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Festival Verdi, Meo ai saluti. Ora quale futuro per il Regio?

Non poteva mancare l’ultima marchetta di Mauro Balestrazzi a favore della Meo. Sempre favorevole all’orchestra a chiamata OTR di Pellegrini e Maghenzani che applicava il caporalato musicale (vedi Convenzione). E spesso contro la Filarmonica Toscanini che è stata la vera orchestra Del Teatro Regio prima del dissidio politico tra Ubaldi e Baratta (entrambi deceduti). Il “bravo e competente” Balestrazzi tace sul nuovo programma del Festival Verdi, la cui apertura al Teatro Regio di Parma con la Forza del Destino, è affidata alle masse artistiche (orchestra e Coro) del Comunale di Bologna, divenuto pure partner istituzionale che così percepirà i proventi maggiorati del loro FUS sottratti al Regio e a discapito del lavoro del Coro di Parma. Esalta addirittura Roberto Abbado, risaputo che non è un direttore verdiano e in pieno conflitto di interessi, visto che è pure direttore principale dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna. Veramente inqualificabile questo racconto parziale e non veritiero. Ma lo vedremo alla resa dei conti, dopo l’inaugurazione del 22 settembre. LB
Mauro Balestrazzi
L’inizio è stato assai complicato, il rodaggio difficile e anche in seguito ci sono stati altri incidenti di percorso ma nel bilancio di questa gestione i riscontri positivi superano quelli negativi. Adesso è tempo di nominare la nuova direzione generale (Ndr: con i soliti tempi biblici della PA avrebbero dovuto già iniziare con bando per manifestazione di interesse pubblico, a cui parteciperanno i soliti noti, per poi scegliere una persona a discrezione del Sindaco e Presidente della Fondazione Teatro Regio).
Quando, nel gennaio 2015, Anna Maria Meo fu nominata direttore generale del Teatro Regio, sotto l’Amministrazione della prima Giunta pizzarottiana, non si tacque né l’anomalia della scelta, che ignorava i risultati di un bando cui avevano partecipato diversi candidati ritenuti idonei dalla commissione presieduta da Cristiano Chiarot [LINK], allora sovrintendente della Fenice, né soprattutto la mancanza di titoli e di esperienza della designata per un incarico che, prima di lei, aveva visto succedersi due sovrintendenti della Scala (Ndr: per la verità 1 solo, Carlo Fontana; Mauro Meli fu cacciato dalle masse artistiche prima di essere ufficialmente nominato).
L’irrituale presenza del maestro Luigi Ferrari alla riunione del Consiglio di amministrazione del Regio che doveva deliberare la nomina del nuovo direttore generale lasciava supporre che i confusi amministratori cittadini (NdR: chiamarli confusi è un eufemismo) avessero chiesto l’assistenza di un esperto (Ferrari era a quel tempo segretario generale della Fondazione Toscanini, aveva collaborato con il Regio durante la sovrintendenza di Fontana e presumibilmente era anche l’unico a conoscere il nome della Meo, (NdR: sua assistente al festival di Wexford ), ma non poteva essere sufficiente a fugare le perplessità di cui si diceva; anzi, poteva alimentare il sospetto che la Toscanini, dopo aver ottenuto l’eliminazione dell’Orchestra del Regio, puntasse a controllare anche il teatro e il Festival Verdi (NdR: questa è una vera porcheria disinformativa! L’OTR si auto eliminò per duplice fallimento e una convenzione divenuta nulla! Fu allontanata da Carlo Fontana che voleva riportare la legalità in Fondazione Teatro Regio con il capitale fondativo eroso a -1.900.000,00 euro, e debiti per oltre 11.500.000,00 euro; la nuova dirigenza fu costretta a pianificare un piano industriale con pagamenti rateizzati anche per gli artisti e un esborso consistente da parte del Comune di Parma). le consiglio Balestrazzi la lettura di questo mio post: “I Falsari del Regio” [LINK]
Che potrebbe essere anche una soluzione interessante (e per il futuro se ne potrebbe discutere; Ndr. non mi pare realistico unire un teatro di tradizione con una ICO Istituzione Concertistico Orchestrale. Non siamo un Ente Lirico), purché fatta in piena trasparenza. Ma la trasparenza non è mai stata una caratteristica delle ultime Amministrazioni…(NdR: anche lei Balestrazzi non risplende di trasparenza, anzi si è adoperato per tacere il disastro economico di Mauro Meli e del Sindaco e Presidente Pietro Vignali; preferirebbe sostenere il caporalato musicale della OTR).
