza della Duchessa, fosse stato dichiarato proprietà del demanio provinciale, come aveva suggerito l’inascoltato Filippo Linati, avrebbe potuto arricchire l’economia delle pubbliche amministrazioni cittadine e provinciali. Una serie successiva di leggi privò Parma e il suo territorio di uno straordinario patrimonio artistico.

Il patrimonio ducale, già impoverito da precedenti spoliazioni (Carlo di Borbone nel 1734; Napoleone nel 1796) e dissestato da funzionari scarsamente onesti, comprendeva ancora la sede ducale di Parma, le ville ducali di Colorno e di Sala Baganza e tutte le suppellettili che via via le avevano rese celebri. Tutto fu donato al Re, a fronte della sua promessa che sarebbe venuto a villeggiare qualche periodo ogni anno in una delle ville ex ducali. Una promessa che il nuovo Parlamento non ratificò, dando l’avvio ad un’impietosa e sistematica spoliazione di tutto il patrimonio ducale. La reggia ducale di Parma è diventata la Prefettura, quella di Colorno è stata adibita a manicomio provinciale, il Casino dei Boschi di Carrega è stato regalato, per la mancanza di fondi, come compenso all’Ingegner Grattoni che aveva progettato e realizzato il traforo del Frejus. In seguito, la reggia di Sala è stata posta in vendita.[1]

Il prezzo pagato da Parma all’Unità d’Italia in beni culturali di alto pregio, e dunque in costi per l’identità parmense, è stato alto e ricompensato, almeno all’inizio, con ben scarsi contributi. Il passaggio al regno d’Italia fu decisamente traumatico. La città da capitale di uno Stato indipendente divenne capoluogo di provincia. Con la ferrovia che collegava Milano con Bologna e costituiva la nuova via di comunicazione, Parma assumeva la funzione di una semplice stazione di passaggio, perdendo le caratteristiche di tappa che svolse all’epoca delle diligenze Fu soppressa la barriera doganale e applicata la tariffa sarda. L’economia locale dovette confrontarsi con il resto dell’Italia.. Il sistema assistenziale creato da Maria Luigia e proseguito dai Borbone, mostrò i limiti di una società che si doveva confrontare col liberalismo Piemontese. La mancanza della Corte procurò disoccupazione non solo tra i braccianti avventizi, ma anche negli artigiani. Le casse pubbliche erano esauste e gli appalti di opere vedevano impegnate imprese non locali con propria manodopera. Intorno alla città si viene formando una terra di nessuno che unisce la miseria della campagna con quella della periferia urbana fatta di acquitrini, fetidi bacini dove si riproduceva pellagra e malaria; le persone erano preda di turbe psichiche. L’analfabetismo era quasi totale. L’agricoltura versava in una situazione disastrosa ed erano sconosciute le nuove tecniche dell’economia agricola. Anche l’industria risentiva della situazione. Chiusero molti opifici tessili. Resistevano le filande di seta, che chiusero pochi anni dopo. Scomparve l’industria dei cappelli. Fu crisi per le tipografie, sopravvivevano le cartiere. Chiude l’industria dei tabacchi della Certosa. L’inondazione del 1868 aumentò il disagio popolare; gli stessi entusiasmi patriottici entrarono in crisi. In questo clima esplosero i moti contro la tassa del macinato nell’inverno del 68-69. Una situazione drammatica con un altissimo tasso di mortalità.

Parma: una città postducale alla ricerca di una sua identità socio-culturale, politica, economica e religiosa

In un centinaio d’anni (1860-1960), il tempo di quattro generazioni e di tante lotte, passioni, rabbie, delitti, amore, beffe, parole e cose (anche le cose: gli oggetti quotidiani, gli attrezzi da lavoro, i vicoli, le osterie, l’acciottolato, i lampioni…) di tutta una cultura di tradizione remota, non è rimasto che qualche avanzo semimuto, un’eredità scomoda, confusi ricordi e molta retorica.[2]

Al di fuori di trionfalismi di maniera e di settarismi denigratori, l’annessione al Regno d’Italia ha comportato, anche per Parma, l’avvio di un processo lungo e difficile di adeguamento alle normative e alle esigenze dell’Unità nazionale, che si è venuta consolidando gradualmente, tra difficoltà di ogni genere.[3]

Si trattava, infatti, di unificare le legislazioni e le economie dei vari ducati e regni in assenza di adeguate risorse finanziarie e di disegnare una rete di comunicazioni, a iniziare dalle ferrovie.

Questo processo ha avuto effetti positivi ed effetti negativi per la città di Parma.

Tra gli effetti negativi, sono da segnalare le conseguenze sull’identità di Parma prodotte dalla spoliazione dei segni della realtà ducale. I Savoia, annettendosi il Ducato, hanno cancellato sistematicamente i segni dell’identità ducale della nostra città, disperdendo un patrimonio artistico di grande rilevanza nelle loro varie residenze (a differenza, ad esempio, di quanto è capitato in altre città ducali che, al momento del passaggio dal Ducato al Regno d’Italia, si sono mantenute i loro beni culturali, come demanio della città o della Provincia).

D’ora in avanti Parma diventa una città come qualsiasi altra e ad essa, in particolare, tocca un degrado culturale e di identità in rapporto al periodo ducale con ripercussioni negative soprattutto sui ceti meno abbienti. Si pensi a cosa dovette significare la scomparsa della millenaria nobiltà ducale, travolta in quanto incapace di aggiornarsi o, al massimo, confinata fra la folla dei nuovi ricchi.

Era la fine di un mondo patriarcale, contadino, sostanzialmente immobile.

La storia dei primi decenni dopo l’abolizione del Ducato è apparsa, a Parma, analoga a quella che accadeva nel resto del Paese.

Si sono avuti segnali di anarchia e di disordine. Il popolo dell’Oltretorrente, invece, stava a guardare sempre più irrequieto, scotendosi a tratti con motivazioni legate a insoddisfazioni antiche e a problemi di sopravvivenza.

Certamente da un punto di vista economico, l’unità d’Italia ha appesantito le già precarie condizioni delle classi popolari.

Tra gli effetti positivi, la società civile di Parma si è accorta che il mondo si era fatto più grande. Nonostante la miseria si alimentò comunque un desiderio di riscatto sociale.

Sono state aperte strade, è stata sviluppatala rete ferroviaria già avviata da Carlo III, la rete di comunicazione cittadina e forese, e realizzata l’illuminazione elettrica della città (1890). Si è sviluppata una forte mobilità sociale, un’inedita autocoscienza da parte del mondo del lavoro, una percezione del proprio ruolo politico di cittadini e una prima industrializzazione di tipo manifatturiero. L’industria pur risentendo del disagio che perversava nella società presentava alcune positive situazioni. Mostravano vitalità le vetrerie Bormioli, che avevano rilevato la reale fabbrica delle maioliche, e l’industria alimentare: successivamente nacquero la Braibanti (1870), la Barilla (1875), si è registrata una disseminazione nella campagna di piccole fabbriche di conserva di pomodoro e di lavorazione dei salumi. Prendono vigore l’industria meccanica e le imprese edili, così come un certo fermento si rilevava nei laboratori calzaturieri. In città, invece, accanto ai primi nuclei industriali si sviluppa un solido indirizzo di commercio, anche con l’estero, specialmente di generi alimentari (formaggio parmigiano, salumi e manifatture varie). Già nel primo periodo postducale, però, si avvertono alcuni fatti innovativi. L’aumento numerico della popolazione, sia pure in precarie condizioni di vita, ne è uno dei segnali più evidenti, anche dovuto ad un certo numero di contadini e braccianti fuggiti dalle campagne per trovare condizioni possibili di vita in città (com’era già accaduto durante il medioevo): questi nuovi immigrati si sono insediati prevalentemente nell’Oltretorrente.

