NICCOLO’ PAGANINI: 225° DELLA NASCITA
27 OTTOBRE 2007: 225° Anniversario della nascita di: NICOLO’ (O NICCOLO’) PAGANINI.
Violinista e compositore / Genova 27 ottobre 1782 – Nizza 27 maggio 1840
(La sua monumentale tomba è nel Cimitero della Villetta in Parma)
E’ considerato uno fra i maggiori violinisti dell’Ottocento, sia per la padronanza dello strumento, sia per le innovazioni apportate in particolare allo staccato e al pizzicato. La sua attività di compositore fu legata a quella di esecutore, in quanto trovava innaturale eseguire musiche sulle quali non aveva un completo controllo.
Ebbe vita movimentata e sregolata nella quale, oltre ai 600 concerti che tenne con grande successo in tutta Europa, ebbero molto peso anche le sue avventure amorose e la sua passione per il gioco d’azzardo. I suoi capolavori sono i pezzi per solo violino, ed in particolare i 24 Capricci (1817), anche se compose numerosi brani per violino e orchestra tra cui 6 concerti e diversi pezzi per chitarra sola o in duetto, trio e quartetto, compose anche per il mandolino.
Nato a Genova, quarto di 6 figli, da una famiglia originaria di Carro (SP), il padre Antonio, faceva imballaggi al porto ed era appassionato di musica. Con la madre Teresa Bocciardo abitavano in Vico Fosse del Colle poi rinominato Passo di Gatta Mora, non più esistente perché demolito.
in dalla più giovane età, Niccolò apprese dal padre a furia di botte e costrizioni, le prime nozioni di musica sul mandolino e in seguito nel 1792 fu indirizzato allo studio del violino presso un tale Giovanni Cervetto (o Servetto) 2 anni dopo studia con Giacomo Costa. Si dice che il padre, dilettante di violino, lo costringesse a stare ore ed ore in cantina a studiare musica.
All’età di 12 anni, si faceva ascoltare nelle Chiese di Genova e per poter pagare un miglior maestro di violino nel 1795 il padre gli fece dare un concerto. Questa accademia fu data a proprio esclusivo beneficio presso il teatro di Sant’Agostino, eseguendo le sue 14 variazioni sull’aria piemontese "La Carmagnola", per chitarra e violino. Nel 1796 il padre lo condusse a Parma per un’audizione dal maestro Alessandro Rolla che ascoltatolo lo indirizzò dal contrappuntista Gasparo Ghiretti a prendere lezioni di composizione.
I commercianti Livron e Hamelin ottennero di edificare un teatro a Livorno. Per l’inaugurazione nel 1802 Livron invita Paganini facendogli dono di un violino il Guarnieri del Gesù del 1742. Questo fu il violino più amato da Paganini che lo chiamava il "mio cannone violino". Fu da lui lasciato per testamento alla città di Genova dove tutt’ora viene utilizzato in occasioni speciali, ma solamente da violinisti che abbiano ottenuto precedentemente il permesso in base alle loro capacità.
Diede dei concerti nell’Italia Settentrionale e in Toscana. Raggiunta una portentosa abilità, andò di nuovo in Toscana, ove ottenne le più clamorose accoglienze. Nel 1801, all’età di 19 anni, interruppe la propria attività di concertista, forse per amore di una ricca signora e si dedicò all’agricoltura e allo studio della chitarra: in breve tempo ne diventò virtuoso e scrisse molte sonate, variazioni, e concerti non pubblicati.
Alla fine del 1804, all’età di 22 anni, riapparve a Genova ma tornò a Lucca l’anno successivo dove accettò il posto di primo violino solista alla corte della principessa Elisa (detta Marianna) Baciocchi, sorella di Napoleone. Quando la corte si trasferì a Firenze nel 1809 Paganini la seguì ma per un banale incidente se ne allontanò e non volle più tornarvi, malgrado i numerosi inviti. A Torino è la volta di un’altra parente di Napoleone, Paolina Borghese che nel castello di Stupinigi, quando lo sente suonare, se lo porta in un paesino delle Alpi dove consumano il loro ardente e fugace amoretto.
