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La morte di Alberto Alinovi, la perdita di un amico e un grande professionista.
Con Alberto avevo un rapporto di grande amicizia e stima. Appresa la notizia, questa mattina, non riuscivo a crederci. Ci eravamo visti nel suo studio poco tempo fa al suo ritorno dalla Sardegna, avevamo scherzato, lungo la strada, sul suo progetto teatrale. Era poi un attento lettore della mia newsletter, con cui gli trasmettevo i miei ultimi articoli.
Lo conoscevo fin da piccolo da quando una sera venne a casa mia a Felino insieme a Giulio Sergio Pasta che poi divenne mio cognato. Insieme frequentavano a Parma la facoltà di medicina. Fin da allora diceva di volersi specializzare in chirurgia estetica o dermatologia e sarebbe andato in America per la specializzazione una volta raggiunta la laurea in Italia. E così fece. Tornato a Parma entrò nella Clinica dermatologica dell’Università di Parma, diretta da Fulvio Allegra. Divenne quindi professore associato e diresse la Scuola di specializzazione in Dermatologia dal 1997 al 2000. Con l’università nacque qualche scontro, pare, per il mancato riconoscimento a capo della Clica medica, alla morte di Allegra. Era infatti il predestinato a quel ruolo per attività svolta sul campo, esperienza e titoli. Per numerosi anni esercitò come medico specialista al San Raffaele di Milano. Fu sempre con me e la mia famiglia molto attento e premuroso come persona e professionista.
Ricordo quando mi chiese di realizzare visivamente una sua idea sulla dermatologia (Dermanhattan) che feci produrre da un mio collaboratore di computergrafica. Un quadro che portò sempre con sé nei luoghi dei suoi studi professionali.
Pur non essendo vegano, venne qualche volta come relatore alle mie cene vegane, illustrando sempre il tema della meritocrazia in Italia, con critica severa, sia sul lavoro che in Università verso cui non nascondeva una certa amarezza. Presentò il suo libro: “Il codice Borgia della società Italiana”. Sempre con adeguate proiezioni di immagini o grafiche. Il familismo italiano era la sua battaglia.
Recentemente mi telefonò perché voleva realizzare in scena a teatro di prosa, i contenuti del suo libro rivisitato con un adattamento teatrale, un copione su cui poi sviluppare la scenografia. Mi chiese chi avrebbe potuto aiutarlo nella regia e nella messa in scena. Gli indicai un nome, ci saremmo dovuti incontrare tutti insieme una sera a casa sua, una volta definita la sceneggiatura che aveva affidato a un suo amico. E da lì poi sarebbe nato tutto il lavoro in un confronto di idee.
Proprio circa 15 giorni fa mi incontrai con lui nel suo studio e mi spiegò come voleva realizzare la pièce teatrale.
“L’Italia è il malato, distesa sul lettino medico. Si decide per un consulto con uno specialista….”. Insomma una visione medico politica del paziente Italia. Molto vera e nello stesso tempo nel suo racconto ironico efficace con adeguate battute e immagini proiettate. Aveva già individuato la compagnia, lo sceneggiatore. Il regista avrebbe dovuto sussumere tutto e preparare lo spettacolo civico da mettere in scena per una comunicazione alla gente. I contenuti del suo libro dovevano essere trasmessi con una modalità comunicativa che entrasse facilmente nelle persone. Era convinto che il problema italiano fosse il familismo perché nulla ha a che vedere con la meritocrazia.
Era persona amata e stimata da tutti, di piacevole compagnia. Ho sentito molti amici in comune. Siamo tutti sconvolti per questa grande perdita umana e professionale. Abbiamo tutti perso un caro e prezioso riferimento. (Parma, 12/08/2016)
Luigi Boschi
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