Ma a Parma nel periodo 1859-1900, si avvertono anche segnali positivi da cui ha preso avvio una nuova società civile. Le persone hanno gradualmente percepito il passaggio dalla condizione di suddito a quella di cittadino grazie alla fruizione di esperienze sociali, culturali e di avviamento alla politica, con il concorso di un centinaio di giornali e di periodici che in quel mezzo secolo hanno inondato Parma (Capitolo 5.3.9). In questo periodo si sono venuti evidenziando i primi nuclei di idee e di analisi che sarebbero poi confluite nei partiti politici (Liberali, Repubblicani, Socialisti).

La legge sul macinato del 1874 e nel 1896, la lotta contro l’invio delle truppe in Africa, iniziata dagli studenti cui si è unito il popolo dell’Oltretorrente; nel 1898, la rivolta per l’aumento del prezzo del pane; nel 1909, l’appoggio dato agli scioperanti delle campagne hanno senza dubbio concorso ad avviare e potenziare la prima affermazione di una coscienza civile. Nel 1860 era sorta la prima società operaia che aveva eletto a proprio presidente Giuseppe Garibaldi. A Parma la Camera del Lavoro venne costituita nel 1893, dopo che erano sorte a Piacenza, Milano e Torino. Nel Congresso delle Camere che si tenne nello stesso anno a Parma, venne fondata la Confederazione Generale del Lavoro con 500 iscritti e in pochi mesi triplicarono con 22 società aderenti. Camera del Lavoro e Partito Socialista Italiano (1892) sono le organizzazioni attorno a cui si sviluppa l’azione popolare che rivendicava migliori condizioni di vita. Nel 1901 lo sciopero di Montechiarugolo ha una risonanza nazionale, ma si risolse sfavorevolmente per i lavoratori. Nasce il movimento cooperativistico da Borgo san Donino e Salsomaggiore.

Il processo di ammodernamento del contesto edilizio urbano è stato fatto, purtroppo, con scarsa attenzione a conservare i segni della memoria e il valore storico di essi (ad esempio l’abbattimento sistematico delle mura e delle beccherie del Bettoli in Ghiaia, etc.)

All’amministrazione della città, come già si è notato, hanno provveduto alcuni notabili borghesi liberali che avevano aderito ai moti del Risorgimento, a indirizzo illuminista e con aderenze massoniche.

In quegli anni ha visto la luce un numero cospicuo di pubblicazioni periodiche, anche popolari, soprattutto grazie a giovani intellettuali e l’affermazione dei sindacati.

Verso la fine del secolo XIX diventa visibile lo sviluppo del movimento politico-culturale cattolico (che poi confluirà nel Partito Popolare Italiano) anche se le difficoltà frapposte dai Vescovi legati al “Non expedit”, ne hanno in qualche modo ritardato uno sviluppo e una diffusione più capillare.[4] [5] [6]

La Chiesa di Parma dopo l’Unità d’Italia (tratto da una ricerca del Prof. Mons Antonio Moroni)

Mons. Cantimorri, mons. Villa, mons. Miotti e mons. Magani si sono susseguiti come Vescovi di Parma nei primi quarant’anni dopo la riunificazione d’Italia: intransigenti (seppur con diversi toni e stili) e fedeli al dettato papale del non expedit. Erano Vescovi che, eccetto Cantimorri, oriundo da Russi, francescano, tutti gli altri provenivano dal Lombardo-Veneto, con una esperienza pastorale in società del tutto differenti da quelle dell’Emilia Romagna. Questo fatto potrebbe indurre a pensare ad un disegno della Santa Sede di inviare Vescovi di regioni tradizionali cattoliche in regioni come l’Emilia Romagna rifiorirono lotte sociali, nasceva e si espandeva il partito socialista, la borghesia si organizzava intorno a idee anticlericali e massoniche.

Si trattava di Vescovi, la maggior parte dei quali, di una certa età e che avevano già un loro modo sperimentato di pensare e di un loro metodo collaudato di governo della Chiesa, magari in grosse parrocchie delle loro diocesi di provenienza. Questi Vescovi hanno trovato difficoltà a porsi in dialogo con questa società emergente e ciò spiega con abbastanza chiarezza a comprendere come l’attività svolta da questi Vescovi sia stata prevalentemente rivolta ad intra (catechesi, tentativi di strutture ecclesiastiche innovative, etc.).

La decisione del “Non expedit” ha costituito un grave trauma per tutta la Chiesa italiana perché ha privato le istituzioni e una società civile del contributo che laici cristiani avrebbero potuto dare alle nuove istituzioni cittadine. Si può anche ritenere, a tutta ragione, che questa fase assai delicata dei rapporti tra la Chiesa di Parma e le istituzioni civili abbia approfondito, per il modo col quale è stata condotta, quel distacco del cittadino credente dallo Stato, con implicazioni dell’etica sociale.

In sostanza, sul versante pastorale, la Chiesa di Parma entra nella bufera, con i cittadini cattolici lacerati tra il dovere di amare la Patria e il dovere di obbedire alla Chiesa che si sentiva defraudata di secolari diritti con la nascita del nuovo Stato Italiano.[7] [8]

Nelle tre ricerche citate di Pelosi, di Manfredi e di Cocconi si conferma un intensificarsi delle attività ad intra promosse da questi Vescovi, specialmente di attività catechistiche. Alcune buone analisi sugli indirizzi pastorali che hanno caratterizzato l’attività della Chiesa in questo periodo possono fornire elementi per comprendere l’avvio tra il popolo di un processo di laicizzazione (secolarizzazione). E’ questo un dato importante, perché dall’analisi delle possibili cause di questo processo, sembra emergano anche dei fattori della transizione dalla secolarizzazione al secolarismo.
Cocconi[9] ha individuato in questo periodo:

  • la tendenza alla disgregazione dei paesi rurali, con la conseguente migrazione verso la città e mete nazionali e internazionali;
  • l’avvio dell’alfabetizzazione di massa; un processo al quale hanno concorso soprattutto nel quarantennio 1859 – 1900 anche gruppi religiosi e di laici cattolici assieme a forze socialiste, repubblicane e al movimento garibaldino;[10]
  • a fronte delle nascenti ideologie socialista e repubblicana nei quartieri poveri cittadini e nelle campagne, e al persistere di tendenze radicali nella borghesia, si avverte sia la mancanza di proposte pastorali vivaci (da parte dei parroci, dei vescovi, dei canonici, dei consorziali, etc.) sia la mancanza di progetti idonei per tentare di risolvere, in collaborazione con altre forze sociali, le cause di situazioni ataviche di miseria che attraversavano i rioni popolari e le masse contadine.