Tornando alla Meo, oggi si deve onestamente riconoscere che quella scelta alla fine si è rivelata felice per il Regio e per il Festival Verdi.
L’inizio era stato assai complicato, il rodaggio difficile (è come se in quei primi tempi la Meo fosse dovuta andare a scuola per studiare e imparare il mestiere; NdR: e così è stato Parma le ha fatto scuola, ma remunerata però come esperta), e anche in seguito ci sono stati altri incidenti di percorso (il taglio del Fus chissà perché tenuto nascosto (ndr: perché la Meo avendo dichiarato un numero maggiore di orchestrali per un’opera nel teatro di Busseto portò a una inchiesta giudiziaria. E il FUS penalizza chi subisce inchieste), lo scontro con il coro che si sarebbe potuto e dovuto evitare; (NdR: togliendo progressivamente e inspiegabilmente le ore di lavoro al Coro, lo scontro era divenuto inevitabile), ma nel bilancio di questa gestione i riscontri positivi superano quelli negativi. (Ndr: ritengo si stato fatto un lavoro modesto, ragionieristico; si sarebbe potuto fare molto di più con l’importante budget e marchi aziendali che ha avuto a disposizione e con l’immagine di Parma e Verdi nel mondo).
Per un rendiconto finale si dovrà attendere la conclusione di questo Festival, che peraltro sulla carta si presenta bene, con grandi direttori, registi di fama, cast vocali promettenti e un programma interessante. (NDR: Non certo felice, mi ripeto volutamente, è stato l’aver affidato l’apertura del Festival all’ Orchestra e al Coro del teatro Comunale di Bologna. Inaccettabile!! Il pubblico viene a Parma per ascoltare e vedere le opere di Verdi nel suo unicum verdiano prodotto a Parma di cui oltre agli artisti, al personale e agli allestimenti, anche l’ambiente ne è parte costituente. E questa caratteristica identitaria non può essere ceduta a chicchessia o a altre realtà. Negli altri teatri del mondo si replica Verdi, ma Verdi a Parma deve avere quel quid di diversità in tutti gli aspetti, non solo musicologico, che lo differenzia, come Mozart a Salisburgo, pur sapendo che quel budget austriaco è inarrivabile e inimmaginabile per la nostra città). [LINK Lo scippo del Festival Verdi2022]
Ma intanto si può già dire che, con la Meo, il Festival è tornato ai fasti dei primi anni di Meli (Ndr: vorrei precisare che il Festival Verdi fu voluto dall’on. Andrea Borri. La prima edizione celebrativa in occasione del centenario risale al 27 gennaio 2001 con Bruno Cagli che portò a Parma Martino Faggiani come direttore del Coro di Parma, ma iniziò nel 1990, dal 13 al 30 settembre LINK) e ha trovato una sua fisionomia basata su tre direzioni: indagare per quanto possibile il Verdi meno conosciuto (quest’anno la prima versione di Simon Boccanegra); proporre nuove letture registiche anche scomode ma intriganti (il successo dello Stiffelio di Vick dovrebbe essere un esempio); (NdR sul successo dello Stiffelio di Vick nutro molte riserve, scrissi: “dallo Stiffelio di Verdi al bordellio di Vick [LINK]. Edizioni registiche studiate spesso per interessi personali al fine di compiacere solo una certa critica musicale e ricevere premi; il mio ricordo positivo è riservato al luogo in cui fu realizzato nello splendido Teatro Farnese); chiedere alla musicologia quella copertura filologica che garantisca che il Verdi eseguito a Parma è “doc” e perciò diverso da quello che si esegue altrove.
