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Strage di Cutro, finiscono sotto accusa pure i ritardi nei soccorsi a terra: “Persi trenta minuti decisivi”
Alessandra Ziniti
L’obiettivo delle indagini difensive di un pool di legali che si è messo a disposizione della famiglia è ambizioso: portare nell’inchiesta il tema delle responsabilità politiche emerse per verificare se possano tradursi in responsabilità penali
“Li hanno lasciati soli a mare ma anche a terra. Quando il barcone è naufragato hanno avuto il tempo di chiamarci, al telefono invocavano aiuto disperati, ma non c’era nessuno. I soccorsi sono arrivati in ritardo di almeno mezzora. Chissà quante vite si sarebbero potute salvare”.
I trenta minuti di terrore, quelli tra le 4 del mattino di domenica 25 febbraio (ora presunta del naufragio) e le 4.35 quando, per prima, una macchina dei carabinieri del nucleo radiomobile arriva sulla spiaggia di Steccato di Cutro. Dalla Germania, dall’Australia, dagli Stati Uniti, i familiari delle settanta vittime arrivati in Calabria aprono adesso un altro fronte di denuncia, quello sul ritardo dei soccorsi anche a terra. La ricostruzione di quei trenta minuti sarà uno dei filoni delle indagini difensive di un pool di avvocati di grido, Luigi Ligotti, Mitja Gialuz, Vincenzo Cardone e Francesco Verri, che – gratuitamente – hanno accettato di rappresentare una decina di famiglie delle vittime costituendosi parte civile nel procedimento che, nei prossimi giorni, entrerà nel vivo con l’incidente probatorio che vedrà di fronte i superstiti e i tre scafisti arrestati.
I primi documenti acquisiti dai carabinieri, le relazioni di servizio di tutte le forze dell’ordine interessate e il decreto di fermo consentono di ricostruire la mezzora intercorsa dal momento dello schianto del caicco sulla secca all’arrivo dei primi soccorsi. Con una scansione che, per la verità, parte ancora prima, dalle 3.40 quando la Guardia di finanza avverte che i suoi mezzi stanno rientrando in porto per il mare grosso ed “è stato attivato il meccanismo di ricerca, lungo le direttrici di probabile sbarco, coinvolgendo anche le altre forze di polizia nelle ricerche lungo la costa”, come recita una nota stampa della Guardia di finanza.
Ma nulla si attiva per almeno 35 minuti, nessuna pattuglia, nessuna ambulanza. Alle 4.15, a far scattare il primo allarme di ricerche a terra è la sala operativa dei carabinieri di Crotone che – ricevuta una telefonata di richiesta di aiuto da un numero straniero – localizza la chiamata e invia subito un’auto a Steccato di Cutro. Come conferma il decreto di fermo nei confronti dei tre scafisti, i primi ad intervenire sulla spiaggia, in località Foce Tacica, sono i carabinieri del Radiomobile.
Sono le 4.35, il barcone è naufragato da almeno 25 minuti, un lasso di tempo enorme in cui decine di vite, soprattutto di bambini, avrebbero potuto essere salvate se solo ci fosse stato qualcuno su quel litorale a cercare di capire dove si stava dirigendo quel barcone che, nel frattempo, il radar della finanza, aveva beccato alle 3.50 ormai vicinissimo alla costa. Come testimonieranno poi alcuni pescatori che intorno alle 4 dicono di aver visto l’imbarcazione lanciare gli Sos con le luci da bordo e subito dopo rovesciarsi.
Gli altri soccorsi arrivano solo dopo, attivati da una serie di telefonate che, nel frattempo, arrivano ai centralini di soccorso: chiamano gli stessi naufraghi sopravvissuti o i loro familiari, alle 4.52, alla centrale operativa di Roma, da numeri stranieri; chiama alle 5,12 l’attivista italo-marocchina Nawal Soufi, a quell’ora già avvertita dai familiari delle persone a bordo che le danno l’esatta posizione del barcone. Una mail con le coordinate precise viene inviata dalla Soufi alle 5.35 alla sala operativa della Guardia costiera. A quell’ora la notizia del naufragio è già su Facebook ma la macchina dei soccorsi istituzionali ancora non carbura. Sono le 5.40 quando i tre pescatori che porteranno in salvo diversi superstiti e purtroppo anche qualche corpo, ricevono una chiamata dalla guardia costiera che chiede loro di recarsi sulla spiaggia di Cutro dove è segnalato un barcone di migranti. Solo dopo quell’ora, arrivano tutti gli altri. Un lasso di tempo infinito per tante vite in bilico.
“Abbiamo il dovere di partecipare alle indagini e ai futuri eventuali processi per conto dei familiari delle vittime. È il minimo che possiamo fare per queste donne e uomini colpiti da una tragedia di proporzioni enormi”, dice l’avvocato Francesco Verri, mentre si trova con una donna che nel naufragio ha perso due sorelle, il cognato, e i due nipotini, di uno dei quali si cerca ancora il corpo.
L’obiettivo delle indagini difensive del pool di legali è ambizioso: portare nell’inchiesta il tema delle responsabilità politiche emerse per verificare se possano tradursi in responsabilità penali. “Queste morti si potevano e dovevano evitare? È presto per giungere a conclusioni ma i primi dati raccolti dicono di sì”, spiega ancora l’avvocato Verri. “Noi ora potremo trasferire nei due procedimenti iscritti dalla Procura della Repubblica di Crotone i risultati delle inchieste giornalistiche più approfondite di quotidiani come Repubblica, le opinioni degli esperti con cui stiamo entrando in contatto e le ricostruzioni di consulenti specializzati. Potremo raccogliere notizie attraverso lo strumento delle investigazioni difensive. Insomma, saremo di supporto e di stimolo per la Procura che, a ragion veduta, siamo certi farà il suo lavoro con scrupolo e coraggio. Sono morte intere famiglie. Quando i riflettori si saranno spenti, queste donne e questi uomini devono sapere di poter contare su un pool di avvocati che li rappresenterà seriamente”.
Fonte Link: repubblica.it