Si fa sentire l’assenza di un gruppo di intellettuali cattolici (oltre al Circolo Leone XIII avversato da Magani), come pure l’assenza di una cultura ecclesiastica che potesse innovare, i metodi della pastorale grazie all’ascolto dei bisogni e delle domande acute in un periodo carico di richiesta di senso, ma smarrito in una solitudine culturale sulla quale gravavano i poteri forti.

Né a questa richiesta sembra che non abbia saputo o voluto rispondere quell’istituzione che pure a ciò era più specificatamente deputata, cioè il Collegio dei teologi.

 

In un’analisi estremamente sintetica dell‘evoluzione di questo periodo, è possibile individuare nella Chiesa di Parma post unitaria due ordini di forze che spesso, purtroppo, si sono mosse in senso opposto.

· In positivo, un certo numero di presbiteri, religiosi e religiose, cui si sono aggregati laici cristiani, hanno avviato a Parma indirizzi innovativi di attività caritative e sociali.[11] E’ questo il periodo in cui la Chiesa di Parma vede il sorgere di un’età dei Santi, impegnati in attività di carità; tra loro Anna Maria Adorni (Istituto “Buon Pastore”), mons. Agostino Chieppi (Piccole Figlie, 1865), Maria Lucrezia Zileri Dal Verme (ha innovato l’Istituto delle Dame Orsoline 1839-1929), il futuro cardinale Andrea Ferrari, padre Lino Maupas, mons. G. Conforti (fondatore dell’Istituto Missioni Estere).

· In negativo si avverte un’incertezza dei Vescovi e dei loro collaboratori nell’affrontare i nuovi problemi sorti nella città e nella Diocesi dopo il crollo del collateralismo tra Ducato e Chiesa, nei rapporti sia con la classe borghese e liberale sia con le nuove espressioni delle masse popolari che hanno trasferito con tutta evidenza nel socialismo la speranza per la soluzione delle loro miserevoli situazioni.

Naturalmente anche fattori esterni al non expedit, hanno reso difficile un rapporto costruttivo della Comunità ecclesiale con l’amministrazione civile e hanno prodotto una legislazione statale accentuatamente anticlericale e punitiva.

Questa complessa situazione potrebbe spiegare, ma non certo approvare, atteggiamenti spesso intransigenti dell’Episcopato verso la richiesta di cattolici a partecipare alle elezioni politiche e forse anche una mancata presa di posizione sui nuovi problemi del lavoro (a differenza, ad esempio, del mondo cattolico milanese e nonostante la pubblicazione dell’Enciclica “Rerum Novarum[12]) e dall’altro un nutrito comportamento anticlericale di buona parte della classe borghese liberale e, come ricaduta, dalle stesse masse popolari cittadine e rurali indigenti.

Qualche Vescovo, ad esempio Bonomelli a Cremona, aveva tentato con un gesto, anche moderato, il superamento del non expedit, ma ne era stato duramente frenato.[13] Questi fatti hanno pesato sulla formazione del clero e hanno impedito lo sviluppo nei sacerdoti e nei religiosi, di un’attenzione e di un amore verso la propria Patria (ricordare il pianto di Gesù su Gerusalemme), di un senso civico e di un comportamento retto dalla legalità di cittadini.[14]

Il vescovo Francesco Magani, persona colta e storico insigne, ha preso possesso della sede di Parma dopo mesi dalla sua designazione alla nostra Diocesi, per difficoltà ad ottenere l’exequatur regio. Qui, ha trovato una situazione drammatica del clero, attraversato da dispute dottrinali, ma anche da difficoltà economiche pesanti. Il suo episcopato (1893-1907) è stato un periodo di accentuata intransigenza verso l’autorità civile: un aspetto questo, che collegato ad altri, ha acuito una situazione di forte insicurezza sia all’interno del clero diocesano[15] sia di laici cattolici, soprattutto giovani.

In questo periodo è stato istituito a Parma, per iniziativa del futuro card. Ferrari – accanto all’Almo Collegio Teologico – l’Accademia di Filosofia di San Tommaso, con un forte indirizzo antirosminiano. Un’analisi di alcuni anni di pubblicazioni dell’Accademia non evidenzia prese di posizione intellettuali autorevoli sulla difficoltà dei rapporti tra Chiesa e Istituzioni civili della città.

Degna di nota è stata anche la creazione di un luogo d’innovazione e di formazione per giovani intellettuali, il Circolo di cultura “Leone XIII”, uno spazio nel quale sotto l’azione del salesiano don Baratta si sono formati giovani ad una cultura aperta alla realtà sociale della città e gradualmente ad un’apertura verso indirizzi politici e amministrativi innovativi.[16] Non sono mancati episodi di duro contrasto con il vescovo Magani; ma, in ogni caso, dal circolo di don Baratta sono usciti Giuseppe Micheli e Jacopo Bocchialini ed altri che hanno curato iniziative tese a sviluppare attività sociali a favore dei ceti meno abbienti, hanno avviato rapporti con le Pubbliche Amministrazioni e con le forze politiche per collaborare a risolvere problemi nuovi sorti nella città e nella Provincia di Parma post unitarie.

Particolarmente significativa l’attività di Giuseppe Micheli che già da studente universitario aveva promosso la fondazione, in molti Comuni del parmense, di casse rurali, di circoli sociali che facevano riferimento all’Opera dei Congressi di emanazione diocesana.[17] A Parma erano sorte la Conferenza di San Vincenzo (istituita presso la Cattedrale e a Ognissanti), la Società di mutuo soccorso San Bernardo ed altre. Un secondo grande centro cristiano, finalizzato soprattutto alla formazione dei giovani dell’Oltretorrente, è stato affidato dal vescovo Miotti ai Padri Stimmatini, sotto la direzione pastorale e organizzativa dell’indimenticabile padre Lingueglia.

Nel frattempo si affacciava un secolo, il ‘900, in cui la grande borghesia, in una Europa diventata un grande cantiere di innovazioni, incurante degli stenti di milioni di persone, esaltava se stessa nell’esposizione universale di Parigi, di cui la torre Eiffel è rimasta il simbolo trionfale di una modernità scientifica, economica, politica e tecnologica.[18]

Maturava e si diffondeva il movimento socialista, avanguardia organizzata ed emergente di quelle masse popolari sempre più rigettate ai margini dal sistema. Purtroppo la borghesia non ne fu interessata, indifferente anche a richiami come quelli di Pio X.[19]

Nel 1908 è diventato Vescovo di Parma mons. Guido Maria Conforti. La sua figura di Vescovo della nostra città e di fondatore dell’Istituto Saveriano per le Missioni Estere ha ricevuto un’approfondita illustrazione in numerose pubblicazioni, redatte soprattutto in occasione del centenario della fondazione dell’Istituto Missioni Estere (1895-1995).[20]

Qui si abbozzano solo poche considerazioni.

L’opera pastorale di mons. Conforti fu indirizzata soprattutto a riportare unità tra il clero e al tentativo di recuperare un rapporto non conflittuale con lo Stato in un clima difficile, gravato anche da alcune prese di posizione rigide prese in precedenza su queste tematiche dal vescovo Magani, dall’influsso infausto sulla società civile e sul clero di una gestione conflittuale del lascito Ortalli e, da ultimo, dalla volontà dello Stato di acquisire il cospicuo patrimonio del Consorzio dei Vivi e dei Morti,[21] per la costruzione dell’Ospedale Maggiore di Parma.