Questo è stato possibile per la scelta di affiancare agli organismi del teatro un comitato scientifico guidato dal professor Francesco Izzo, comitato che è poi diventato un tutt’uno con quello dell’Istituto Nazionale di Studi Verdiani, comprendente i più prestigiosi specialisti.
Non sempre gli uomini e le donne che reggono teatri e festival, siano essi sovrintendenti o direttori artistici, hanno le basi culturali imprescindibili: il successo del Festival rossiniano di Pesaro insegna quanto sia importante il contributo scientifico al palcoscenico.
È quindi auspicabile che il nuovo direttore generale, chiunque sarà, continui a seguire questa linea.
Un’altra scelta positiva di questa gestione è stata la nomina di un direttore musicale come Roberto Abbado: anche se un po’ pleonastica nella forma, perché un direttore musicale è tale solo quando ha un’orchestra sua con cui lavorare abitualmente, è servita comunque a garantire al Festival l’apporto continuativo di uno dei nostri migliori maestri. (NdR: Roberto Abbado non è certo riconosciuto come miglior direttore verdiano, oltre a essere in pieno conflitto professionale come sopra già descritto. E certo Balestrazzi vorrebbe anche l’orchestra a chiamata OTR per compiacere chi? Forse non solo lo scarso Abbado?)
La tradizionale stagione lirica ha un po’ sofferto in questi anni per l’attenzione maggiore rivolta al Festival, com’è normale che sia (NdR: non è vero, sono due pubblici diversi e due budget distinti), ma non sono mancate alcune perle come il concerto dei Berliner Philharmoniker in Pilotta (la prima volta a Parma di una delle orchestre più famose del mondo), il Prometeo di Luigi Nono al Farnese e una bella edizione del Pelléas et Melisande, purtroppo limitata a una ripresa televisiva per la pandemia.
Alla Meo va poi riconosciuta una eccezionale abilità nel reperire fondi: se andate a guardare la classifica degli interventi sul sito Art Bonus, scoprirete che il Teatro Regio è al quarto posto per le erogazioni liberali ricevute dopo le fondazioni di città di ben altre dimensioni (e portafogli) come Milano, Torino e Firenze.
È questa forse l’eredità più difficile che toccherà al suo successore perché oggi chi dirige un teatro deve avere anche la capacità di saper coinvolgere i privati per allargare la base dei finanziamenti. (NdR: si devono portare progetti e obiettivi, e Parma saprà rispondere come ha sempre fatto).
E veniamo alla successione. È buona prassi, almeno nei teatri più importanti, garantire con congruo anticipo di tempo il passaggio di poteri ed evitare vuoti pericolosi. È vero che le recenti elezioni hanno lasciato in sospeso molte decisioni ed è vero anche che la Meo, il cui congedo era noto da tempo, ha già definito nei dettagli le prossime stagioni lirica e concertistica.
Ma in teatro si deve programmare con largo anticipo ed è ormai urgente, se non è già stato fatto, passare all’azione. C’è da augurarsi che la nuova Amministrazione abbia esaminato il problema e abbia individuato una soluzione. Il tempo fugge. (Ndr: da molto tempo ho inviato al nuovo sindaco prof. Michele Guerra, un indice di attività per il Regio che ho reso pubblico. “il Regio che vorrei” [LINK], e pure al vicesindaco e Assessore alla cultura avv. Lorenzo Lavagetto).
Non dubitiamo che il sindaco Michele Guerra, che è anche il nuovo Presidente della Fondazione Teatro Regio, ne sia consapevole e condivida l’idea che la strada intrapresa in questi anni dal Regio e particolarmente dal Festival (filologia, edizioni rare quando è possibile, interpreti e registi di alto profilo) meriti di andare avanti. (13 SETTEMBRE 2022)