Poi Lauretta, Tadea Pratolongo, Marina Banti, Caterina Banchieri. Seguono avventure con ragazze di taverna, con perdite notevoli al gioco, probabilmente, dato le compagnie che frequentava, contro bari di professione e con disavventure giudiziarie. In questo periodo contrae verosimilmente la malattia luetica. Ciò che contribuisce a rendere la sua figura enigmatica, alle quale i posteri poi, cercando di riabilitarlo, diedero un’impronta romantica.
Ad una visione psicologica moderna, i suoi alti e bassi d’umore, la sua avarizia ripugnante alternata a momenti di estrema generosità e filantropia, la sua ingenua sincerità alternata a furbeschi calcoli interessati, o il carattere a volte giudicato simpatico, altre isterico, i giorni di studio esasperato e snervante, seguiti da giorni di ozio più profondo, non sono altro che la conferma di un’alterazione dell’umore in senso depressivo, con punte maniacali. Il genio di Paganini riesce a trasformare anche la malattia più insana come questa in musica, nella quale la malattia perde la sua capacità distruttiva e viene sublimata, lasciando stupefatti e attoniti gli spettatori. Questa può essere la probabile spiegazione scientifica di quello che i contemporanei giudicavano come qualcosa di demoniaco.
Nella sua vita, Paganini percorse l’Italia tre volte, facendosi applaudire in numerose città. La prima di queste città fu Milano, dove era particolarmente amato, nel 1813, a 31 anni; il 29 ottobre, al teatro Carcano, i critici lo acclamarono primo violinista al mondo. Qui nel giro di diversi anni diede 37 concerti, in parte alla Scala e in parte al Carcano.
Nel marzo 1816 trionfò nella sfida lanciatagli da Ch. Lafont e due anni dopo ripetè il trionfo in confronto con C. Lipinski. Strinse amicizia con Rossini e con Spohr. Nel 1817, a 35 anni suonò a Roma, suscitando una tale impressione che il Metternich lo invitò a Vienna, ma le condizioni di salute, fin da allora precarie, gli impedirono di accettare.
Andò al Sud, a Palermo, dove nel 1825, vide la luce Achille, il figlio avuto con una cantante del coro, Antonia Bianchi. Paganini volle così bene a questo figlio illegittimo che per averlo dovette acquistarlo per 2000 scudi dalla madre e poi farselo riconoscere, manipolando le sue conoscenze altolocate. Nel 1828 finalmente andò a Vienna, dove le lodi ai suoi concerti furono unanimi. L’Imperatore Francesco I lo nominò suo virtuoso di camera. Dopo aver dato 20 concerti a Vienna, si recò a Praga dove sorsero aspre discussioni sul suo valore.
Compose anche dal 1817 al 1830 sei concerti per violino ed orchestra (famosissimo il finale del secondo detto La Campanella); ritornato a Genova nel 1832 iniziò la compostizione dei famosi Capricci per violino e nel 1834, una sonata per la grande viola variazioni su temi di Süssmayr e Rossini, serenate, notturni, tarantelle.
Il 1834 segna l’inizio dei sintomi più eclatanti di una malattia polmonare all’epoca non diagnosticata, segnata da accessi di tosse incoercibile, che duravano anche un’ora, che gli impedivano di dare concerti, che lo spossavano in maniera debilitante, per la quale furono interpellati almeno venti fra i medici più famosi d’Europa ma che nessuno riuscì a curare nè a migliorare minimamente.
Comunque la reazione di Paganini alla malattia fu molto dignitosa e composta. Malgrado non avesse una buona opinione dei medici, dato che non erano riusciti a curarlo, si rivolgeva sempre con fiducia a qualcun altro, sperando di trovare un medico che potesse aiutarlo. Nonostante la difficoltà in cui si trovava, non si abbandonò mai alla disperazione e bisogna riconoscere che in questi estremi frangenti dimostrò una gran forza d’animo. Perciò, le manifestazioni maniaco depressive della giovinezza sembrano essere dovute più alle nottate insonni di quei tempi che ad una malattia psichiatrica endogena. Dagli sforzi della tosse non poteva più parlare e diventò completamente afono.