Questi fatti hanno gettato ombre sulla credibilità della Chiesa di Parma, in un momento estremamente delicato per l’orientamento della comunità parmense nella quale si stava radicando, da un lato un secolarismo anticlericale di amministratori liberali a tendenze massoniche e, dall’altro, una propaganda socialista rivolta soprattutto alle masse popolari, ambedue queste forze sfruttavano ogni occasione per diffamare la Chiesa.

Particolare attenzione mons. Conforti ha posto nella formazione di una solida cultura dei sacerdoti. Scriveva nel marzo del 1910: “Se il sacerdote si presenterà al mondo intellettuale fregiato della duplice aureola della santità e del sapere, costituirà la più eloquente confutazione dell’accusa che asserisce l’impossibilità di connubio tra la rivelazione e la scienza, tra la fede e la ragione”.[22]

Con il governo di mons. Conforti assume visibilità il movimento cattolico dei laici, che però, incappa subito nelle sconvolgenti vicende delle agitazioni sociali prima (sciopero agrario del 1908) e, in seguito, nelle difficoltà relative ai periodi bellici (guerra di Libia e prima guerra mondiale e la nascita del Partito Fascista).[23]

La fine di questa guerra aveva fatto emergere la nuova potenza degli Stati Uniti d’America, il nuovo sistema socialista sovietico e, all’interno, un nuovo sviluppo di processi produttivi diretti per lo più da grandi famiglie. Anche nel sistema produttivo parmense si registrò l’avvio di analoghe tendenze.

Masse popolari, a cui era stato chiesto di sostenere lo sforzo bellico fornendo “carne da cannone”, non accettano più di esercitare un ruolo subalterno e marginale nella politica e si costituirono come nuovo soggetto politico.

Una lucida analisi delle diverse anime presenti nel mondo cattolico nel 1922 è stato tracciato da Bonardi P.[24]

Nella relazione “ad limina” del 1926 sulla Diocesi di Parma, Conforti ha tracciato un quadro preoccupato di questa situazione socio-ambientale ed economica.[25]

Ma grazie alla sua attività e, almeno in parte, anche al mutato quadro socio-politico, si ha la sensazione che mons. Conforti abbia potuto, prima di morire, vedere realizzato il trapasso da una situazione dilacerata ad un sostanziale rapporto di fiducia entro il presbiterio parmense, così come tra la Chiesa di Parma, le Pubbliche Amministrazioni e la società civile.[26]

3.3.3 Il periodo del fascismo: la crisi dell’anima popolare di Parma

Il fascismo è nato in risposta a non risolti problemi della prima guerra mondiale, ha avuto la sua giustificazione nella crisi del 1929, dando origine alla messa in discussione del sistema liberale-capitalistico e delle sue capacità di autogovernarsi.

Nella vicenda della nascita del fascismo,[27] Parma ha giocato un ruolo particolare. A differenza di Bologna, Ferrara, Piacenza, che furono città all’avanguardia nella realizzazione del movimento fascista (che vide impegnati soprattutto i giovani tornati dalla guerra, o i ventenni che non avevano combattuto e che non avevano lavoro), Parma con le forze socialiste, parte dei nazionalisti e dei cattolici popolari e i centri dell’Azione Cattolica si oppose al nuovo regime. Ci furono, comunque, incertezze anche tra i cattolici sull’accettazione o meno del fascismo che corrispondevano del resto, ad un’incertezza presente nell’episcopato. Significativa è stata la già ricordata rivolta delle Barricate dell’Oltretorrente e della zona della Parrocchia della Trinità. La fermezza dell’azione compiuta dalla gente ed il successo ottenuto erano stati incisi in quei giorni sui muri con questa frase: “Balbo, t’è passè l’Atlantic, ma nt’è miga passè la Pärma.

Il passaggio al sistema politico fascista, presentava rischi che, da un punto di vista della Comunità cattolica, erano stati lucidamente tratteggiati da mons. Giovanni Del Monte, direttore del settimanale diocesano “Vita Nuova”.[28]

Dal 1929 al 1933 il podestà Mantovani ha proceduto al risanamento dei quartieri dell’Oltretorrente, un gesto che, oltre alla volontà di realizzare un antico progetto di drastica bonifica dei vecchi borghi malsani, ha avuto come una delle conseguenze, certo cara al Partito Fascista, la distruzione di un centro di opposizione libertaria al regime fascista.

L’intervento edilizio, certamente necessario, fatalmente si è risolto, infatti, in un cambiamento sociale: la situazione dell’Oltretorrente è stata radicalmente modificata e l’identità tradizionale di Parma vecchia è andata scomparendo. Il trasferimento ai “capannoni” segna un punto a favore rispetto ai tuguri precedenti, ma l’abbandono della secolare sede urbana è stato vissuto come una deportazione in una riserva indiana. Anche oggi dire “capannoni” significa, per le persone anziane e adulte, dire “teppisti, persone triviali, sguaiate”. Ma, se ci si mette all’ascolto, con l’orecchio di padre Lino o di don Lambertini, il leggendario “parroco dei capannoni”, di questi anziani che hanno avuto la loro radice in questo ambiente, si trova che erano persone di cuore, disponibili ad aiutare chi aveva bisogno, a fare le barricate contro la violenza, ma anche a commuoversi davanti al dolore, a lottare contro l’ingiustizia: erano i veri rappresentanti dell’anima popolare della città di Parma.[29]

3.3.4 1859-1900 Parma: un itinerario di ricerca per una nuova identità socio-culturale, politica, economica e religiosa[30]

A differenza di quanto era capitato in altre città che avevano avuto continuità nella gestione socio-politica, i parmigiani, se si eccettuano alcuni periodi di autenticità della società civile (ad esempio, il periodo medioevale), nella società ducale erano le persone autorevoli che generalmente provenivano da famiglie illustri di altre città a immettere Parma nella grande cultura, soprattutto di indirizzo umanistico, ma al prezzo di cambiare di statuto dei suoi abitanti, passando da cittadini a sudditi.

Ciò ha concorso per buona parte, a creare nella società civile di Parma:

un’ indifferenza verso la gestione politica dei problemi della città da parte della popolazione, degli stessi ceti colti e offuscamento del senso civico nel mondo cattolico;

una frammentazione della memoria socio-culturale in questi secoli a fronte però della persistenza della cultura popolare e delle tradizioni ad essa collegate.

Nel quarantennio 1859-1900 la coscienza dei cittadini, dopo l’eclissi avvenuta nel periodo ducale, è stata oggetto di un risveglio vorticoso e complesso, in ciò favorita da un salto quantitativo e qualitativo registrato nel settore delle pubblicazioni periodiche dopo il crollo del Ducato (1859).

