NEL NOME DEL PADRE
Viviamo nel tempo in cui "il padre sembra aver perso il suo ruolo -scrive Marchesini. Non insegna neanche più al figlio a montare a cavallo e ad andare in bicicletta. Oggi è il tempo in cui il figlio insegna al padre a usare il computer". Il nipote al nonno aggiungo. Sembra che la saggezza dell’anziano non conti più nulla. L’uomo consumato non ha valore, bruciato dai tempi. E’ una dichiarazione di morte civica. Il padre è divenuto ridicolo agli occhi del figlio… ancor di più se non ha raggiunto il successo economico… divenuto banale scopo di vita, in ragione del quale tutto è sottoposto… le relazioni triturate.
La cultura della "fratellanza" tra generazioni non mi convince… ogni epoca ha i suoi linguaggi e le sue confraternite. Penso piuttosto alla comprensione e rispetto alla vita… Che cosa è la vita di un uomo! Ma ora non vi sono nemmeno le condizioni per l’empatia. Il "digital divide" non coinvolge solo l’aspetto economico, ma è una demarcazione sociale per il dialogo e vicinanza tra generazioni. Come recuperare questo smarrimento? I ragazzi si sentono orfani e i padri spesso in fuori gioco. Come svolgere allora nei confronti dei giovani, senza gli strumenti e il linguaggio, quella iniziazione alla vita da padre in figlio che colmi l’attuale vuoto di fronte all’assenza di un progetto di vita futuro? Senza credibilità di ruolo? Senza farla pesare? Senza quella struttura piramidale tipica della cultura patriarcale? Spesso l’esempio non è nemmeno di aiuto. E ci si rende conto oggi del danno prodotto dalla classe politica che ha di fatto impedito l’alfabetizzazione digitale della società e tra le conseguenze negative anche quella di accrescere l’incomunicabilità (con toni diversi, ma sempre presente) tra padri e figli. E’ l’incomunicabilità della vita!
Questa perdita di "paternità", mi ha fatto riflettere, in modo laico, sul segno cristiano della croce "nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo". Quanto viene percepito ancora il suo significato? Quanto ha perso della sua forza originaria? Forse non è più compreso. Eppure non è solo, un segno o un gesto religioso, ma racchiude in sé la sintesi del nostro vivere: c’è una origine, il padre, una società, il figlio, l’amore, lo spirito santo. Tutto in un gesto sacro figurativo della croce che è poi l’uomo a braccia aperte stilizzato. La croce vissuta come senso di responsabilità, come missione, come equilibrio. Scoprire e portare le proprie responsabilità di uomo nel mondo. E’ l’uomo di Leonardo.
Tutto e tutti hanno un padre, facciamo parte di una società, siamo e abbiamo bisogno, come l’acqua, di amore che ci fa vivere e ci unisce. Ognuno di noi è padre, figlio e spirito santo. Ma non ce ne rendiamo conto.
Il peccato più o meno marcato è la rottura del delicato equilibrio che governa l’insieme del vivere, della società. La virtù, invece, è ciò che la salda. Il perdono è la capacità di ritorno di riconciliarci con l’equilibrio.
Nel segno della croce: in un gesto, in un messaggio di tre parole, il mondo. La similitudine con la sintesi dei contenuti nei tempi moderni è, credo, doverosa. Ma allora erano solo le religioni a orientare i popoli. Allora, come oggi, la sintesi per la facilità di comprensione e ricordo.
I modi di trasmissione, allora, come ora, sono sempre gli stessi: il verbo, il viaggio e la scrittura. Cambia solo la tecnologia. Al mondo reale ora dobbiamo aggiungere il mondo virtuale… ma i contenuti non cambiano.
I comportamenti delle persone erano scanditi dal tempo delle stagioni e dal rito. Chi non accedeva ai saperi, si rimetteva al rito. Fuori dal rito si commetteva peccato perché comprometteva tutto l’equilibrio sociale.
Al giorno d’oggi, la competizione e la lotta nel primato dei saperi, la dissolutezza dell’ignoranza fuori dal rito, han prodotto questo spaventoso disequilibrio sociale, ambientale. L’insieme armonico sembra perduto. Abbiamo perso il senso del padre… e della saggezza. Non esiste più un padre… cioè non conosciamo, e se lo sappiamo siamo indifferenti, l’origine delle cose ad ogni livello. Pensiamo ai prodotti divenuti di largo consumo. Qual è la conoscenza della nostra nutrizione? Qual è la percezione dell’origine della bistecca, del petto di pollo, del latte? Assente o minima. Il sacrificio animale per la sopravvivenza è divenuto un processo produttivo aberrante percepito come naturale. Ad una cena vegana una ragazza adulta, istruita, mi fa: "Ma come farebbe la mucca a essere munta se non ci fosse l’uomo?" Capite dove arriva l’ignoranza vagante? Si è perso il senso del padre e della madre, ossia il senso dell’origine, la percezione del nostro essere nell’ambiente, il principio fondativo biocentrico. Tutto è solo a nostro servizio. Dell’uomo dice Watson: "Eccessivamente territoriale, ossessionato da trivialità, violento, misero e assolutamente privo di empatia verso le altre specie. Il mondo sarebbe un posto molto più piacevole, senza di noi"
La società si è dissolta in un individualismo sperticato, l’amore smarrito, gli obiettivi di vita mistificati. La croce è divenuta, non l’espressione dell’equilibrio Leonardesco, l’uomo di Vitruvio, ma solo un piano di sofferenze in cui siamo da noi stessi inchiodati… per altri, l’urlo disperato del verbo per la libertà. A questo ci ha portato la nostra irresponsabilità che spesso abbiamo scambiato per libertà. Siamo finiti su una rotta completamente sbagliata. Si mettono in croce le persone. E i giovani cercano nella "distruttività" la ragione per riempire bisogni di crescita insoddisfatti.
Come sanare questa rottura dei tempi nelle generazioni? Come ristabilire consapevolezza e coscienza?
"L’apprendimento orizzontale, tipico dei ragazzi, ha il vantaggio di essere veloce -sottolinea Marchesini- ma ha perso completamente le prerogative di essere individuale e iniziatico".
E non leggo né una volontà di adozione tra generazioni, né una scelta di attenzione reciproca, di condivisione, ricerca di orizzonti, unità e integrazione. Si è perso forse il senso della relazione che è divenuta funzionale… e la complicità solo verso il basso.
Siamo dentro a una nuova epoca in cui la conoscenza non è di pochi, ma disponibile per tutti, online. Bisogna maturare un nuovo alfabeto di apprendimento e confronto. E’ un nuovo modo di vivere e riorganizzare la società: alta riflessività, conoscenza, consapevolezza, responsabilità… dolcezza. Sembrano prerogative difficili da acquisire in un mondo a portata di click, ma incapaci di viverlo, in una società in cui il desiderio è sostituito dal consumo, l’armonia con il trionfo della dissonanza.
E le scuole sono attrezzate per questo nuovo ruolo? Per questa nuova funzione pedagogica, didattica, sociale? Non penso.
Ma che cosa è un uomo? Eterna domanda, inevasa risposta. (24/01/2010)
Luigi Boschi