Gli faceva da interprete il figlioletto Achille di 15 anni, che si era abituato a leggere le parole sulle sue labbra e, quando anche questo non fu più possibile, si mise a scrivere su biglietti che, rimasti,sono stati sottoposti ad esame grafologico. Da questo si può dedurre che il rapporto fra Niccolò e Achille fu buono, tanto che Achille, diventato adulto, cercò di dare continuità all’opera del padre, continuando a riordinare e a pubblicare le opere del padre e la venerazione che aveva si vede al punto che perfino i nipoti, che non avevano conosciuto il nonno Niccolò, capiscono e riconoscono l’importanza del nonno, ossia Achille riesce a tramandare il lavoro del padre, al punto che i suoi figli, quando muore, venuti in possesso dell’intera opera paganiniana, decideranno di regalarla allo Stato, e solo dopo un rifiuto, metteranno l’opera all’asta.
I concerti per violino e orchestra presentano quella genialità di cui si parlava, che in Romania ma non solo in quel paese, fu scambiato per un eccessivo virtuosismo, un esibizionismo esagerato, le serie di accordi, di difficile impostazione, i trilli, i salti di registro, dal più basso al più eccessivamente acuto, sono dovuti anche al fatto che Paganini, per questioni economiche, voleva essere l’unico in grado di suonare la musica che scriveva, in modo da non dividere con nessuno, quello che sapeva fare.
Il risvolto positivo, di quest’impostazione egoistica, era che volendo mantenere il segreto, consegnava la partitura al direttore d’orchestra, qualche ora prima e quindi doveva scrivere un’orchestrazione armonica e facile da interpretare, da potersi leggere quasi a prima vista. Come esempio di questo tipo di musica il Primo e il Secondo concerto, quest’ultimo che contiene un capolavoro insuperato, detto la Campanella, trascritto per pianoforte da Liszt.
I 24 Capricci di Paganini sono la somma dell’arte, il condensato della sua eccelsa bravura, una scuola di tecnica violinistica che forse il Maestro voleva usare come base, per fondare un insegnamento quando si accorse che non potendo più suonare, non aveva più reddito e pensando alla morte, forse pensava di lasciare finalmente i suoi segreti a degli allievi promettenti. Qui si trovano codificate tutte le sue acquisizioni da funambolo del violino ma sono talmente eccelse che ascoltandole, una persona che non conosce il violino, non si rende conto delle posizioni che le mani devono assumere per fare certi suoni e tutto scorre via tranquillo e liscio, dando un impressione sonora gradevole e una musicalità orecchiabile anche ad un profano.
L’elenco dei compositori che ripresero suoi temi è molto ampio (oltre 150) tra i principali comprende: Franz Liszt, Robert Schumann, Frédéric Chopin, Johannes Brahms, Sergei Rachmaninov, Witold Lutoslawski, George Rochberg, Andrew Lloyd Webber, Darius Milhaud, Alfredo Casella, Luigi Dallapiccola, Marcello Abbado e Franz Lehár.
ADE SpA – CIMITERI DI PARMA – Luoghi della Memoria . 200
27 OTTOBRE 2007:ADE RICORDA
il 225° ANNIVERSARIO DELLA NASCITA di: NICCOLO’ PAGANINI
Per esser stato uno dei musicisti più noti della sua epoca, e probabilmente il virtuoso più celebre della storia, di Paganini non rimangono poi molti ritratti. In compenso, moltissimi schizzi: la sua figura, il suo modo di suonare e forse di essere, angoloso, fuggente, più che sfuggente, velocissimo, la sua vita eternamente errabonda, evidentemente si prestavano più ai rapidi tratti a matita dello schizzo che al più meditato colpo di pennello. Molte le stampe (e molte, tra queste, quelle satiriche o caricaturali, vendute in ogni angolo d’Europa) come se la sottile linea tracciata dal bulino meglio sapesse coglierne la mobilità che immaginiamo nell’espressione e nella figura.
Molti, moltissimi, i ritratti e gli schizzi tracciati a penna: da scrittori, piccoli o grandi, poeti, anche da musicisti.
In un concerto come quello di stasera, che del grande Paganini ci dà un ritratto a sua volta scorciato da una visuale meno centrale di quella del violinista dei Concerti, dei Capricci o delle grandi Variazioni, per portarci nel melodioso e più tranquillizzante salotto della sua musica da camera, forse sulla spinta di questo impulso possiamo un poco far parlare questi ritratti.