In quel periodo sono state edite circa 188 testate periodiche, indicative di una società in movimento. Si tratta di pubblicazioni spesso di breve durata, ma che hanno avuto il tempo necessario per lanciare una proposta, sondare reazioni e magari, scomparire per uno o due anni e riapparire con un altro titolo per rispondere ad altre domande. In appendice al presente testo saranno elencate e classificate queste testate. Ci si limita, qui, ad indicare il titolo dei vari gruppi di periodici. Da questo dato si avverte la ricchezza dell’informazione che correva nella città di Parma. Si stampano a Parma vari quotidiani: L’amico del popolo (1848, giornale di educazione, arti, scienze e lettere che, dopo la soppressione, rinasce con il titolo di Vero amico del popolo, 1857-58); Gazzetta di Parma (iniziata già nel 1760); Bollettino ufficiale della guerra (1859); Il Patriota (1859-70 che stampa due edizioni, mattutina e serale); Il presente (1867-94, giornale quotidiano politico, letterario ed economico, soggetto a frequenti cambiamenti d’indirizzi e di periodicità).

Scorrendo la Gazzetta di Parma di questo periodo, la pubblicità libraria è sempre presente ed esprime due indirizzi: le edizioni di origine piemontese, impegnate culturalmente e socialmente, con testi e manuali professionali per le scuole e per l’affrancamento attivo delle persone dal bisogno, mentre la produzione lombarda volgeva soprattutto allo svago.

Negli stessi anni cominciano a circolare nelle riviste i racconti a pie’ di pagina e poesie. Nascono i primi fogli con interessi sociali, legati al passaggio a una democrazia risorgimentale, legata a Garibaldi, che si esprime con le Società di Mutuo Soccorso a carattere laico, diffuse anche nel parmense, (ad esempio a Felino) e anche con pubblicazioni espressione del socialismo anarchico.[31]

Sempre in questo periodo si registra la comparsa delle prime pubblicazioni a indirizzo spiccatamente sociale, segno dell’avvio ad una democrazia civile e responsabile, anche se ancora alle prime armi. Questi periodici confluiranno in seguito nei partiti politici (partito socialista, repubblicano, anarchico, etc.)[32] Tra questi: Il reduce (1879); Il lavoratore (1882); La speranza (1883); L’artigiano (organo della Società di Mutuo Soccorso, 1861); Il miserabile (periodico socialista, 1873); Il Mutuo Soccorso (1879-1881) giornale popolare d’istruzione e beneficenza, d’impostazione garibaldina in concorrenza con la Società cattolico-conservatrice di S. Bernardo, i cui membri per irrisione vennero chiamati dalla Società di Mutuo Soccorso “la covasa”.

Come è facile intuire, la società post ducale è in forte fermento ed evoluzione, stimolata anche da queste pubblicazioni, a prendere coscienza della propria identità personale e sociale, e a rispondere a bisogni specifici.

E’ significativo che molteplici attività dell’editoria siano state indirizzate a servizio dell’educazione e della pedagogia: Il mentore delle famiglie (tip. Fiaccadori 1888-‘89, continuazione con La sveglia 1890-‘94); Annuario pubblica istruzione della Provincia di Parma (1867); Patria, scuola, famiglia (periodico politico, didattico e ricreativo, quindicinale, 1878-‘79); La frusta pedagogica (quindicinale, 1895); Il lavoro educativo (quindicinale illustrato, 1899-1900).

E’ presente anche un’attenzione al mondo culturale e intellettuale: Atti e memorie delle R. R. Deputazioni (1863); Atti e memorie delle R. R. Deputazioni di Storia Patria per le province parmensi e modenesi (1877); Il Letterato moderno (mensile di critica letteraria, 1866); Libero pensiero (rivista dei razionalisti, 1866-‘71); Il movimento letterario italiano (quindicinale, 1881-‘82); Prime armi (trimestrale di scienza, letteratura, arte, 1878-‘79); Rivista italiana di paleontologia (1897- ad oggi, varie sedi di stampa); Annali del Conservatorio di musica di Parma (1899-1901).

Non mancano i periodici di svago e satirici, indicatori della vivacità di una società che cercava di leggere ciò che avveniva nelle stanze del potere: L’uomo che ride (1887); Il cantastorie (1866); Il Barabba (1871-‘76, giornale serio-faceto); Il diavoletto (settimanale antipolitico, umoristico, letterario, artistico, 1871-‘75); L’onorevole sugaman (1890); L’onorevole canela (settimanale, 1891); Il postprandio (gazzettino di genialità cittadina, 1879); El furlon (settimanale satirico illustrato, 1880); Sior bonierba ad bon umor (“giornel capas ad tut, con figuri e figureini”, 1895).

Ma particolare rilievo assumono i periodici politici per l’orientamento dei cittadini nella scelta elettorale. Sono già presenti in nuce le idee e la fisionomia dei grandi partiti politici. L’apostolato popolare (settimanale repubblicano, 1896-‘98); La battaglia (periodico repubblicano, 1905); La battaglia, (organo dell’unione dei partiti popolari della città e della provincia, settimanale, 1909); La battaglia elettorale (organo della democrazia parmense, 1889-‘91); Il pensiero socialista (settimanale della federazione operaia socialista di Parma e provincia, 1893-‘94); Lettore politico (quotidiano del comitato liberale-costituzionale della provincia di Parma, 1874); L’elettore cattolico. Bollettino della società elettorale parmense, supplemento alla Realtà (1906-‘07).

Una particolare attenzione è stata data a due nuove voci:

alle donne: sorprende la presenza di un bisettimanale edito da sole donne, La Voce delle donne (bisettimanale scientifico, politico, letterario, 1865-‘66)

ai giovani: particolarmente vivace negli ultimi decenni del secolo (impensabile a Parma nell’epoca attuale!) è stata la pubblicistica edita dai giovani universitari e dagli studenti delle scuole medie superiori, indirizzati verso la politica e la poesia: Sentinella della libertà, organo della gioventù (settimanale, 1873); Il convittore (quindicinale d’istruzione e di educazione, Notiziario del Collegio Ferrari Agradi 1872-‘76); Lo studente veterinario (Gazzetta degli studenti di veterinaria e agricoltura, 1875-‘78); Il Goliardo (giornale politico, letterario, artistico, 1883-‘84. Un numero è stato sequestrato dall’autorità pubblica); I nuovi goliardi (quindicinale scientifico-letterario, organo degli studenti socialisti, 1894); Voce della gioventù (quindicinale dei giovani socialisti parmensi, 1907-‘08); L’avvenire (periodico studentesco, 1917); A voi giovani (organo della federazione giovanile parmense, 1918).

Del tutto innovativo è l’interesse alle vallate: L’Eco del Taro (1879); Val d’Arda (1892); Cronaca di Val d’Arda (1894).

Fatto significativo è stata anche la pubblicazione dei lunari e dei pianeti della fortuna, piccoli foglietti che i mendicanti offrivano in cambio di un pezzo di pane o di un soldo; il testo era in italiano o in dialetto, accompagnato dagli immancabili numeri per il gioco del lotto.

Alcune riflessioni sulla pubblicistica colta e popolare a Parma nel primo periodo risorgimentale [33]

In questo cinquantennio non si è affermato un ceto intellettuale promotore di grandi opere, ad eccezione dell’attività di A. Cavagnari (1831-‘81, di cui si ricorda La Fata di Montechiarugolo); P. Bettoli (1835-1907) pittore, giornalista e poligrafo, dedito soprattutto al teatro; di cui si ricorda il romanzo storico Elena Salvà.

