Una zona già martoriata. Ecco dove ha colpito il terremoto tra Turchia e Siria
Turchia meridionale. Nord-ovest della Siria. Sembra fatto apposta: il fortissimo terremoto di magnitudo 7.8 di ieri notte ha colpito una striscia di terra già consumata dalla povertà e da una guerra durata più di un decennio. Proprio lì, dove i palazzi sono crollati e le strade si sono spaccate in due, vivono milioni di rifugiati, 2,7 dei quali risiedono in campi profughi. Molti sono sfollati interni della guerra civile, fuggiti a nord, nelle zone controllate dai ribelli dell’area di Idlib, che continuano a combattere contro il regime del presidente siriano Bashar el Assad.
Oggi su queste pagine scriviamo che, nel terremoto tra Turchia e Siria, per i siriani è tutto più complicato.7 FEB 2023
Nel terremoto fra Turchia e Siria per i siriani è tutto più complicato
PAOLA PEDUZZI E LUCA GAMBARDELLA
Prima di tutto ci sono i segni della guerra civile: scoppiata nel 2011 a seguito della durissima repressione da parte di Assad delle proteste delle Primavere arabe, ha avuto il suo culmine nel 2015, quando il conflitto si è intensificato su tutti i fronti fino all’intervento diretto della Russia a sostegno di Assad, che ha portato a un fragilissimo cessate il fuoco nel 2020.
I segni della guerra si sono poi visti concretamente nella crisi economica che ha colpito il paese: il prodotto interno lordo della Siria si è ridotto di più della metà in dieci anni (dal 2010 al 2020). Quest’inverno i siriani bruciavano la spazzatura per riscaldarsi, razionavano le docce e rinunciavano spesso a pasti caldi. In alcune zone l’elettricità disponibile durava meno di un’ora al giorno. Le fatiscenti strutture idriche della Siria, nonché la scarsità di carburante, hanno poi condotto a un altro disastro: un’epidemia di colera che ha coinvolto circa 60 mila persone e che si è concentrata nelle zone più povere del paese, una tra tutte quella interessata dal sisma.
In questo scenario, s’inserisce la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan e i suoi interessi in Siria. Ne scrivevamo a giugno.
Erdogan mentre cambia nome alla Turchia si mette di traverso nella Nato per ottenere la Siria
Quest’estate Erdogan esplicitava così le sue intenzioni: “Creeremo una zona di sicurezza di 30 chilometri ai confini meridionali. Spazzeremo via i terroristi dalle aree di Tal Rifaat e Manbij in Siria. Poi faremo lo stesso in altre aree, passo dopo passo. Vedremo allora chi sosterrà le nostre legittime richieste e chi le ostacolerà”.
A novembre, aggiornando il racconto, scrivevamo che: “Il presidente Erdogan punta a creare quella che possiamo definire una ‘cintura sunnita’ nel nord della Siria e dell’Iraq che, partendo da ovest, dal Mediterraneo, correrebbe lungo tutta la Siria settentrionale, attraverserebbe l’Eufrate e poi il Tigri, giungendo in nord Iraq, includendo i monti di Sinjar dove vive la minoranza curda-ezida, fino al confine con l’Iran. L’intento è che questo corridoio, di circa 1.270 chilometri e profondo 30, sia amministrato da una popolazione araba-sunnita e turkmena, libero dalla presenza dei combattenti del Pkk che Ankara, Washington e Bruxelles considerano una organizzazione terroristica, e pronto ad accogliere gran parte dei circa 4 milioni di rifugiati siriani ospitati in Turchia”.
Cosa sapevano americani e russi dei bombardamenti di Erdogan in Siria e Iraq