Non ha bell’aspetto. È di statura media e non ha portamento eretto. È magro, pal¬lido e cupo. Quando ride si nota che gli mancano alcuni denti. Ride spesso e vo¬lentieri. La testa è troppo grande per il suo corpo e il suo naso è a becco; i suoi capelli sono neri e lunghi e sempre spettinati. La spalla sinistra è più alta della destra probabilmente per il troppo sonare. Quando cammina fa ciondolare le braccia… All’inizio pensai che il signor Paganini di Genova fosse uomo sospetto, poco loquace e misterioso, così mi era stato descritto. Invece era molto loquace e parlava quasi ininterrottamente. Quando rideva si dava dei colpi sulle cosce con le sue mani asciutte. È veramente brutto.
E con questo, il tombeur de femmes, colui che più tardi sarebbe stato accusato di seduzioni multiple a dame e pulzelle di ogni età, stato e condizione, è sistemato! Il ritratto è tracciato da Matteo Nicolò de Ghetaldi, un magistrato siciliano che viveva a Venezia, città spesso frequentata da Paganini.
Finalmente sul palco comparve una figura scura che sembrava uscita dall’in¬ferno. Era Paganini nel suo abito nero, la marsina nera, il panciotto nero, di un taglio atroce come forse l’etichetta infernale li prescrive nel regno di Proserpina; i pantaloni neri ciondolavano paurosamente intorno alle sue gambe stecchite. Le lunghe braccia parevano allungarsi ancora quando egli teneva in una mano il violino e nell’altra l’archetto, così in basso che quasi toccavano terra mentre egli sciorinava al pubblico i suoi incredibili inchini. Nelle contorsioni angolose delle sue membra v’era una terribile legnosità e nello stesso tempo qualcosa di pazzamente animalesco.
E questi è Heine, un temperamento che aveva trovato pane per i suoi denti in una figura del genere: introducendo quell’aspetto demoniaco che sarà l’attributo più consueto ad accompagnare Paganini, accusato di svariati patti perpetrati col diavolo a discapito della propria anima ma a vantaggio della propria arte…
Ma diamo ancora la parola ad un poeta: questa volta è il Foscolo, per controbilanciare con un po’ di miele tutta la puzza di zolfo che comincia a trapelare.
Ieri ser fui al suo concerto. Ella è un dio, e Omero stavami innanzi agli occhi in mentre l’ascoltava. Il primo grandioso tempo rappresentava l’approdar delle navi greche innanzi a Troia; l’adagio di tanta nobiltà e grazia ad un tempo faceami tornare in mente il colloquio tra Briseide ed Achille. Ma quando sentirò la disperazione e i lamenti sul cadavere di Patroclo?
Col che ci rendiamo subito conto che i suoi, anche aulici, sostenitori potevano nuocere alla sua immagine forse più che i detrattori!
Mai mi fu dato di ascoltare un fenomeno del genere. Egli iniziò con un suono esile e gradualmente, in maniera impercettibile, il suo magnetismo librò catene sopra l’uditorio. Dapprima esse vagavano qua e là, poi i loro anelli si fecero più tentatori e legarono le anime sempre più strette fino a fonderle in un tutto che stava compatto di fronte al Maestro, quale contrappeso, l’uno a ricevere l’altro.
Per sentir finalmente parlare di musica, dobbiamo aspettare il più grande dei musicisti-scrittori, Robert Schumann naturalmente: che da un concerto di Paganini riceverà questa indelebile impressione. Un’impressione che ben frutterà nella sua immaginazione, tramutandosi nel migliore (almeno per noi) dei ritratti. Quello cioè che diventa musica: Schumann fu infatti uno dei (e non pochi) grandi musicisti che il più alto elogio di Paganini scrissero sul pentagramma, prendendo a ispirazione le sue musiche. In particolare, gli dedicò uno dei momenti del suo Carnaval e ne trascriverà dodici Capricci; analogo omaggio gli fece in seguito Liszt (colui che qualcuno non si peritò di chiamare «il Paganini del pianoforte»…) e pensiamo poi a Brahms, Rachmaninov e agli altri.