A Parma nel primo periodo post risorgimentale esisteva una decina di tipografie, che erano spesso anche case editrici; stampavano giornali, settimanali, manuali inediti. Le tipografie sono state vere e proprie scuole, come ad esempio la Casa di Provvidenza, dove ai ragazzi veniva insegnato il mestiere, l’uso delle tecniche tipografiche e fotografiche. Diretta da P. Dall’Olio, cui si debbono le prime fotografie sull’opera del Correggio. Questo laboratorio sarà poi rilevato dall’editore L. Battei che all’epoca si era specializzato in testi scolastici.

Alla fine del secolo inizia una corrente di autori che si affermeranno poi nel ‘900: A. Rondani, L. Sanvitale, J. Bocchialini, A. Barilli, etc. Ma, a fianco di questi intellettuali, numerosi quotidiani e periodici hanno continuato lo sforzo della trasmissione di idee con lo scopo di far emergere una coscienza civile nella società.

Dopo l’unità d’Italia, come si è già ricordato, il movimento garibaldino ha giocato anche a Parma un certo ruolo nello sviluppo della presa di coscienza di quanto stava mutando. Parma, dopo Bergamo, è la seconda città ad offrire il maggior numero di volontari al movimento garibaldino. L’obiettivo di queste forze era l’alfabetizzazione delle masse attraverso l’insegnamento scolastico, anche in considerazione del fatto che saper apporre la propria firma, significava poter accedere al voto.[34]

L’educazione era vista come un importante obiettivo civile e sociale da raggiungere, anche con lo sviluppo di nuove professionalità.

Non è infrequente la presenza in giornali e in riviste di articoli e testi di divulgazione sulla produzione del pomodoro, della patata e sull’origine della pellagra, etc.

L’internazionale, organo della Camera del Lavoro, ospita spesso le poesie di A. De Ambris e di I. Cocconi, (chiamato l’avvocato dei poveri). In occasione dei festeggiamenti a Parma al De Ambris, eletto deputato nel parlamento nazionale, si trovano accomunati Marx, Engels, Lenin e Cristo con la chioma bionda e la tunica rossa, visto come rivoluzionario e redentore delle masse oppresse.

In tutta questa produzione culturale, si è cercato inutilmente la traccia di un salto dalla dimensione locale alla cultura nazionale (significativamente si è parlato “di socialisti da campanile”).

Vi è la tendenza degli storici che indagano sul sistema Italia a relegare a memorie marginali lo studio di quei fattori locali che pure hanno concorso a creare una coscienza civile e quel sentire comune da cui è nato il contratto di cittadinanza.

Dalle molteplici proposte avanzate dai giornali e dai periodici è emersa la preoccupazione da parte di forze sociali aperte, laiche e cattoliche, della promozione di coloro che erano fuori della storia, di quel sottoproletariato della città che aspirava ad una dignità e a un mondo diverso.[35]

 

[1] Silvani G. 1975. Cento anni di protesta. L’ingiusta spoliazione dei palazzi ducali di Parma, Piacenza e Colorno (con l’elenco dei beni trasferiti nelle ville reali di Milano, Firenze, Roma, Napoli e Venezia). Bernardi Editore, Parma.

[2] Zanardi F., 1981, L’Oltretorrente, quartiere popolare di Parma in I Comunisti a Parma, Biblioteca Balestrazzi, Parma

Galasso G., 2002, L’Italia s’è desta, Le Monnier, Firenze

[3] Dall’Acqua, M. 2004 Introduzione a Casa, E. 1901 Parma, da Maria Luigia imperiale a Vittorio Emanuele II (1847-1860) (Ristampa PPF Parma 2004)

[4] Al contrario di Reggio Emilia, in cui Prampolini, rivolgendosi anche alle masse contadine, puntava su Cristo come primo socialista (ricordare il suo discorso di Natale e il decalogo per i contadini).

[5] Una documentata e ampia analisi tra Chiesa, autorità civile e società civile a Parma dalla seconda metà del secolo XIX e fino all’avvento del fascismo ha costituito oggetto di studio della monumentale opera del Saveriano p. Teodori.

[6] Manfredi A. (op. cit. pag. 351) cita il caso di Felino dove era presente un forte clima anticlericale, che spesso si traduceva in espressioni pubbliche anche violente. Il parroco Don Cortesi cita nel “cronicon” la vicenda di un attentato alla vita di mons. Cantimorri (1862), nell’occasione del suo passaggio da Felino per salire al castello che era di proprietà della Mensa Vescovile di Parma.

[7] Una situazione di cui ha documentato la drammaticità un cospicuo numero di studiosi che continua ad alimentare, come del resto anche a livello nazionale, il dibattito sulle ragioni che hanno sorretto cattolici transigenti e cattolici intransigenti.

[8] Un fervente liberale parmigiano Emilio Casa descriveva un clero parmense liberale, sia per l’antica tradizione delle lotte sostenute contro la Santa Sede nel sec XVIII, sia per l’influsso dei vescovi A. Turchi, C.F. Caselli e V. Loschi: i preti “con sì nobili tradizioni potettero serbarsi illuminati, operosi e buoni, non essendo riusciti a guastarli due o tre vescovi ignoranti e fanatici” (cioè Neuschel, Cantimorri e Villa). (E. CASA, Le classi sociali a Parma dopo l’unità, in “Aurea Parma” 50 (1966) pp 103-106)

[9] Cocconi U. 1998, op. cit. pp. 52-54

[10] Si ricorda che i prefetti avevano autorizzato i parroci, compensandoli economicamente, ad avviare le scuole elementari statali, soprattutto nelle zone più disagiate. Da notare ancora, che questo è il periodo in cui i Vescovi chiamano ad operare a Parma i Salesiani, gli Stimmatini e, prima ancora, i Fratelli delle Scuole Cristiane.

[11] Vista la delicatezza di questa tematica, occorrerebbe individuare studi già fatti o organizzare una ricerca ad hoc.

[12] E’ significativa una frase del Diario di un curato di campagna di Bernanos. Quando il Parroco ha letto la Rerum novarum e ha incontrato la frase “Il lavoro non è una merce”, osserva: “Mi sono sentire mancare il terreno sotto i piedi e quando l’ho esposta in chiesa ai miei parrocchiani, questi mi hanno bollato di socialista”.

[13] Più fortunata fu l’apertura verso la società civile del nostro vescovo Miotti (1882-1893).

[14] Una situazione che è continuata nei decenni anche se larvatamente e con qualche momento di superamento in occasioni particolari (è il caso del periodo della guerra mondiale ’14-’18).

[15] Il riferimento è alla gestione dell’eredità testamentaria di Mattia Ortalli-mons. Miotti e da questi affidata al suo Vicario generale mons. Tonarelli: un problema di cui si sono impossessati anche i liberali, i massoni, i socialisti con grave danno dell’immagine della Comunità ecclesiale a Parma. A fronte della richiesta avanzata personalmente da Pio X a mons. Conforti di accettare la nomina a Vescovo ausiliare di Parma con diritto di successione, Conforti rispondeva, declinando l’invito: “A tutti sono note le condizioni eccezionalmente lacrimevoli di questa Diocesi, dovute a un sistema di governo che non mi sento di approvare e col quale si prosegue ogn’ora”– e proseguiva – “la mia nomina non servirebbe a migliorare l’attuale situazione e sarei costretto ad essere spettatore di nuove miserie morali, senza potervi arrecare efficace rimedio, rendendomi, in certo modo, corresponsabile delle medesime di fronte alla Diocesi”.

