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Covid, Crisanti non convince i giudici: archiviazione per Conte e Speranza

Matteo Riberto
La sua perizia era alla base delle accuse dei pm. Il professore: «È ormai riconosciuto che se attuate in modo corretto le zone rosse diminuiscono i contagi del 98 %»
Il grande accusatore della gestione della pandemia, Andrea Crisanti, non ha convinto i giudici del Tribunale dei ministri di Brescia. «Il professore ha compiuto uno studio teorico ma non è stato in grado di rispondere circa il nesso di causa tra la mancata attivazione della zona rossa e la morte di persone determinate», hanno scritto le toghe nella sentenza che mercoledì ha archiviato le posizioni dell’ex premier Giuseppe Conte e dell’allora ministro della Sanità Roberto Speranza, accusati di epidemia colposa e omicidio colposo per aver ritardato l’attivazione della più aspra misura di contenimento dei contagi nel Bergamasco.
Lo studio
Il ritardo, secondo lo studio dell’allora microbiologo dell’Università di Padova e oggi senatore Pd su cui si basava l’impianto accusatorio della procura, avrebbe comportato un eccesso di 4.148 morti. «Non voglio dare giudizi sulla qualità della sentenza ma il mio studio era ed è giusto», ribadisce il professore che non cambierebbe una virgola di quanto aveva allora messo nero su bianco. Le accuse rivolte a Conte e Speranza erano pesantissime. La procura contestava, in particolare, la mancata istituzione della zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro e il capo d’imputazione si basava sulla denuncia delle famiglie di 57 persone decedute di Covid. I giudici hanno archiviato i reati contestati a Conte e Speranza – epidemia e omicidio colposo – perché il fatto non sussiste. Rispetto al ritardo dell’attivazione della zona rossa l’ordinanza di archiviazione evidenzia la mancanza di informazioni e di tempo a disposizione di Conte per poter prendere una decisione così forte e impattante. Il 2 marzo, sostengono i giudici, l’ex premier non disponeva di sufficienti elementi per attuare la zona rossa. Che potesse decidere in quel momento era, oltretutto, «ipotesi irragionevole perché non tiene conto della necessità per il Presidente del Consiglio di valutare e contemperare i diritti costituzionali coinvolti e incisi dall’istituzione della zona rossa».
La prova che manca
Perno fondamentale dell’impianto accusatorio era lo studio che lo stesso Crisanti, dopo averlo presentato, definì «una perizia mai fatta al mondo». «Da medico so bene cosa significa morire asfissiati. Il pensiero di quelle persone sole e del dolore dei parenti mi ha accompagnato in questi mesi, svegliarmi ogni mattina leggendo quei verbali e quei racconti mi ha fortemente segnato», aggiungeva il professore che se da un lato specificava che non si trattava di «un atto di accusa, a quello ci penseranno i giudici»; dall’altro ammetteva di voler «restituire la verità dei fatti agli italiani» e di dare una risposta alle famiglie delle vittime il cui dolore gli era entrato dentro. Ma le risposte del microbiologo non sono state sufficienti per i giudici. «Agli atti manca del tutto la prova che le 57 persone indicate nell’imputazione, che sarebbero decedute per la mancata estensione della zona rossa, rientrino tra le 4.148 morti in eccesso che ci sarebbero state se fosse attivata la zona rossa. La contestazione dell’omicidio colposo in relazione alle morti indicate in imputazione si basa quindi su una mera ipotesi teorica sfornita del ben che minimo riscontro». E ancora: «È noto, infatti, che la possibilità di contrarre il virus tramite contatti con persone infette non è mai stata esclusa neppure all’interno delle zone rosse», concludono i giudici.
«Mi stupisce l’ultimo passaggio»
Una frase, quest’ultima, che non lascia indifferente Crisanti: il professore soppesa le parole ma rivendica il suo studio. «Mi stupisce l’ultimo passaggio. È ormai riconosciuto che se attuate in modo corretto le zone rosse diminuiscono i contagi del 98%. Questa è scienza. Chiaro che rimane comunque una remota possibilità di contagio, ma è appunto remota», sottolinea il senatore che – in conclusione – si domanda anche il senso di quanto gli è stato domandato di rilevare nella perizia. «A me è stato chiesto se l’adozione tempestiva e più stringente della zona rossa nei comuni della Val Seriana avrebbe avuto un effetto sulla riduzione dei contagi. La mia risposta è stata sì e che nella provincia di Bergamo si sarebbero potute evitare oltre 4 mila morti. Non mi è stato chiesto se le 57 su cui si basa il capo d’imputazione si sarebbero potute evitare. Sarebbe servito un altro studio per quello, il mio è giusto», conclude riaffermando, di fatto, il ruolo di grande accusatore della gestione della pandemia. Nonostante il parere dei giudici.
fonte: corriere.it