Neppur il sommo Goethe sfuggì al suo fascino: «A tarda sera [e poteva essere altrimenti – ci vien da dire irriverentemente – a che ora Mefistofele va a trovar Faust?] Paganini venne a farmi visita con il suo segretario e il figlio. Meravigliosa apparizione, almeno per ora». L’impressione viene amplificata al momento del concerto, quando Paganini gli appare, secondo quanto scrisse in una lettera al suo severissimo mentore musicale Zelter, simile «a una colonna di fumo e di nembi».
Non è il caso di continuare in questa raccolta, che potrebbe divenire lunghissima, dato che tutti, all’epoca, si sono sentiti in dovere di scrivere di Paganini: speriamo che già questi accenni siano stati sufficienti a dare un’idea del «fenomeno» Paganini. Perché di ciò, allora, si trattava, quando il suo valore musicale fu solo da pochi individuato nella sua interezza e piuttosto nascosto, invece, proprio dall’aspetto del virtuoso (così legato a quel particolare momento). Del fenomeno, appunto.
Il fenomeno Paganini va invece visto in stretta relazione con quello del virtuosismo che si affacciava prepotentemente sul primo Ottocento europeo; un feno¬meno nuovo alla sensibilità musicale sia degli stessi esecutori che del pubblico di allora. È forse per la prima volta che un artista come Paga¬nini si identifica con il suo stesso strumento al punto che né l’uno né l’al¬tro risultano divisibili o considerabili come due entità distinte. Si pensi al pianoforte di Chopin o a quello di Liszt che esemplificano in maniera mirabile questo strettissimo collegamento tra musica e strumento, sicché l’una non sarebbe immaginabile senza l’altro. In sostanza, la musica fini¬sce per perdere quella qualità astratta che Bach, per esempio, le aveva attribuito in certe sue opere (L’Arte della Fuga, L’offerta musicale per ci¬tare quelle più note) e anela ad aggregazioni sempre più esclusive con l’uomo. Il Romanticismo che Paganini incarna in modo mirabile e sfac¬cettato in una Italia dominata dal melodramma, in una Italia strumentale immatura, vede l’uomo al centro del mondo anche se in perpetua ricerca di se stesso. Il mito del Wanderer trova dunque un riflesso quanto mai vivido anche in questo musicista genovese che compare come una meteora rutilante sui palcoscenici di mezza Europa. Un ‘fenomeno’ si è detto, e tale va considerato in tutte le accezioni linguistiche possibili.
Edward Neill, cui appartiene questa citazione che abbiamo voluto mantenere nella sua interezza, inquadra bene la questione. Eccoci arrivati dunque alle musiche di questo concerto: musiche in un certo senso marginali, rispetto a quella che potremmo definire la struttura centrale della sua produzione, quella dei Capricci e dei Concerti, cioé. Marginali non in senso dispregiativo, sia chiaro, ma oggettivo. Le differenze sono molteplici. La dedica dei Capricci è esemplarmente esplicativa: «Alli Artisti». E ugualmente «alli artisti» (anche se non in modo altrettanto chiaramente dichiarato) e naturalmente in primis a se stesso, che ne era il primo destinatario in quanto esclusivo esecutore, erano anche i Concerti. La musica da camera era invece destinata all’uso e consumo dei dilettanti, e da questa scelta (così ben corroborata dall’editore Ricordi) derivano conseguenze linguistiche e musicali molteplici.
Questa sera ascoltiamo una scelta di Quartetti: e quest’ultima aulica definizione non tragga in inganno quanti si aspettano una discendenza dal modello classico viennese. Più che alla forma-sonata classica bisogna piuttosto pensare alla sonata a quattro di epoca molto precedente, in cui il seguito dei movimenti vede uno strumento quasi solista, ovviamente il primo violino, accompagnato dai rimanenti: cioé il contrario di quel modello di fusione dialogica che è l’essenza dello spirito quartettistico classico. Lo svolgimento è spesso basato sul principio della variazione, così caro a Paganini, e così adatto a quel tipo di elaborazione di stampo belcantistico che gli è tipica in questa formula.