[16] I contrasti tra il vescovo Magani e gli indirizzi del Circolo Leone XIII, anche dovuti alla fretta dei giovani di provvedere ad una lunga assenza d’interessi verso situazioni sociali sempre più gravi, ha senza dubbio danneggiato sul nascere un’istituzione che, se continuata, avrebbe potuto recare un’importante contributo alla Diocesi. Il Baratta fu fatto allontanare da Parma per un intervento di mons. Magani presso il Rettore maggiore dei Salesiani, don Rua.

[17] L’opera dei Congressi non fu organizzata da Micheli, ma dall’avvocato Francesco Fontana, persona di grande rilevanza. Resta famosa una sua relazione sulla situazione politica, sociale, religiosa ed economica del parmense fatta nella riunione dell’opera dei Congressi di Brescia del 1908: un testo che potrebbe essere riesumato per farne oggetto di una pubblicazione e di diffusione.

[18] Con la grande Guerra del 1914-1918 le attività dei cattolici hanno subito una battuta d’arresto, ma superato questo evento drammatico, sono confluite in buona parte nel Partito Popolare e nell’Ufficio del Lavoro. Quest’ultimo ha rappresentato il primo nucleo di un sindacato cattolico.

[19] Il pontificato di Pio X (1903-1914) è stato caratterizzato da alcuni indirizzi che hanno avuto un peso su Parma:
uno stimolo alla Chiesa a promuovere una vita di preghiera, base dell’esercizio della fede, sviluppata da una cultura religiosa ancora proposta come etica personale dei 10 comandamenti, senza alcun riferimento al sinergismo di questa etica personale stessa con indirizzi di etica sociale e di una convinta educazione alla legalità, a fronte di un forte sviluppo dell’innovazione socio-politica e tecnologica e di un uguale sviluppo pervasivo del movimento socialista;
è rimasto significativo dell’epoca il piccolo catechismo di Pio X, un testo sul quale si sono formate generazioni di cristiani prima del Concilio Vaticano II. Il ricordo di Pio X è anche legato a nuove disposizioni sulla comunione dei ragazzi. (Uno sguardo sintetico di questo periodo è stato stilato da Bonardi P. 2002 Parma quotidiana tra 800 e 900: bibliografia e storia. Aurea Parma 86 fs. II);
una mancata distinzione degli indubbi vantaggi recati dalla modernità alla società a fronte di un influsso negativo provocato da un progresso tecnico senza alcuna attenzione all’etica, ha privato questo processo d’innovazione tecnologica inarrestabile della ricchezza di un’ispirazione cristiana, al punto che essa, nei decenni seguenti è sfociato, tra l’altro, in una desertificazione della natura e della stessa messa in forse dell’identità umana;
a fronte di intellettuali cattolici, giovani e non giovani, che all’ascolto di una società in profondo cambiamento hanno cercato di opporsi ad un socialismo e a un radicalismo sempre più aggressivi, pensando di distinguere tra aspetti positivi e negativi della modernità, Pio X e i suoi consiglieri anziché porsi in posizione di ascolto di questa complessa realtà, con l’enciclica Pascendi (1907) ha troncato il dialogo che era su un piano teologico, filosofico, economico e sociale: la modernità è diventata in blocco modernismo. Ma già era cominciata l’era Conforti e regole rigide sono state stilate per Vescovi, Clero, Seminari e per gli intellettuali cattolici. Ma lo sviluppo del modernismo a Parma non ha riguardato soprattutto il lato dottrinale (potrebbe essere che non ne esistessero le persone per sostenerlo), ma si è sviluppato sul piano etico e disciplinare (vedere l’Associazione Basso Clero, chiamata ABC).

E’ stata questa un’altra occasione perduta in un periodo storico estremamente delicato per la società, soprattutto per la Chiesa italiana e di conseguenza anche per la stessa Chiesa di Parma che necessitava anziché di una caccia alle streghe, di indirizzi per una innovazione della pastorale commisurata a un periodo in forte evoluzione.

[20] Molto è stato scritto sul delicato periodo dell’episcopato di mons. Conforti. Consultare, tra l’altro, il volume: “A Parma e nel mondo” 1996, Atti delle ricorrenze saveriane. In particolare si deve citare: mons. Guido Maria Conforti, in “Una città di santi e di anticlericali” Fondazione della Cassa di Risparmio e il Borgo. Parma.

[21] Fu un dramma per l’efficacia pastorale della Chiesa di Parma il modo con cui il Consorzio dei vivi e dei morti condusse la lotta per evitare l’esproprio dei propri beni per costruire l’Ospedale Maggiore (esproprio che venne sancito nel 1922-‘23). Nella ricerca delle responsabilità da parte della Chiesa, si possono, ad esempio, analizzare i riflessi della vicenda del Consorzio dei Vivi e dei Morti che, purtroppo, fu sfruttato dalla stampa liberale e dalla Massoneria da un lato e, dall’altro, da un anticlericalismo socialista, con danni gravi alla coscienza cristiana del popolo: tutti aspetti che hanno allargato lo spazio del secolarismo, non più riservato ai cittadini, ma che ha interessato anche il mondo rurale. Questo passaggio è ben documentato nell’opera di Manfredi.
Oggi è cambiata la situazione? Oppure permangono ancora cenni di quest’anomalia?

Certamente, in prospettiva, questa posizione potrebbe aver subito una battuta d’arresto sia dalla caduta delle ideologie, sia da un cambiamento culturale radicale, soprattutto nelle giovani generazioni. Ma, senza dubbio, questo passaggio in cui la secolarizzazione è passata a secolarismo, non porterà certamente ipso facto all’aumento dell’incontro tra la Chiesa e coloro che pure cercano un senso per la loro identità di persone.

Ben altro rapporto tra Chiesa istituzionale e società civile si sarebbe realizzato se la Chiesa, con un senso evangelico (ma anche con un pizzico di senso politico!) avesse messo a disposizione i suoi beni per costruire l’ospedale per la città, senza subire un umiliante processo di spoliazione. Questo episodio, infatti, sul quale hanno giocato tutte le loro carte il movimento socialista e la massoneria, ha approfondito quella barriera già accentuata tra Chiesa istituzionale e società civile e con il popolo dei meno abbienti. In questo e in altri dolorosi episodi, oltre che in radici anche più lontane – cui già si è accennato – stanno alcune delle cause di quell’anticlericalismo grezzo che ha afflitto prima le classi borghesi, ma, sul finire dell’‘800, anche i ceti popolari.

[22] L’Eco della Curia Vescovile (fondato da mons. Conforti nel 1909), pagg. 102-103 del 1910. Per rendere più concreto questo obiettivo mons. Conforti fondò il 20 febbraio 1910 “l’associazione parmense pro cultura tra il clero”, affidandone la guida a nomi prestigiosi, tra cui mons. L. Mercati, il canonico Ettore Savazzini e il prof. don G. Parma, il canonico Leandro Fornari, il canonico Luigi Boni, il canonico prof. Amato Masnovo, il dott. Luigi Parenti ed altri.

L’istituzione ebbe successo, numerose furono le conferenze e i convegni che portarono a Parma persone di grande cultura e fama nazionale. Si attivarono vari “circoli di lettura e conversazione”, anche in Diocesi per trattare argomenti scritturistici, dogmatici e letterari. L’organo ufficiale dell’associazione destinato ad informare sulle attività del clero era “l’Eco”.

[23] Bonardi P. 1979 Vicende dello sciopero agricolo del 1908 a Sala Baganza. Quaderno del Centro studi Val Baganza Parma

[24] Bonardi P., 2000 Dalla Stampa parmense del 1922: il movimento cattolico da destra e da sinistra. Aurea Parma 84.2

[25] Scrive il Vescovo: “La Diocesi di Parma, soprattutto negli ultimi tempi, è andata incontro a moltissime difficoltà che hanno intaccato assai le condizioni religiose e morali: il Liberalismo, prima (che con le sette massoniche ha imperversato nelle scuole, nelle amministrazioni e negli uffici pubblici), ha infierito per molti anni contro la religione cristiana e l’ingente patrimonio che la pietà degli antenati aveva accumulato con l’intento che fosse usato, secondo saggezza, a beneficio della Religione e della Chiesa, spogliando la Chiesa, destinò a fini laici; il Socialismo, poi, (che si dichiarò apertamente empio e settario) che distolse il popolo dalla pratica religiosa, anche con la forza, con le cosiddette “organizzazioni” di cui disponeva, fino a ridurre alla fame coloro che avessero voluto restare fedeli alla Chiesa. La conseguenza fu che (ahimé, fin troppo vero) la pietà di molti si affievolì ed il concetto di Dio, nel cuore del popolo, venne meno. Il Clero subì una sottovalutazione della pubblica opinione; oltre a ciò, i costumi degenerati, la diminuzione di vocazioni religiose fu tale che la Diocesi ora lamenta la grande scarsità di operatori, quale non s’è mai avuta”.

[26] In Autori Vari, 1996 – Parma nel mondo, verso le ricorrenze saveriane. Fondazione Cassa di Risparmio di Parma, è illustrato un complesso di indirizzi che il mondo intellettuale e popolare ha espresso tra il 1900 e il 1925.

[27] Bonardi P. 1989 – Impegno ecclesiale e sociopolitico dell’onorevole Michele Valenti. Ed. Ars Studio. Ferrara.

[28] Sono tristemente note le violenze fasciste contro le associazioni cattoliche nel ‘31. Nel 1931 mons. G. del Monte rassegnava le dimissioni da direttore di “Vita Nuova”, il settimanale fu soppresso e sostituito da una “pagina diocesana” nell’edizione settimanale dell’Osservatore Romano della Domenica. Questa pagina venne diretta da mons. Oppici. (Bonardi P. 1992 – Le violenze del 1922 nel parmense. Centro studi della Val Baganza, quaderno n°6).

[29] Troveremo questa gente –come ha notato Zanardi – ancora in rivolta durante la Resistenza e nelle lotte sociali del primo dopoguerra, finché l’impiego nei processi produttivi, la scolarizzazione dei figli ed un benessere diffuso hanno, senza dubbio, risolto drammi secolari che avevano afflitto questo gruppo di parmigiani, ma ritrovatisi nella nuova condizione sociale, non hanno saputo o potuto mantenere almeno l’essenziale di quella loro specificità che, per secoli, era stata la loro cultura. I loro figli degli anni ’60 hanno cercato di esprimere i valori di libertà e di solidarietà nei Partiti e nei movimenti di sinistra, ma alla fine del millennio queste autentiche “corti dei miracoli” parmigiane dell’Oltretorrente e dei borghi della Trinità sono scomparse, come nucleo culturale autonomo e con essi quella cultura specificatamente popolare che, negli eccessi, nella generosità di affetti era genuina e tipica del comportamento parmigiano.

[30] Nel percorso storico di Parma si sono susseguiti periodi di autenticità della società civile (Parma medioevale, per alcuni aspetti Parma post unitaria e, soprattutto il periodo dopo l’ultima guerra mondiale) alternati con periodi di incertezza dell’identità sociale e civile della città, provocati dal fatto, ad es. che nella società ducale erano le persone autorevoli che provenivano da contesti culturali esterni, immettendo Parma entro la grande cultura e politica europea, ma al prezzo del cambio di statuto dei suoi abitanti: da cittadini a sudditi.

[31] L’informazione riguardante le professionalità e i mestieri si dirige preferenzialmente, tra l’altro, verso due categorie:

· periodici per l’agricoltura: L’agricola (1878); L’agroparmense (1881); Il mestiere agricolo (1893);

· per l’industria: Gazzetta industriale (1898); Cooperazione popolare (1894);

· per il commercio: Bollettino della Camera di Commercio (1869); Il commerciante (1890); L’indicatore commerciale (1868); Bollettino commerciale e agrario (1864), etc.

[32] Affo I. 1797, Memoria degli scrittori e letterati di Parma. V: 345-420.

[33] Dall’eliminazione dell’asse ecclesiastico era nata una proletarizzazione delle campagne. I parroci chiedevano affitti bassi rispetto a quelli di mercato, tenendo conto della condizione delle famiglie, ma di fronte ai nuovi proprietari molti contadini lasciano le terre per emigrare in città, stabilendosi nell’Oltretorrente, come già avevano fatto nel Medioevo i servi della gleba. L’Oltretorrente ha sempre rappresentato la terra di frontiera dove gli immigrati cercano rifugio, ieri come oggi. Questa proletarizzazione trova condizioni assai dure, “si fa la fame”. Le guardie sulla beneficenza osservando lo stato nutritivo e igienico – sanitario degli abitanti dei quartieri, intuirono le concause del colera del 1866.

[34] Occorre segnalare l’istituzione delle scuole domenicali, sia per gli operai che per le fanciulle, per formare un artigianato qualificato. Si moltiplicano i collegi privati: Taverna, le Luigine che assorbono le Vincenzine, la Scuola femminile delle suore della Croce nata a Sala Baganza e poi trasferita in città. A Parma soggiorna per due anni la grande pedagogista Felicita Morandi.

[35] Tra i movimenti cattolici e le forze laiche impegnate a dare una risposta ai gruppi più indigenti, sono stati presenti anche sacerdoti e laici intorno a G. Micheli, personaggio operante a cavallo di due secoli, una figura complessa a cui dobbiamo l’impegno per il riscatto della montagna (il periodico da lui fondato La giovane montagna è stato e resta un eccellente modello di operatività concreta per le nostre vallate). Questi giovani laureati cattolici hanno costituito un fermento “a valle” dei Vescovi, per i quali il non expedit costituiva una frontiera su cui attestarsi.

Giuseppe Micheli e la sua opera sono stati studiati soltanto da cattolici e non da laici, cosi come è accaduto ad altre figure, per es. esponenti socialisti, che hanno avuto nel mondo laico i loro cultori, senza che gli studiosi cattolici entrassero nel merito. Questa situazione andrebbe indagata, per oltrepassarla, in modo da raggiungere un sinergismo tra tutte le componenti.

 

 

 

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