Ma in realtà la forma delle opere paganiniane è sempre, su per giù, la stessa; come è sempre una la loro ragion d’essere, uno il loro scopo. Si tratta cioè, sempre, di una ricchissima lussurreggiante stupenda fioritura di «Variazioni» sopra o intorno a uno o a pochi nuclei tematici. Nelle opere di Paganini il tema vive, là dove primamente si presenta, di quella vita che gli ha dato l’impulso, sensazione o sentimento, onde è nato: ma poi esso non continua a vivere svol¬gendosi in divenire continuo sino a una premeditata conclusione, sino a toccare un limite corrispondente a un’intenzione conclusiva, ma quante volte esso riap¬pare, altrettante volte noi sentiamo che, se pure ha mutato aspetto e apparenze, sostanzialmente è rima¬sto sempre il medesimo. Questo è soprattutto evidente nelle opere concepite intenzionalmente come «Va¬riazioni» e come tali intitolate: ma lo si può facil¬mente vedere anche esaminando le Sonate e i Quar¬tetti e i Concerti; nelle quali composizioni, se Paganini è sempre non solo quel fantasioso e prodigioso inventore di ritmi e di sonorità che è nelle Variazioni e nei Capricci, ma è anche sempre sì schiettamente artista da dare a ogni sua variazione tematica, persino ai passi di apparentemento mero virtuosismo, un valore lirico.
In chiusura siamo ricorsi alle parole del musicista forse più lontano (se non nella magrezza della figura) da Paganini, cioè Ildebrando Pizzetti. E come epilogo, ci affidiamo invece ad un breve pensiero del suo grande amico Rossini, per chiudere sorridentemente una pagina destinata ad una serata che è soprattutto di pacificante, alto divertimento musicale.
Solo due volte ho pianto in vita mia: quando un tacchino infarcito di tartufi mi cadde accidentalmente nell’acqua e quando sentii suonare Paganini.
Vincenzo Raffaele Segreto
PAGANINI: IL DIONISIACO CAVALIERE FILARMONICO
Descrivere la personalità artistica ed umana di Paganini non è cosa semplice. In lui convivono e si intrecciano diversi aspetti, tutti ugualmente importanti per una conoscenza minimamente approfondita. Paganini grande violinista e incantatore, Paganini compositore, Paganini esecutore e direttore d’orchestra, Paganini divo romantico, Paganini uomo attento alla sua epoca ed ai suoi colleghi.
L’aspetto del virtuoso del violino è certamente il dato più noto. In questo campo, il musicista genovese, erede della scuola violinistica italiana, porta alcuni elementi di tecnica a orizzonti ed a limiti mai raggiunti prima.
La sua opera prima, i 24 Capricci per violino solo, se da un lato guardano alla scuola di Corelli, Tartini, Locatelli, Viotti dall’altro prefigurano un modo del tutto nuovo di suonare il violino. Modo nuovo e romantico. Paganini è figura romantica nel senso pieno del termine e si affaccia sulla scena internazionale anticipando altri virtuosi celebri: Liszt, Chopin, Thalberg, ed in modo diverso, Berlioz.
Ciò che Paganini applicò al violino, Liszt lo sperimentò sul pianoforte e Berlioz all’orchestra. Le possibilità espressive e timbriche scoprono nuovi orizzonti. Paganini è l’uomo che afferma che "occorre fortemente sentire per far sentire", è il personaggio dal temperamento irrequieto ed appassionato che gira tutta l’Europa in carrozza, che colleziona amori diversi, che si dedica interamente alla musica come necessità vitale. Ma Paganini è anche esecutore attento e studioso della musica di Beethoven, dei suoi quartetti e delle sue opere orchestrali, dirige alcune opere del suo amico Rossini, incoraggia anche finanziariamente il giovane Berlioz vedendo in lui l’erede di Beethoven.
La scuola strumentale italiana con Paganini, fa suoi spunti e strutturazioni formali di derivazione operistica, dando vita a composizioni giocate a metà strada tra l’esuberanza romantica e la compostezza classica.
Lorenzo Costa
(Thanks to: Vincenzo Raffaele Segreto, Casa della Musica, Lorenzo Costa, Associazione Amici diPaganini)